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Le tante novità delle nuove Style Guidelines del BJCP

Come forse saprete, nelle scorse ore è stata pubblicata la nuova versione delle Style Guidelines del BJCP (Beer Judge Certification Program). Si tratta di un documento estremamente importante (qui in pdf), perché è considerato la Bibbia della definizione degli stili birrari, nonostante in realtà nasca come riferimento per i concorsi a tema. Poiché l’ultima revisione risaliva al 2008, le modifiche introdotte ora sono moltissime, come d’altra parte ampiamente previsto dall'”anteprima” risalente orma a quasi un anno fa. Il documento finale è molto ben redatto e zeppo di spiegazioni, perciò per una lettura approfondita ci vorrà tempo. Intanto però possiamo sfogliarlo insieme per analizzare le novità più interessanti.

Alcune osservazioni iniziali

Le 2015 Style Guidelines cominciano con un’ampia introduzione, che in gran parte serve come guida alla lettura e per spiegare il vero fine del documento. Sul sito di Brassare Romano trovate un buon riassunto dei “10 comandamenti” redatti dal BJCP per evitare fraintendimenti, mentre nei capitoli successivi sono illustrate le varie parti delle descrizioni di ogni stile. In particolare la voce Overall Impression non riassume più le caratteristiche di ogni stile, ma è utilizzata per indicarne l’essenza, le peculiarità che lo rendono unico e diverso da tutti gli altri. Molto interessante e apprezzata è la nuova sezione Style Comparison, che serve per distinguere uno stile da altri simili.

La nuova famiglia delle Czech Lager

Una delle integrazioni che attendevo con più curiosità era l’ingresso della famiglia delle Czech Lager, suddivise in Czech Pale Lager, Czech Premium Pale Lager, Czech Amber Lager e Czech Dark Lager. Come scrissi all’epoca, è un bel modo di restituire dignità a una cultura brassicola fondamentale, che spesso però è conosciuta solo per le Pils e rimane oscurata dalla vicina Germania. Il problema però è giustificare la definizione di nuovi stili per tipologie brassicole che, onestamente, spesso si sovrappongono con quelle tedesche: ad esempio a livello concettuale ancorché gustativo è difficile distinguere una Tmavé da una Schwarz. La soluzione proposta dal BJCP è la seguente:

Le Lager ceche nel complesso si differenziano da quelle tedesche e dalle altre Lager occidentali per presentare una lieve percentuale di zuccheri residui, mentre quelle tedesche sono totalmente attenuate. Questo aspetto comporta una gradazione finale più alta, un corpo leggermente più pieno e un profilo aromatico più ricco e complesso rispetto a Lager tedesche dello stesso colore e tenore alcolico. Le Lager tedesche tendono ad avere un profilo di fermentazione più pulito, mentre le Lager ceche […] possono avere una leggera nota di diacetile, appena percettibile, spesso percepita più come morbidezza tattile che come sensazione a livello aromatico.

La spiegazione vi ha convinto? In ogni caso capirete che siamo al cospetto di sfumature minime. Lascia invece più di qualche perplessità la scomparsa nel documento delle Bohemian Pilsner, a fronte del mantenimento delle cugine tedesce (German Pilsner). Com’è possibile che sia stata cancellata la versione originaria delle Pils? La risposta è nella sezione Histrory delle Czech Premium Pale Lager, dove si legge: “Commonly associated with Pilsner Urquell”. In pratica le Bohemian Pilsner sono state rinominate in Czech Premium Pale Lager, una scelta che trovo orrenda.

L’ingresso degli assenti ingiustificati

L’ultima revisione delle Style Guidelines ha corretto una grave mancanza della precedente versione: l’assenza di stili fondamentali e spesso ampiamente diffusi in tutto il mondo. Ecco che perciò ora troviamo tipologie come British Golden Ale, Gose e Kellerbier. In particolare queste ultime sono suddivise nei due sottostili Pale e Amber per cercare di fare ordine in una famiglia molto variabile. Semplificando molto, le prime sono una versione più moderna su base Helles (quindi Helles non filtrate), le secondo più tradizionali su base Marzen (come si trovano principalmente in Franconia).

La grande famiglia delle birre storiche

Le già citate Gose rientrano in un’ampia famiglia di stili storici, che evidentemente sono stati inseriti più per motivi “didattici” che per un’effettiva abbondanza sul mercato – Gose a parte, chiaramente. Oltre alle birre salate tipiche di Lipsia ora troviamo:

  • Kentucky Common: uno dei pochi stili nati in America, rappresenta birre assimilabili a Cream Ale scure, prodotte con una percentuale di mais. Alcune speculazioni homebrewed le vorrebbero acide, ma non esistono conferme storiche in tal senso.
  • Lichtenhainer: una tradizionale birra di frumento tedesca, acida e affumicata. Se non sbaglio ne produce un esempio il Ducato.
  • London Brown Ale: una Brown Ale estremamente dolce, con il caramello in totale evidenza. Può essere considerata una Sweet Stout meno tostata o una Mild molto dolce.
  • Piwo Grodziskie: di questo abbiamo parlato in passato anche su Cronache. Sono birre tipiche della Polonia, prodotte generalmente con solo frumento affumicato su legno di quercia. In Italia sono prodotte da Amiata e Birrificio Italiano.
  • Pre-Prohibition Lager: più robuste, amare e ricche delle American Pale Lagers.
  • Pre-Prohibition Porter: più morbide e meno amare delle moderne American Porter, ma anche meno caramellose delle English Porter.
  • Roggenbier: queste sono piuttosto conosciute, configurandosi come birre tedesche di segale, spesso vicine alle Dunkelweizen.
  • Sahti: storiche birre finlandesi, realizzate con segale, poco luppolo e bacche di ginepro.

L’inquietante famiglia delle Specialty IPA

Il dominio internazionale delle IPA ha spinto il BJCP a creare una famiglia Specialty IPA, nella quale rientrano sottostili dal dubbio gusto: a parte le comprensibili Belgian IPA, White IPA e Black IPA, troviamo anche le Brown IPA, le Red IPA e le Rye IPA. Senza dimenticare le varie American IPA, Double IPA e English IPA che fanno storia a sé.

Il sospiro di sollievo

È per la scampata cancellazione delle Old Ale, che per fortuna sono regolarmente al loro posto nella famiglia delle Strong British Ale.

Il piccolo ma importante tocco d’Italia

In una delle ultime pagine delle Style Guidelines, e più precisamente nell’appendice B, troviamo anche un pizzico d’Italia. La sezione è dedicata alle tipologie regionali che non sono state promosse a stili ufficiali, ma alle quali il BJCP ha voluto rendere omaggio, se così si può dire. Oltre agli stili argentini delle Pampas Golden Ale e delle Argentine IPA, troviamo le nostre Italian Grape Ale. Ecco alcuni estratti della sezione che le riguarda:

Una Ale italiana caratterizzata da diverse varietà di uva, talvolta leggera, talvolta complessa.

In termini di aroma, il carattere dell’uva (mosto o vinoso) deve essere presente, ma variare da un’intensità leggera a media. Diverse varietà di uva possono contribuire in maniera differente sul profilo aromatico […] Ulteriori sfumature fruttate provenienti dalla fermentazione sono comuni. […] Note tostate o di cioccolato sono inappropriate. Alcuni toni aciduli sono comuni e possono aumentare la bevibilità, ma non devono essere preminenti come nei Lambic o nelle Flanders Red Ale. Aromi di quercia, accompagnati da note terrose o di aia derivanti dall’affinamento in legno possono essere presenti, ma non dovrebbero essere predominanti. Diacetile da assente a bassissimo.

Prodotte da molti birrifici italiani negli ultimi anni, rappresentano l’incontro tra la birra e il vino grazie all’ampia disponibilità di differenti varietà di uva in tutto il paese. Possono rappresentare l’espressione di appartenenza al territorio, biodiversità e creatività del birraio. Normalmente considerate come birre speciali nella gamma del birrificio.

Insomma, anche se le Italian Grape Ale non rappresentano uno stile ufficiale, dimostrano la crescente importanza che sta acquisendo il nostro paese nella scena birraria mondiale. E chissà che non aver promosso la tipologia a stile non si rivelerà un grave errore per i boss del BJCP…

Considerazioni finali

Le nuove Style Guidelines sono un documento ampio e pieno di informazioni, una vera pacchia per beer nerd come noi. Il loro valore didattico è straordinario e la revisione fresca di stampa ha corretto diversi problemi. Tuttavia i punti oscuri non mancano e non sono certo da poco conto. Tre sono quelli che secondo me saltano agli occhi:

  1. La parcellizzazione degli stili – Il numero degli stili è cresciuto notevolmente e non solo per le integrazioni più o meno necessarie. In diversi casi sembra che si sia proceduto a suddividere in maniera eccessiva le principali famiglie, arrivando a distinzioni spesso incomprensibili. Il caso più evidente è quello delle Specialty IPA, ma non è il solo. Il risultato è che è difficile non sentirsi disorientati di fronte all’indice di tutte le tipologie.
  2. La visione americo-centrica – Una delle cause del precedente problema è una visione fin troppo influenzata dalla movimento statunitense. D’accorso che la birra craft negli USA rappresenta un fenomeno clamoroso, ma assegnare agli Stati Uniti un dominio culturale (in termini brassicoli) è una mossa opinabile. Spulciando l’indice la parola “american” si incontra ben 17 volte, mentre lascia perplessi la scelta di usare l’aggettivo per definire la famiglia delle Wild Ale.
  3. La nomenclatura poco chiara – Secondo me alcuni errori sono stati compiuti nella ridenominazione di alcuni stili, che in diversi casi hanno perso il loro appellativo tradizionale. Delle Bohemian Pilsner abbiamo già parlato, ma bisognerebbe citare anche la trasformazione delle Dortmunder Export in German Helles Exportbier e delle Maibock in Helles Bock. Senza parlare della scomparsa della denominazione in scellini per gli stili scozzesi.

Di cose da scrivere ce ne sarebbero ancora molte, ma come accennato per un’analisi completa servono giorni. Qual è per il momento il vostro pensiero sulle nuove Style Guidelines del BJCP?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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12 Commenti

  1. La tentazione è quella di continuare a riferirmi alle vecchie linee guida, sinceramente.
    Non ho capito perchè sulle birre ceche non abbiamo messo i nomi in lingua ceca poi…

  2. Gianriccardo (scustumatu)

    bell’articolo Andrea! mi trovo essenzialmente d’accordo con le tue considerazioni.
    per ciò che concerne il prefisso della nazionalità sui vari stili (german, belgian etc) una mia proposta fatta in occasione della commissione europea per la revisione delle linne guida, fu quella di eliminare tali suffissi. il motivo è che nei Paesi di origine non si usano (fatta eccezione per gli USA). non esite la definizione di german pils come non esiste la bohemian pils o la belgian golden strong ale. è un modo di classificare inventato da loro.

    Legare il “wild” “all’american” da un po’ fastidio anche a me ma bisogna riconoscere che in Europa, a parte qualche eccezione, di birre wild non se ne producono. neanche in belgio più di tanto… lambic e flemish sono ovviamente categorie a parte. brucia un po’ ma ci può stare. Poi gli americani sono eccezionali ed ovviamente si sono preparati anche il terreno con l’uscita di qualche libro a tema (i.e. American Sour Beers), opinion leader del settore hanno fatto circolare la definizione da tempo. La Brewer Assosiation la elenca già da un po’ di anni nelle loro linee guida.

    Poi sono contento, come già detto altrove, che abbiano confermato l’inclusione di un nostro stile in guida. seppur inserito in una sorta di “varie ed eventuali” reputo sia un grande riconoscimento e potrebbe servire a far aumenare l’interesse verso i nostri prodotti. Alla fine l’Italia e l’Argentina sono gli unici Paesi non tradizionalmente birrari rappresentati in guida…

    In generale la revisione 2015 mi piace e a parte qualche punto penso vada nella giusta direzione.

    • Contentissimo pure io che venga fatta menzione delle Italian Grape Ale, sia pure in appendice, ma sono anche convinto che tra qualche anno daranno vita a un vero e proprio stile. Come sono lontani i tempi in cui si riteneva che lo stile tipicamente italiano coincidesse con la birra alla castagna…

  3. Domanda, forse da ignorante: Leggendo il nuovo “style guidelines” mi sono chiesto se un degustatore esperto che si trova ad assaggiare una english golden ale ed una american blonde ale sia veramente in grado di distinguere i due diversi stili, che hanno caratteristiche molto simili e per molti parametri uguali.

    • Nel caso specifico che hai indicato probabilmente sì. Esistono però altre situazioni in cui un giudice, per quanto esperto, faticherà a distinguere due stili molto simili.

      • Però, teoricamente, con una ricetta identica si può creare una birra che rientra perfettamente in entrambi gli stili. 😉

        • Non ho letto nel dettaglio le linee guida dei due stili, ma teoricamente la differenza la fanno i luppoli. Quindi la regola della ricetta identica non vale 😉

  4. @Andrea Turco

    per: Che 2015 birrario sarà?
    “- TREND MONDO
    Arriveranno alla ribalta mondiale birrifici Sudamericani…”

    BJCP 2015
    Argentine Styles

    Aggiorniamo i punti del fanta-beer 2015, grazie 😀 😀 😀

  5. Domanda seria: della Italian Grape Ale glie ne frega davvero a qualcuno?

    Abito all’estero, e seguendo notizie e blog non mi sembra che si producano ne si consumi in quantità tale stile.

    In Argentina al contrario, i vincoli legati alla difficile reperibilità di materia prima importata ha fatto si che si siano sviluppati sottostili. La Dorada Pampeana é la prima ricetta che brassa ogni homebrewer argentino, e la IPA argenta, prodotta sia da hb che da aziende si basa su luppoli locali.

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