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Il Salone del Gusto visto da Papazian

Il Salone del Gusto è un evento straordinario, capace di imporsi come appuntamento quasi religioso per tutti coloro che fanno del mangiare e bere bene una propria regola di vita. L’attesa per la manifestazione è cresciuta esponenzialmente nelle passate settimane, al punto che negli ultimi giorni gran parte dell’opinione pubblica era concentrata su questo evento dal carattere pressocché ascetico. Credo che partecipare al Salone sia una grandissima esperienza, purtroppo non tutti hanno avuto la possibilità di essere tra le migliaia di visitatori che hanno affollato Lingotto Fiere. Tra costoro c’ero anch’io…

Proprio per chi non ha preso parte alla manifestazione, leggere in questi giorni i resoconti nei vari siti di informazione enogastronomica è una discreta consolazione. Tra questi merita attenzione quello di Charlie Papazian, vuoi perché è uno dei nomi più famosi al mondo legati alla birra artigianale, vuoi perché ci offre il punto di vista di uno straniero, cosa che non fa mai male…

Papazian, presidente della Brewers Association, ha condotto insieme a Kuaska il secondo laboratorio di giovedì pomeriggio, dal titolo “Americans do it bitter”. Simpatico gioco di parole, che ovviamente introduce una delle caratteristiche principali delle birre d’oltreoceano, ovvero il diffuso ricorso a luppolature generose. Papazian però ci tiene a fare una giusta precisazione sin da subito:

Sin dall’inizio della mia introduzione al laboratorio, ho chiarito che l’amaro non è l’elemento principale che contraddistingue le produzioni artigianali americane. Piuttosto lo sono l’equilibrio tra l’amaro, gli aromi e i sentori riconducibili all’uso del luppolo. Potrei dire “Americans do it better”. Sono all’avanguardia nell’uso dei luppoli – l’impiego dei quali non si riduce alle sole percezioni amare.

Durante il suddetto laboratorio (che ha registrato il tutto esaurito con un’ottantina di partecipanti entusiasti), sono state degustate 6 birre americane, ognuna con caratteristiche peculiari, sia a livello produttivo che sensoriale. Così la Alaskan Golden Pale Ale si distingue per le sue note mielate e floreali derivanti dall’uso del luppolo Tettnanger, la Deschutes Mirror Pond Ale per sentori di cedro e limone tipici del Cascade (unica varietà di luppolo impiegata), la Odell’s IPA per aromi erbacei riconducibili all’uso di Simcoe e Columbus, e così via.

Si è trattato presumibilmente di un laboratorio molto interessante, prezioso per allontanarsi dai luoghi comuni in cui tutti, più o meno, tendiamo a cadere parlando di una specifica cultura birraria o un determinato stile. Ridurre infatti la visione della produzione statunitense solo a birre “amare” o “estreme” è una pericolosa semplificazione di una cultura brassicola che invece è estremamente variegata. E che ha fatto della sperimentazione uno dei suoi punti di forza, al punto che su molti aspetti è considerata all’avanguardia. L’uso del luppolo è tra questi.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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