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Analisi sensoriale vs degustazione: le verità supposte

C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui i concetti di degustazione e valutazione che stavo apprendendo hanno iniziato a stridere con la mia idea di realtà. Una realtà che percepivo, quindi vera in quanto vissuta in prima persona, ma talvolta lontana da quella che mi si voleva propinare. Perché il mio percepito era così diverso? Avrei dovuto far mia una verità imposta dall’alto? Sono state grossomodo queste domande a spingermi nella direzione che mi ha portato dove sono oggi: l’esigenza di fare chiarezza su quella matassa di meccanismi fisiologi, filosofici e psicologici che chiamiamo assaggio. Così è iniziato il mio percorso nell’analisi sensoriale.

Immaginavo che conoscere tali meccanismi avrebbe dissipato qualche dubbio e mi avrebbe portato ad approcciare quella pinta (all’epoca ero più avvinazzata a dire il vero) con una consapevolezza diversa. E in effetti studiare alcune tematiche e toccarne con mano le implicazioni è stato in qualche modo illuminante. A tal punto da diventare parte del mio lavoro (mi occupo di formazione all’assaggio e analisi sensoriale) e da spingermi a condividere alcune nozioni in questa rubrica. In fondo vi porta qui il vostro essere birrofili – immagino abbiate il bicipite scolpito grazie alla ginnastica da bancone – e magari vi sarà capitato millanta volte di trovati in situazioni simili a quella che ho descritto.

Probabilmente vi sarete posti le mie stesse domande:

Perché non riusciamo a sentire un odore specifico? Perché percepiamo un odore ma non riusciamo a dargli un nome? Lo stato psicologico può influire sulla percezione di una birra? Più in generale, ci è chiaro come “funzioniamo” quando assaggiamo? Ha senso parlare di giudizio monocratico? L’attività di formazione e divulgazione tiene conto di questi aspetti?

(Qui è dove vi esorto a porre domande).

Ok, rompo il ghiaccio usando la famosa formula marzulliana: potresti chiarire il concetto di analisi sensoriale, così in voga ultimamente? Ma certo, anzi, mi preme farlo perché sembra sia pratica abbastanza diffusa (la gastrosfera in generale ne fa grande uso) utilizzare il termine come sinonimo di degustazione. Certo, in entrambi i casi utilizziamo gli stessi strumenti (cervello e organi di senso), ma occuparsi di analisi sensoriale non equivale a roteare una bevanda in un calice decantandone le note di “coscia di donna al mattino” (true story).

L’analisi sensoriale è per definizione quell’insieme di metodi e tecniche utilizzate per oggettivare il nostro percepito in merito ad un determinato prodotto (o servizio), ciò che di fatto per sua stessa natura è frutto di soggettività. Per farlo si utilizzano gruppi di assaggiatori opportunamente addestrati (il panel), in ambienti e con modalità normate, ricorrendo all’uso delle scienze statistiche e monitorando l’attendibilità di chi assaggia. Tutto ciò che non include questo tipo di tecniche e modalità ha poco a che fare con l’analisi sensoriale. In questi casi sarebbe quindi più corretto parlare di assaggio, training, degustazione, palestra…

In qualche modo i due concetti sono in antitesi: l’uno più ascrivibile ad un’arte monocratica e soggettiva, l’altra appartenente a metodi più democratici e oggettivi. Presuppongono entrambi un certo livello di preparazione e cultura su un dato prodotto, ma hanno scopi (e restituiscono risultati) diversi. Il modo in cui ci si approccia a entrambi dipende senza dubbio dalle esperienze pregresse, dalla conoscenza, da quello che chiamerei cultura – in questo caso liquida, che immagino non vi manchi – ma in parte anche dalla conoscenza di quei meccanismi fisiologici, filosofici e psicologici che chiamiamo assaggio. Ed è proprio di quelli che parleremo.

L'autore: Stefania Pompele

Veronese, un diploma agroalimentare e una sete atavica che si ripresenta in maturità. Dopo una formazione nel mondo del vino (Onav e AIS), si specializza in meccanismi percettivi e analisi sensoriale al Centro Studi Assaggiatori. Panel leader, si occupa di formazione collaborando con istituti alberghieri ed enti privati. La birra? È colpa di quella sete atavica e di un amico birraio. Dice che le riesca bene berla, ma ogni tanto ne parla/scrive anche.

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4 Commenti

  1. Spero sia l’introduzione di spiegazioni successive, perché così è come antani con scappellamento a destra.

    • Beh mi sembra abbastanza chiaro che si tratta di un’introduzione, no?

    • Stefania Pompele

      È decisamente un’introduzione Giuseppe, necessaria per presentarmi e anticipare gli argomenti che tratterà la rubrica. Come accennato nel post parlerò principalmente di fisiologia dei sistemi sensoriali, insomma di come ‘funzioniamo’ quando assaggiamo. Non mancheranno esempi a tema.

  2. Non vedo l’ora di leggere gli articoli!
    E’ da un po’ che sto cercando di affinare i miei assaggi e cercare di descrivere meglio l’esperienza (per i checkin su Untappd ma intanto inizio con quelli…).
    ^__^

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