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Perché gli homebrewers pensano di poter diventare birrai?

In un mercato che (per ora) non accenna a fermarsi, l’entusiasmo per la birra artigianale si fa sempre più forte e contagioso. Il numero dei birrifici continua a crescere a dismisura, come cresce anche il numero degli appassionati e soprattutto quello dei produttori casalinghi di birra. Tra questi ultimi, probabilmente, si nascondo i grandi birrai del futuro: coloro che finalmente riusciranno a trasformare la propria passione in lavoro. Ma è veramente così facile diventare birraio? Secondo me no, ma ho come l’impressione che molti non se ne rendano perfettamente conto. Perché praticamente tutti gli homebrewer italiani si sentono in grado di aprire un birrificio anche domani?

La birra è un prodotto relativamente nuovo, poco radicato nella nostra cultura

In Italia, si sa, non ci sentiamo culturalmente legati alla birra. A differenza di altri paesi Europei, come ad esempio Germania o Repubblica Ceca, non siamo abituati a relazionarci con figure professionali come i mastri birrai. Ai più sfugge cosa significhi davvero ricoprire professionalmente il ruolo di produttore di birra. Lo si prende spesso come la naturale evoluzione di un hobby, la realizzazione di un sogno che improvvisamente diventa realtà (tipo vincere la lotteria). Come è stato più volte scritto, alla birra non viene data la stessa dignità del vino; è quindi naturale che ognuno si senta perfettamente in grado di produrre a livello professionale dopo aver brassato tre kit in casa. Mancano quella reverenza e quel rispetto che invece abbiano per enologi, sommelier e produttori di vino in generale. Se una visione prosaica del mastro birraio per un certo verso rende questa figura professionale più umana e raggiungibile, dall’altro banalizza una professione che, erroneamente e ingenuamente, viene percepita alla portata di tutti. Mentre non lo è affatto.

Img01 - Impianto birrificio

Scarsa percezione di cosa sia davvero un birrificio artigianale

La maggior parte dei produttori casalinghi di birra è convinta che non ci sia molta differenza tra la sala cottura di un birrificio artigianale e i tre pentoloni con cui produrre birra in casa. Forse questa visione romantica deriva dall’utilizzo diffuso del termine artigianale quando si parla di piccoli birrifici. Che, a meno di casi eccezionali, poi così piccoli non sono. Forse il termine artigianale ci fa venire in mente la figura dell’artigiano che, seduto su una panca nel suo piccolo laboratorio, lavora il legno con martello e scalpello. Nella maggior parte dei birrifici artigianali, la situazione è ben diversa. Ci troviamo di fronte a enormi macchinari come le sale cottura, fermentatori alti più di tre metri, solventi chimici pericolosi e rigide procedure da seguire per la sanitizzazione della strumentazione e per la registrazione fiscale della produzione. Al di là delle definizioni formali (che ancora latitano), un birrificio artigianale si definisce tale per il forte legame che lega la birra al birraio; per il contatto con le materie prime; per la mentalità e l’approccio alla produzione. Per il resto, anche un birrificio artigianale utilizza processi e strumentazioni non molto differenti da quelli dell’industria (se non per dimensioni e assenza di alcuni passaggi come la pastorizzazione). È improbabile che un homebrewer possa passare dalla produzione casalinga a quella industriale senza un periodo di tirocinio (serio) in qualche birrificio.

Img02 - Beer Geek

Poca (spesso, ahimè, nulla) competenza birraria

Solito tasto dolente: ci sentiamo tutti grandi esperti di birra. Da subito. Dal primo kit fermentato senza controllo di temperatura e con il lievito sbagliato. Chissà come mai nessuno si sente super esperto di vino dopo aver assaggiato due bottiglie del vino che produce il nonno. Come abbiamo già detto, quello della birra in Italia è un mondo giovane. Non esistono certificazioni davvero autorevoli, la maggior parte dei sedicenti degustatori di birra sono figure improvvisate che ripetono termini a pappagallo senza un background culturale adeguato. Spesso, senza avere alle spalle nemmeno la dovuta esperienza di assaggi (a parte un viaggio a Bamberga, ché ormai non sei nessuno se non l’hai fatto). In questo contesto, chiaramente, tutti si sentono in grado di poter valutare la qualità di una birra senza farsi troppi problemi. La non conoscenza porta facilmente al delirio di onnipotenza, che di solito si conclude con la classica sparata “la mia birra è meglio di tante schifezze artigianali che trovo in commercio”. Ma dico io: siamo proprio sicuri?  A Bamberga che dicono?

Business Plan explanation with heading circled in red.

Sottostima dei costi di investimento

Abbiamo detto che un birrificio artigianale ha ben poco di artigianale in termini di strumentazione. Non ce la caviamo con una borsa degli attrezzi, un po’ di Chemipro Oxi e qualche tubo di silicone. Il livello di investimento necessario è ben altro. Non è sufficiente acquistare l’equivalente del proprio impianto casalingo, pezzo per pezzo, solo più grande. La gestione della cantina, per esempio, è un’arte che non si impara a tavolino. Bisogna saper stimare i volumi di produzione, la permanenza media della birra in un maturatore. Se si sbaglia questa parte, il birrificio andrà a secco in pochi mesi. Ma non solo. L’attrezzatura accessoria (pompe, addolcitori per l’acqua, caldaie, compressori, linea di imbottigliamento e mille altre cose) vi colpirà giorno dopo giorno fino a stendervi (non fisicamente, ma economicamente perché vi sarete sicuramente scordati dei pezzi).

Il birraio non è un imprenditore

Fare birra e fare impresa sono due cose diverse. Esistono sicuramente casi isolati in cui un bravo birraio possa anche essere un ottimo imprenditore; però, diciamocelo: si tratta di eccezioni. Non è un caso che molti birrifici ben avviati abbiano alle spalle imprenditori navigati che si fanno carico della gestione dell’impresa lasciando al birraio la gestione della produzione. Il punto non è solo la stesura del business plan (che alla fine, con un po’ di impegno, può fare chiunque) ma la vera e propria gestione d’impresa. Tanti (troppi) sono i birrifici che hanno chiuso i battenti per una incauta gestione del cash flow e dell’indebitamento o per una incauta pianificazione.

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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18 Commenti

  1. Non a caso per avere una minima competenza in produzione di vino si va all’università per minimo 3 anni o in Germania nei birrifici, anche piccoli, ci lavorano come ‘capi’ persone che hanno studiato altrettanti anni e altri tre di tirocinio… po’ certo le idee e le pratiche buone vengono anche ai nostri birrai ma sapere bene il perche’ è parecchio complesso

    • ora all’università di Perugia esiste Tecnologie Birrarie, triennale che affianca appunto gli enologi con, ovviamente, esami specializzati sulla birra!

  2. É un pò quello che vedo anch’io anche per un altra professione, oggi giorno troppo sottovalutata, che sarebbe IL Cuoco….o meglio lo Chef, che suona meglio (si forse in tv).
    Tutti sono Chef al momento. Sanno fare un piatto a casa propria e si sentono in grado di aprire e gestire la cucina di un ristorante…..ahahah quanti ne sopravvivono alla fine ?
    Dico sempre che per queste professioni, come anche quella del mastro birraio, ci vuole umiltá e tanta tanta esperienza.
    L’improvvisarsi nn porta a nulla.

  3. Bell’articolo. La penso anch’io così da parecchio tempo e spero che susciti alcune riflessioni a tutti.
    Non solo ai produttori ma anche ai consumatori e soprattutto a chi seleziona senza con poco criterio ( di qualità e conoscenza del prodotto ) proposte birrarie nei locali .

  4. Francesco Sottomano

    Passare da homebrewing a “Pro-Brewer” non è impossibile.. è molto complicato perché come hai spiegato c’è veramente un abisso fra il kit e i pentoloni da 1000, 2000, 3000 litri.
    Ho visto però anche io molta leggerezza nell’approcciarsi a questo mondo a livello professionale.. bisognerebbe ridimensionare molto i fattori “umiltà e.. tanta formazione”.

    Ottimo articolo come sempre, Francesco!

  5. Io per lavorare in cantina ho iniziato a lavorare in vigna e fare corsi da sommelier a quindici anni e non ho più smesso…perito agrario, laurea in agronomia, potatore, tiratubi, cantiniere, laurea in enologia, direzione di azienda…il tutto sempre per gli stessi stipendi. Ora dopo diciotto anni di gavetta e investimenti riesco a collaborare a qualche wine making. Il dorato mondo enoico non è proprio tutto rose e fiori. E anche qui vedi dei brutti cash flow. Penso che.nel settore birra dipenda piu che altro dalla comunicazione scadente chesi vede in rete.

  6. Specialmente oggi con il numero di produttori cresciuto a dismisura, la situazione non è semplice. Questo non significa che non si debba investire, ma la parte commerciale e quella imprenditoriale meritano tanta pianificazione, oggi più di ieri con questa competizione spinta …….Personalmente credo però che la quota di mercato della birra artigianale è destinata a crescere però ci sarà anche tanta selezione, spesso sulla qualità ma anche su questi aspetti…Insomma se non pensi di poter produrre più di 1500-2000 hl/anno nel giro di 5 anni potrebbe non valerne la pena, a meno che non abbia come hobby avere un microbirrificio

    • bella questa grande…che hobby hai?? ma io andare a pesca, io lavorare il legno…ah no no io avere un Micro birrificio…Grande bell’hobby

  7. Condivido al 130% il contenuto dell’articolo. Sono anni (plurale) che sostengo i medesimi punti e sono testimone oculare in prima persona dei fenomeni denunciati. Certo, con questi chiari di luna e con la filosofia “pur isso à da campà” è facile fare 1+1, pensando di cavar fuori qualcosa da una passione (o sedicente tale) ma un conto è un hobby, un altro un’azienda (faccio il commercialista). Capita che anche chi abbia delle capacità, sbatta il musone sul duro mercato dolorosamente perché privi di qualsiasi nozione aziendalistica, ridimensionando precipitosamente gli iniziali entusiasmi. Figuriamoci poi coloro che di doti non ne hanno neppure l’ombra, con l’offerta disponibile di oggi poi.
    Certo: c’è chi va avanti. Per ora. Nella speranza che Bad Attitude rimanga un caso isolato.

  8. Però bisogna dire che forse qualcuno si avventura anche perché c’è poca possibilità in Italia di fare esperienza in questo campo chi ti fa fare un tirocinio in birrificio nessuno cioè trovatemi un birrificio disponibile, dove puoi fare una formazione seria anche qui poco. secondo me ancora peggio di altri settori ci sono piu cadute rovinose in questo campo, almeno lo chef se ha voglia di impegnarsi può farsi qualche corso una scuola eccetera. poi pensare anche dove c’è possibilita maggiore di formarsi gente si improvvisa a caso. ecco che poi si chiude subito l’attività.

  9. Si è visto bene anche beer- attraction ,
    diversi micro con nomi improbabili con birrai poco più che ventenni .
    Però con barba lunga curata e ciuffo impomamato
    Descrizione delle loro birre come da manuale ,
    una volta assaggiate…..lasciamo perdere

  10. Eh si… sono tanti quelli che pensano di poter aprire un birrificio dopo aver fatto due cotte da kit. Io addirittura spesso perdo la pazienza quando vedo che scrivono sui forum “ho prodotto 2 cotte coi kit, ora mi son fatto il nuovo impianto da 50 litri, sono pronto per iniziare in All-Grain”… 50 litri? io li faccio in 3 cotte e mezzo 50 litri…

    Comunque ottimo articolo, condivido in pieno Frank e, riprendendo il commento di poco sopra, anch’io ho pensato ai tanti “chef improvvisati” che sbocciano come funghi da quando in tv non si fa altro che parlare di cucina (moda che forse si sta un po affievolendo).

    Chissà se fra qualche anno mese vedremo “Beer TV” su Sky…

  11. Interessante e schietto articolo, senza reticenze e per questo stimolante.
    A integrazione dell’articolo vi segnalo una breve tesina su come organizzare una strategia imprenditoriale seria e concreta nel mondo birra artigianale:
    https://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=51612

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