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I 5 stili più facili da produrre in casa

Dopo l’articolo dello scorso mese, non poteva certo mancare la controparte dedicata alle birre più semplici da produrre in casa. Ci muoviamo sempre in un campo minato: la scelta è abbastanza personale, per questo ho cercato di motivarla per spiegare bene il mio punto di vista. Chiaro che affermando che una tipologia sia semplice da produrre non intendo che chiunque possa brassare un esempio di stile perfetto al primo tentativo, né è mia intenzione sminuire homebrewer e birrai che hanno impiegato anni a trovare una quadra nelle loro ricette (come me). Detto ciò, esistono secondo me degli stili che perdonano maggiormente errori in ricetta o in produzione rispetto ad altri, anche solo per la variabilità concessa dalle linee guida dello stile all’interpretazione del birraio. Mi sono divertito poi a chiudere con una piccola provocazione, ma non anticipo nulla. Partiamo.

English Porter (BJCP 13C)

Le Porter hanno una storia molto travagliata. Martyn Cornell, studioso della storia birraria inglese, racconta spesso un aneddoto che evidenzia questo aspetto. Ogni volta che qualcuno gli chiede come fossero le porter di una volta, risponde con un’altra domanda: quando? Esistono infatti almeno quattro momenti storici, tra l’inizio della diffusione delle Porter a Londra, durante i primi anni del 1700, e il loro velocissimo declino, intorno alla metà del 1800, in cui la ricetta è cambiata radicalmente per seguire le evoluzioni legislative, l’economia, le innovazioni tecnologiche. Le prime Porter molto alcoliche, ben luppolate e dai sentori vagamente affumicati dovuti al largo utilizzo di malto brown, hanno virato, a inizio 1800, su versioni meno alcoliche, più pulite, decisamente più simili a quelle che siamo abituati a bere oggi. Questa evoluzione continua ha reso le English Porter uno stile molto flessibile, con un profilo organolettico vario e poliedrico che lascia ampio spazio all’interpretazione del birraio. In molti casi è difficile (se non impossibile) distinguerle in maniera netta dallo stile “gemello”, di cui sono state ispiratrici, ovvero quello delle Stout.

La peculiare evoluzione stilistica delle English Porter rende più semplice ricrearne una ricetta “credibile” anche se alcuni degli ingredienti lanciati nel pentolone non hanno passato il vaglio dell’esperienza e della competenza di stile. Diciamoci la verità, le English Porter (ma anche le American Porter) rappresentano un’ottima ricetta “svuota-dispensa”. Attenzione, non sto dicendo che chiunque possa fare un’ottima Porter lanciando ingredienti a caso nel pentolone. Posso però affermare con confidenza che lo stile mostra una certa resilienza intrinseca agli svarioni artistici a cui si lasciano spesso andare gli homebrewer alle prime armi. Basta rispettare le dosi consigliate per i malti scuri (direi un 6-8% al massimo per i malti come roasted, black, chocolate o una loro combinazione) e il gioco è fatto. In questo stile si può anche alzare la dose dei crystal di vario tipo, senza rovinare la ricetta. Lievito neutro va anche bene, tipo US-05.

Nel caso la birra venga giudicata in un concorso, confesso che è davvero difficile etichettare una English Porter non in stile a meno che non venga fuori, che so, affumicata (ma tanto) o palesemente molto alcolica. Se la birra è buona, in genere si piazza bene nei concorsi. Poi è sempre possibile trovare il giudice che scrive sulla scheda la famosa frase “sembra più una Stout che una Porter” abbassando drasticamente il voto, ma in tal caso siete autorizzati a mandargli a casa una cassa di birra riuscita male.

Berliner Weisse (BJCP 23A)

Dovuta premessa: non voglio svilire nessun birrificio professionale affermando che le Berliner Weisse siano facili da produrre, specialmente quelle con aggiunta di frutta, che poi rientrano secondo me più nel nuovo stile “provisional” delle Catharina Sour. Però, lasciatemelo dire, è così. Ovviamente parliamo di Berliner Weisse brassate con il “kettle souring, un metodo di produzione salito alla luce della ribalta negli ultimi anni e presto adottato da tantissimi birrifici e homebrewer grazie alla sua praticità. Aggiungendo batteri lattici mentre il mosto si trova ancora nella pentola di ammostamento, si riesce ad acidificare la birra nel giro di 24-48 ore senza rischiare di contaminare il resto dell’attrezzatura. Dopodiché si inocula semplice lievito neutro (il classico US-05 va più che bene) e il gioco è fatto. A seguire, volendo personalizzare la produzione, si può aggiungere frutta di vario tipo (sovente pastorizzata, sempre per evitare contaminazioni o fermentazioni spontanee). Nel giro di poche settimane avremo nel bicchiere una birra acida molto piacevole (grazie all’inoculo di batteri lattici selezionati a monte), fresca, spesso di un colore acceso grazie al basso livello di pH che accende il colore degli antociani (polifenoli coloranti naturali presenti ad esempio in grande quantità nei lamponi).

L’aspetto negativo è che tutte queste birre tendono ad assomigliarsi tra loro, a causa della veloce acidificazione condotta con ceppi di batteri lattici selezionati. Non sto dicendo che non si tratti di birre piacevoli, a volte le trovo anche piuttosto interessanti se ben fatte, ma senza il lavoro di una microflora variegata di microrganismi su un arco temporale medio-lungo, il risultato non ha quella profondità che in genere ci si aspetta da una birra “sour”. Questo, in molti casi, specialmente dal punto di vista commerciale, può essere un aspetto estremamente positivo poiché avvicina alla bevuta “acida” anche chi non è avvezzo a una certa tipologia di stili.

Ma torniamo a noi. Produrre una Berliner Weisse in casa non è affatto difficile, richiede solo un passaggio in più e la suddivisione della cotta in due giornate. Per chi non conoscesse gli step da seguire, rimando a un articolo che ho scritto diverso tempo fa sul mio blog. Si tratta della prima (e unica) Berliner Weisse che ho prodotto in casa. Il risultato, indovinate un po’, fu sorprendente: davvero buona! Ovviamente, come tutte le Berliner Weisse prodotte con il metodo del “kettle souring”, mancava di profondità (non avrebbe vinto un concorso nella sua categoria, ecco) ma il risultato fu estremamente piacevole già al primo tentativo. Poi c’è chi fa le magie anche con il kettle souring, ma parliamo di casi eccezionali. 

Cream Ale (1C)

Classico stile da produrre quando si ha poca pratica con i pentoloni. A questa categoria riconduco la famosa “bionda frizzantina” che molti homebrewer alle prime armi cercano di brassare quando acquistano i famosi kit preparati. Le Cream Ale nascono negli Stati Uniti intorno alla fine del 1800, come risposta alla diffusione delle lager di origine tedesca che iniziavano a diffondersi nel Midwest e che in breve tempo avrebbero ottenuto il monopolio sulla scena nazionale americana. Mentre nel mezzo dell’America, intorno al lago Michigan, gli inverni freddissimi rendevano fattibile la produzione di basse fermentazioni, nelle zone costiere le temperature più miti rendevano difficile mantenere basse temperature di fermentazione. Ci si è quindi arrangiati utilizzando lievito ad alta fermentazione sulle ricette pensate per le Lager: malto pilsner o pale (o entrambi), spesso aggiunta di succedanei molto fermentabili (riso o mais, ma non sono indispensabili), luppolatura leggera (di qualsiasi varietà), poco o niente malto crystal e via.

Ne risulta una birra molto semplice, di facile bevuta che emula le basse fermentazioni tedesche ma può essere prodotta senza un controllo maniacale della fermentazione, anche a temperatura ambiente se non fa troppo caldo (18-20°C), pronta da bere in tempi piuttosto brevi (circa un mese dal pentolone al bicchiere). Difficile fare grandi errori di produzione o di ricetta in questo stile che si adatta facilmente anche ai palati meno esperti e smaliziati. Molti dei kit “lager” o “premium lager” che trovate in giro sono di fatto riconducibili alle Cream Ale, anche perché non è consigliabile gestire lieviti a bassa fermentazione quando non si ha ancora nessuna esperienza di produzione. Attenzione: l’aggettivo “Cream” in questo caso non indica nulla di particolare. Non c’è da aspettarsi nessun tipo di cremosità, anzi, queste birre sono in genere piuttosto secche e molto carbonate, come le lager industriali.  

Blonde Ale (18A)

Rimaniamo sempre sul terreno delle “bionde frizzantine”, ma in questo caso ci spostiamo più avanti nel tempo. Le Blonde Ale (da non confondere con le Belgian Blond Ale, altro stile) nascono in tempi piuttosto recenti. Figlie della craft beer revolution americana, iniziano a diffondersi nei brewpub americani intorno all’inizio degli anni ‘90, come risposta moderata alle nuove tendenze luppolate (American Pale Ale e American IPA). Simili strutturalmente alle Cream Ale, si tratta di birre dalla facile bevuta, rivolte a un pubblico poco avvezzo alle nuove tendenze ultra luppolate che si sposta nel brewpub vicino casa per mangiare e passare una serata in famiglia o con gli amici sorseggiando una birra semplice e poco impegnativa. Anche in questo caso è difficile sbagliare: malto Pale come base, un filo di crystal per dare un tocco leggermente ambrato, luppoli di qualsiasi varietà (in quantità maggiore rispetto alle Cream Ale) e lievito neutro da alta fermentazione. L’equilibrio è variabile ma il segreto è tenere la birra piuttosto bilanciata tra dolcezza residua e amaro. Anche in questo caso, difficile sbagliare. Un terreno sicuro per muovere i primi passi nel mondo della produzione casalinga.

Bière de Garde (24C)

Provate a chiedere a 5 diversi giudici cosa sia un Biere de Garde, riceverete probabilmente 5 risposte diverse. La verità, secondo me, è che nessuno sa bene quali siano le vere caratteristiche di questo antico stile che forse meriterebbe un posizionamento diverso nel BJCP, magari tra gli stili storici, al pari delle Pre-Prohibition Porter – ma questa è un’altra storia.

Nel BJCP (qui in pdf) troviamo tuttavia una descrizione ben dettagliata delle Bière de Garde, che le definisce generalmente come birre maltate, spesso prodotte con lieviti a bassa fermentazione e addirittura lagerizzate. In realtà questo stile è nato come birra “rurale”, al pari delle Saison belghe, prodotto dall’altra parte del confine, in terra francese. Il tempo e il progresso tecnologico ne hanno cambiato i tratti principali dando alla luce prodotti quasi industriali a bassa fermentazione. A questo pot-pourri si aggiunge la colorazione, che può essere chiara, ambrata o anche color tonaca di frate. Insomma: chi più ne ha più ne metta. Ma qual è la vera e originale Bière de Garde? Il BJCP cita quasi esclusivamente esempi industriali come Ch’TI o Jenlain, ma assaggiandoli sembra di bere una qualsiasi birra industriale. Quindi: boh.

Dovrebbe essere ormai chiaro dove voglio arrivare: probabilmente non ne avete mai bevuto un esempio classico (a me ancora non è capitato, se non una volta in Francia ma era un’interpretazione di stampo “belga”) come non l’avranno bevuto i vostri amici e probabilmente nemmeno il giudice che la valuterà al concorso a cui l’avrete iscritta (tranne rarissime eccezioni). Alla fine si tratta di una birra poco luppolata, maltata, senza particolare protagonismo del lievito; può essere lagerizzata, ma anche no. Dirò una bestialità per i puristi dello stile (se ci siete, battete un colpo), ma probabilmente qualsiasi ricetta con poco luppolo, malto deciso e ben fermentata con lievito abbastanza neutro può dare vita a una perfetta Bière de Garde. Anche in questo caso, uno stile con un’ampia resistenza alle interpretazioni “artistiche”.

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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2 Commenti

  1. Ciao Frank!
    Per il fatto che le birre meno alcoliche sono molto meno stabili, forse non sono daccordo sugli stili proppsti. Mi pare proprio tu parlavi di quanto fosse difficile produrre una buona e stabile bitter proprio per questo motivo.
    Io includerei le saison tra gli stili piû facili.
    Grado alcolico leggermente più sostenuto cbe almeno per la mia esperienza ha evitato che la birra si rovinasse anche distanza di i qualche mese.
    Ok bisogna considerare che il lievito saison magna come un fio de na mignotta e quindi produrre un mosto leggermente più carico, ma capito questo il risultato in genere è discreto.
    Un saluto.
    Carlo

    • Sono assolutamente d’accordo con te: l’equilibrio è una chiave magica ed è molto difficile da raggiungere. Se vuoi fare una birra perfetta. In questo caso non parliamo di birre perfette, ma di birre piacevoli in cui è più difficile commettere grandi errori. Nelle bitter i lieviti inglesi le rendono piuttosto difficili da gestire e spesso escono esteri fruttati piuttosto spiacevoli. In questo caso, nelle birre elencate, il lievito è solitamente neutro e molto semplice da gestire, anche a temperatura ambiente. Sulle saison sono d’accordo a metà: è probabilmente vero che non ci vuole tantissimo a produrne una mediocre con il Belle Saison, ma parliamo sempre di un lievito belga dove le variabili in gioco per raggiungere l’equilibrio sono molte (banalmente il bilanciamento esteri/fenoli è difficilissimo da gestire). Siamo comunque nel campo dei pareri personali, quindi assolutamente legittimi. Grazie per il commento, uno spunto sicuramente interessante.

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