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Il linguaggio segreto degli homebrewers – Parte 2

Qualche mese fa abbiamo passato in rassegna alcuni termini misteriosi che gli homebrewer spesso utilizzano quando si ritrovano in gruppo attorno al tavolo di un pub. Di questi termini ne esistono a decine ed è chiaramente impossibile raccontarli tutti in un unico post. Per questa ragione ho pensato di riprendere il precedente articolo analizzando qualche altro termine criptico. Conoscere il significato di questa astrusa terminologia, almeno a grandi linee, vi aiuterà a non sentirvi isolati e messi da parte casomai capitiate nel mezzo di una tavolata di homebrewers. Ovviamente non ve lo auguro, ma si sa: shit happens.

Dry Hopping

Dryhoppare

Questo verbo (ovviamente italianizzato dall’inglese to dry hop, ovvero luppolare a secco) in realtà non è usato solo dagli homebrewer, ma noi siamo sicuramente quelli che ne abusiamo di più, declinandolo come fosse un verbo italiano: “Buona questa saison, l’hai draioppata?”. Il dry hopping non è altro che una gittata di luppolo che in genere si fa a fermentazione finita (o sul finire della stessa). Non apporta contributo alla birra in termini di amaro ma contribuisce più o meno intensamente al bouquet aromatico in termini di aromi e sapori. Più luppolo viene utilizzato per il dry hopping, maggiore sarà il contributo aromatico. Infatti, la domanda che spesso gira al tavolo degli homebrewer suona più o meno così: “Quanti grammi/litro?”. Fa riferimento al rapporto tra grammi di luppolo usato in dry hopping e litri di birra rimasti nel fermentatore (per la cronaca: i valori più comuni sono 3 o 4 grammi/litro). C’è chi si spinge sui 6 grammi litro, ma si tratta di hophead (maniaci del luppolo) e di conseguenza vanno emarginati.

Winterizzazione

“Che bella birra limpida! Quanto hai winterizzato? Tre giorni?”. Difficilmente gli homebrewer filtrano le proprie birre: un po’ perché non è semplice disporre di un’attrezzatura filtrante, ma soprattutto perché non avrebbe granché senso visto tutto l’entusiasmo che c’è in giro per le birre non filtrate e non pastorizzate. Allo stesso tempo, però, se fai una birra torbida sei un homebrewer di serie B, a meno che non si tratti di una weizen o di una saison. La soluzione? Portare la birra intorno agli 0 gradi alla fine della fermentazione in modo da far precipitare sul fondo del fermentatore proteine, lievito e residui di luppolo. Gli americani la chiamano winterization, ma “invernazione” non suonava granché bene.ù

Fermentazione Acida

Chiamare i batteri per soprannome

Questa è una moda che negli ultimi tempi è diventata quasi una mania: la produzione di birre acide in casa. Ormai non puoi definirti un homebrewer serio se non hai provato almeno una volta a produrre una simil-Cantillon in casa, meglio ancora se fermentata senza aggiunta di batteri o lieviti, ma solo lasciando per un paio di nottate il mosto dolce fuori dal balcone di casa per farlo aggredire da lieviti selvaggi e batteri di ogni sorta. Per non parlare poi delle Gose (birre leggermente acide con sale e coriandolo) e delle Berliner Weisse (birre sempre piuttosto acide, poco alcoliche e prodotte con una buona parte di grano) che ormai stanno invadendo i fermentatori degli homebrewer (per la serie: lo famo strano). Per produrre questi stili di birra è indispensabile l’aiuto di batteri per ottenere una acidità marcata (i lieviti Brettanomyces, da soli, non producono grandi quantità di acido lattico). Le macro famiglie di batteri più comunemente utilizzati sono i Lactobacilli e i Pediococchi, entrambi grandi produttori di acido lattico (quello dello yogurt, per capirci). Non vi stupite quindi se al tavolo degli homebrewer sentirete parlare di “lacto” o di “pedio” come se fossero dei vecchi amici di famiglia: è un vizio che abbiamo preso dagli americani e che ci fa sentire tanto fighi. A ogni modo, il 90% delle birre acide fatte in casa dagli homebrewer sono pessime: statene alla larga!

gushing

Gushing

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un problema che attanaglia non solo gli homebrewer, ma anche i birrai più navigati. Si tratta di un fenomeno insidioso, poiché rimane nell’ombra e ti assale quando meno te lo aspetti, senza preavviso. Il gushing è quel particoalre accadimento che porta la birra a fuoriuscire violentemente dalla bottiglia quando si rimuove il tappo. Può accadere per diverse ragioni, ma spesso succede agli homebrewers inesperti che imbottigliano la birra troppo presto presi dalla frenesia e dall’ansia di assaggiare la loro creatura. Il gushing, in realtà, è il vero terrore degli amici degli homebrewer: poveri cristi che, ignari del pericolo, stappano la bottiglia nel centro del salone ritrovandosi in pochi istanti il tappeto persiano della nonna rovinato per sempre, insieme al salotto e alle pareti appena riverniciate. Ovviamente, il gushing è anche il terrore dei giudici dei concorsi per homebrewer: non sono rari i casi in cui i giudici e tutti i presenti si sono fatti una bella doccia di birra. Che poi magari era pure buona, ma nella bottiglia ne era rimasta troppo poca per poterla valutare.

Potrei andare avanti ancora a lungo, ma per il momento chiduo qui. Non è detto che non ci sarà una terza puntata. E voi? Vi siete mai fatti una doccia di birra?

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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