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Leoni da tastiera, professoroni e prime donne nei forum per homebrewer

Quando si inizia a fare birra in casa e si è alla ricerca di informazioni, una delle imprese più difficili è valutare l’attendibilità dei contenuti che il web ci propone. Sui libri viene solitamente fatto un minimo di filtro a monte, anche se alcuni possono essere datati e altri meno accurati, ma sulle informazioni reperibili in rete regna la legge della giungla. Chiunque può dire qualsiasi cosa, in ogni momento: se questo è un bene dal punto di vista della libertà di espressione, non lo è affatto da quello dell’acquisizione della conoscenza. È sufficiente fare una ricerca sui travasi del mosto da un fermentatore all’altro, ad esempio, per scoprire decine di pareri profondamente diversi tra loro, sostenuti dalle diverse fazioni con l’accoramento tipico del tifo da stadio. Come si fa a valutare se stiamo leggendo contenuti affidabili o deliri di un pazzo scellerato? Non è impresa facile. Sui blog si può rimediare facendo qualche ricerca sull’autore: se la fonte è autorevole, in genere si trovano informazioni sul suo conto, più o meno certificate. Ma districarsi tra i nomignoli nei vari interventi dei forum (mastro_birraio_67, trappista_89, monaco2034, josef_groll, burtonize-me e via discorrendo) non è impresa facile.

Affidarsi ai consigli che ci vengono serviti nella prima risposta al quesito appena posto nel gruppo non è l’approccio migliore: potrebbe infatti trattarsi di stupidaggini aberranti. Se è questo il caso, in genere nel giro di qualche minuto arrivano altri commenti che chiariscono la questione, ma a volte gli interventi “ad minchiam” sono subdoli, sagaci, confezionati così bene da sembrare autorevoli pareri di un esperto. È proprio questo il momento in cui bisogna drizzare le antenne per evitare di incamminarsi sulla strada delle perdizione. Oggi vi presento alcuni casi di studio che ho seguito e isolato in tanti anni di frequentazione di gruppi online (soprattutto Facebook), in modo che possiate riconoscerli subito evitando di alimentare il loro ego. Perché sono convinto che nei gruppi di discussione si può imparare tanto, purché si applichi il criterio della selezione dei contenuti, non sempre facile e immediato.

Quelli con le certezze assolute e una risposta per tutto

Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di produzione casalinga, è che esistono poche certezze quando si parla di birra e soprattutto di homebrewing. Attenzione, non sto dicendo che vale tutto e non ci sono regole né indicazioni precise basate sulla scienza: esistono molti libri su cui studiare e costruire la propria conoscenza, su questo non c’è dubbio. Tuttavia, per la natura stessa del processo e per la molteplicità degli ingredienti e delle tecniche che si possono impiegare, è spesso molto difficile ricondurre l’effetto a una precisa causa. Tutte le volte che qualcuno mi domanda come mai la sua birra non abbia schiuma, lancio un sospiro e parto con un’anamnesi degna di un medico di base: come fermenti? A quale temperatura? Quali malti hai utilizzato? Erano vecchi? Come hai lavato il bicchiere? La carbonazione? E via discorrendo. Questo perché ci troviamo di fronte a un processo di produzione complicato, lungo, con una scelta di ingredienti e varianti produttive che potenzialmente possono dare luogo a una moltitudine enorme di scelte. E anche di risultati.

Per questa ragione invidio gli espertoni da tastiera che hanno la risposta pronta per qualsiasi domanda, senza nemmeno chiamare l’aiuto da casa. È fioretta. Sono Brett. Il bicchiere è sporco. Fermenta un grado più alto. Devi aumentare i fiocchi di 2 grammi. Quel lievito fa schifo. Non è in questo modo che si discute costruttivamente di homebrewing, a mio avviso. Io stesso, che un po’ di studio alle spalle sulla materia ce l’ho, frequentemente ho difficoltà a rispondere con certezza a molti dei quesiti che mi vengono posti. Non perché non abbia competenze e nozioni, anzi, proprio perché ho studiato in modo approfondito. Questo ovviamente non significa che l’unica risposta alle domande di chiarimento è una supercazzola senza contenuti, ma apprezzo molto di più chi instaura un dialogo costruttivo basato su un ventaglio di ipotesi e conoscenze, senza la pretesa di dare risposte immediate o instillare certezze assolute nella testa di chi legge. Problemi complessi – e la maggior parte lo sono nell’homebrewing – richiedono risposte complesse e articolate.

Quelli che non hanno mai avuto problemi

Quanto mi diverto quando arriva il fenomeno da testiera che avalla comportamenti e approcci scellerati (tipo usare il famoso metabisolfito come sanitizzante) adducendo l’inoppugnabile testimonianza della propria esperienza: mai avuto problemi. Che poi, quali siano i potenziali problemi, lo sprovveduto di turno nemmeno lo sa. Purtroppo il tracciato esperienziale è una delle componenti base della produzione casalinga: la valutazione del risultato è personale e intima, il rapporto con la birra che abbiamo prodotto con tanta fatica è diretto, richiede contatto, assaggio, deve essere vissuto per poter valutare la riuscita della bevanda alcolica che abbiamo nel bicchiere. Non si può giudicare una birra da una foto postata sul web, nemmeno da un video o da una descrizione, anche se verbosa e dettagliata: è necessario assaggiarla. Ed ecco quindi che chiunque può affermare di aver prodotto un’ottima birra seguendo un procedimento non ortodosso, o addirittura rivoluzionario, senza poter essere contrastato a dovere.

Cosa possiamo rispondere a uno che afferma con una certa sicumera di non aver mai avuto problemi? Quali problemi, nello specifico? Per riconoscere i cosiddetti “problemi” occorre avere gli strumenti adatti per comprenderli e analizzarli, e in pochi li hanno. Bisogna essere in grado di individuare e dare un nome ai difetti che troviamo nella birra, conoscere gli stili, saper valutare se una birra è riuscita bene in modo più oggettivo possibile. In pochi riescono a collegare i puntini con cognizione di causa, ancora meno se restringiamo il campo ai produttori casalinghi, dove spesso chi produce ha il solo obiettivo di dire in giro che si fa la birra da solo, postare foto con bicchieri sporchi strabordanti di schiuma, raggiungere vette inespugnabili di grado alcolico bevendo a canna da bottiglie verdi. Se la risposta al vostro dubbio è “mai avuto problemi”, lasciate correre e andate avanti.

I tradizionalisti estremi

Gli homebrewer più smaliziati probabilmente immaginano già quale è stata la mia fonte di ispirazione per questa categoria di “indottrinatori”. Ma, ahimè, non è un caso unico. Qui ci troviamo di fronte a un gruppo di predicatori con la scorza dura, individui che si fanno forti della propria conoscenza tecnica e storica – spesso notevole – per istillare il rigore assoluto nei malcapitati che si trovano oltre la tastiera. È inevitabile che il produttore alle prime armi abbocchi all’amo: quando ti viene sciorinata tanta conoscenza birraria in un singolo commento, condita da termini tecnici, riferimenti storici precisi e nomi altisonanti di scuole birrarie, non puoi che alzarti dalla sedia e applaudire. La tecnica è classica: ti bombardo di conoscenza con un livello di dettaglio tale che tu non possa contraddirmi. Ti elenco l’intera storia di uno stile in un singolo commento, con tanto di nomi, cognomi e date. Condisco qui e là con alcuni birrai che cito per nome per farti capire che sono miei amici, poi il nome di una scuola di formazione classica che ho frequentato, elenco gli anni (solitamente sono decine) in cui ho prodotto birra in casa o comunque bazzicato il settore, e il gioco è fatto. Nessuno può avere il mio livello di conoscenza, i commenti sono chiusi, il dado è tratto, il verbo è stato diffuso.

Il lato più ostico di tutto ciò è che spesso a questi individui non si può dare torto, perché alla fine dei conti non dicono stupidaggini: seguire tradizioni produttive ancestrali è infatti una delle strade percorribili quanto si produce birra in casa. Fare birre inglesi unicamente con malti inglesi e ammostamento singolo, oppure fermentare Pilsner ceche in pressione utilizzando complicate tecniche che funzionano solo se replicate alla lettera, o ancora usare costosi sciroppi di zucchero per replicare una Tripel in stile. Va bene, si può fare. È sicuramente una strada interessante, anche e soprattutto dal punto di vista storico. Ma non è l’unica. Anzi, in alcuni casi non è nemmeno la migliore, soprattutto se applicata all’ambito casalingo. Magari, per chi inizia a produrre in casa, è opportuno partire da metodi semplificati, più abbordabili e meno spaventosi. È meglio concentrarsi sulle variabili più importanti, sui passaggi essenziali, piuttosto che tentare di replicare i processi di un birrificio storico alla prima cotta casalinga. Imparare per gradi, arrivare a produrre buoni risultati e poi, una volta raggiunto il giusto livello di consapevolezza e confidenza con il processo di produzione, scegliere – se proprio ci garba – la via del tradizionalismo estremo. No all’indottrinamento, sì all’insegnamento.

I freestyler

Ah, le patate nella birra. I cachi nella Tripel. I datteri nella Dubbel. Il miele nelle IPA. La barbabietola nelle Bock tedesche. Io me ne frego degli stili, sono uno sperimentatore, lascia perdere questi tristoni che vogliono inculcarti la religione degli stili. La birra è libertà, creatività, e altre amenità del caso. Li avrete incontrati anche voi, tipi di questo genere. Gli anarchici che non vogliono essere imbrigliati nel mantra degli stili, i rivoluzionari che fanno della sperimentazione birraria una filosofia di vita. Il che andrebbe anche bene – ciascuno è libero di fare le proprie scelte – se poi tali anarchici non entrassero nei forum a sparare consigli a caso oppure, peggio ancora, a chiedere consigli su una propria ricetta salvo poi imbestialirsi quando gli si fa notare, a volte gentilmente, altre con presa per i fondelli, che non è molto facile dare suggerimenti su una ricetta che non ha né capo né coda. E lì si offendono, ti maledicono e – fortunatamente – in genere abbandonano il forum o il gruppo Facebook. Esistono le eccezioni, ovviamente, i pochi illuminati che viaggiano lungo i binari della sperimentazione continua ma sanno anche dare consigli intelligenti quando richiesti. Se li trovate, teneteveli stretti, sono i veri geni.

I malati del BJCP

Sponda opposta del fiume. Dai freestyler passiamo agli integralisti degli stili, un’altra categoria da evitare. Per chi non lo sapesse, il BJCP è un ente no-profit americano (Beer Judge Certification Program), di cui anche io faccio parte come giudice, che ha come obiettivo la formazione di giudici birrari. Ogni 4-5 (ma a volte anche più) anni produce una versione aggiornata delle BJCP Guidelines, un manualone (qui in pdf l’ultima versione datata 2015) dove cerca di codificare nel dettaglio le centinaia di stili birrari esistenti. Un documento pensato per i giudici che devono attribuire un valore numerico a una birra durante i concorsi per homebrewer, ma utilizzato da molti (me compreso) anche per approfondire e studiare le caratteristiche dei singoli stili. Un documento valido, che va però usato con criterio. Gli stessi autori, nell’introduzione del documento, mettono in guardia dall’usarlo come unico riferimento per la descrizione di un certo stile di birra:

While style categories are more useful for judging purposes since they group beers with similar perceptual characteristics, we recognize this may not be the best way to learn about beer styles.

Per questo diffido di chi si presenta nei gruppi impugnando gli ingredienti citati nel BJCP per rispondere a qualsiasi dubbio su una ricetta. Del tipo che siccome nella descrizione del BJCP delle Bitter c’è scritto che si utilizza un lievito inglese, allora non si può fare una buona Bitter con un lievito neutro e la ricetta è quindi da buttare. E lì a dare batoste al malcapitato homebrewer che aveva scelto il lievito neutro solo per semplificarsi la vita. Che poi, molto spesso, questi paladini del rigore non l’hanno nemmeno mai assaggiato lo stile in questione. Non so se mi innervosiscono di più i freestyler o gli integralisti del BJCP, ma trovo entrambi pericolosi dispensatori di consigli fuorvianti. Uscire totalmente dal seminato o starci dentro con la testa ben nascosta sotto la sabbia non fa molta differenza, il risultato è sempre lo stesso: una visione limitata del mondo birrario che difficilmente porta a discussioni produttive o suggerimenti utili alla comunità.

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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4 Commenti

  1. maestro, sono forse io? O____O’

  2. Ahahaha grande Frank! Pezzo spassossissimo che condivido in pieno!
    Aggiungerei la categoria del Fatalista Catastrofico che interviene a metà discussione con un lapidario: “butta via tutto” scatenando spesso la depressione del malcapitato homebrewer che ha osato esporre il suo problema.

  3. Articolo come sempre pieno di logica ed ironia! Complimenti! Personalmente detesto le prese di posizione estreme, in tutti i campi. I malati del BJCP e i tradizionalisti estremi sono quelli che mi hanno fatto desistere da cercare aiuto nei forum o nei gruppi FB. Preferisco trovare un buon blog o un buon libro e seguire quelli tentando di ragionare con la mia testa.

  4. Dopo 8 anni di esperienza, partendo dai kit fino ad arrivare (ormai da 6 anni) all’AG, ho imparato che i forum vanno bene quando non se ne sa niente o quasi, la birra la si impara a fare con l’esperienza, facendo sbagli esperimenti ecc ecc non passando le giornate sui forum sui siti o sui libri, fate tante cotte e sperimentate, se non siete scemi le birre vi verranno

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