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È tempo di Bock: la storia, le feste e le evoluzioni delle birre invernali tedesche

Nelle ultime panoramiche sugli eventi birrari ho sottolineato come il periodo in corso non sia particolarmente generoso in termini di manifestazioni a tema. Se però spingiamo lo sguardo oltre confine e oltrepassiamo la frontiera con la Germania, scopriamo che l’attuale fase dell’anno è estremamente importante per molti birrifici tedeschi, in special modo quelli più tradizionali concentrati in Franconia. È proprio in queste settimane, infatti, che si tengono le consuete Bockbieranstich, le feste per la “sboccatura” (cioè la prima spillatura) delle Bock. Parliamo chiaramente delle classiche birre invernali della Germania, contraddistinta da un gusto spiccatamente maltato e da un tenore alcolico decisamente elevato (almeno secondo gli standard tedeschi), utile per scaldarsi durante le giornate più fredde dell’anno. È uno stile birrario estremamente importante per la storia brassicola d’Europa e per le evoluzioni della nostra bevanda nei secoli. Ma è anche una tipologia caduta un po’ in disuso uso a causa del successo delle birre luppolate e dell’ascesa dell’amaro.

La nascita delle Bock è storicamente associata al comune di Einbeck, in Bassa Sassonia. Il primo documento della loro esistenza risale addirittura all’aprile del 1378 e consiste in una ricevuta della vendita di due botti di birra locale destinate alla vicina città di Celle. Il successo della specialità brassicola di Einbeck può essere spiegato con l’entrata della città nella Lega Anseatica nel 1368, che le permise di trovare preziosi sbocchi commerciali in Scandinavia, Russia, Fiandre e Bretagna. Da notare che i consumatori di quelle regioni erano abituati a bere birre considerate moderatamente forti, un aspetto che probabilmente favorì a Einbeck la nascita di produzioni con caratteristiche analoghe.

In realtà il successo delle birre di Einbeck derivò presumibilmente dal peculiare sistema di controllo qualità in vigore nella zona. Dozzine di cittadini possedevano infatti la licenza per maltare i propri cereali (principalmente orzo e frumento) e maturare la birra nelle proprie cantine, ma nessuno di loro poteva possedere un birrificio. Gli unici impianti produttivi erano invece di proprietà del comune e il consiglio di Einbeck ingaggiava birrai professionisti per l’esecuzione delle cotte. Questi ultimi selezionavano i malti provenienti dai cittadini, portavano fisicamente le attrezzature nelle loro case, supervisionavano la produzione e poi rilasciavano un certificato di qualità. Le ricette dunque erano sempre le stesse ma soprattutto c’era una ragionevole sicurezza che le birre avrebbero rispettato gli standard qualitativi imposti a livello collettivo.

La storia delle Bock è infarcita di curiosità interessanti, come l’elogio pubblico che ne fece Martin Lutero nel 1521 durante la Dieta di Worms o l’immagine del caprone che è diventata il simbolo di tante incarnazioni di questo stile – la parola “bock”, frutto della storpiatura del nome dalla Einbeck, in tedesco significa appunto “caprone”. Tra i vari aneddoti ce n’è anche uno legato strettamente all’Italia, poiché all’epoca della sua massima diffusione la birra di Einbeck fu inviata alla storica facoltà di medicina dell’Università di Salerno per essere analizzata nei prestigiosi laboratori del tempo; fu descritta con l’espressione “vinum bonum” per sottolinearne l’elevato livello qualitativo.

Nel 1578 la città di Monaco spese ben 562 fiorini per importare la birra di Einbeck e nel 1617 il birrificio Hofbrauhaus ingaggiò un birraio del villaggio sassone per replicare la ricetta delle Bock in loco. Fu l’inizio dell’innamoramento della Baviera per quelle birre, il cui consumo divenne particolarmente diffuso soprattutto nel periodo della Quaresima. Cominciarono anche a svilupparsi alcuni stili di derivazione, come le Doppelbock, le Maibock e le Bock di frumento (cioè le Weizenbock).

Le Bock dunque rappresentano uno stile fondamentale per la cultura brassicola tedesca, eppure possiamo affermare che oggi non godono certo di ottima salute. I problemi sono da ricercare nei motivi espressi inizialmente, ma anche nella tendenza all’arida omologazione che ormai da anni caratterizza la Germania, dove, a parte piccole realtà territorialmente circoscritte, la produzione dei birrifici è relegata alle tre o quattro tipologie più diffuse. Una delle eccezioni è rappresentata proprio dalla Franconia, dove non solo quella delle Bock resta una consuetudine ben radicata, ma esiste ancora un rituale legato a queste birre, di cui le già citate Bockbieranstich sono forse la dimostrazione più palese. Queste feste sono in grado di richiamare tantissimi bevitori, al punto che qualche anno fa il birrificio Mahr’s ebbe problemi a somministrare birra a tutti i presenti. Sul sito della cultura brassicola francone è presente il calendario aggiornato delle varie Bockbieranstich programmate nella regione: continueranno fino a dicembre inoltrato, quindi dategli un’occhiata.

Le Bock hanno influenzato in parte anche la nostra scena della birra artigianale, poiché appartengono (o appartenevano) a questo stile alcuni celebri prodotti di importanti birrifici italiani. Il birrificio Lambrate scelse proprio una Bock come tipologia a cui dare lo stesso nome del suo quartiere, mentre tra le prime creazioni del Birrificio Italiano va ricordata la Bibock, ancora regolarmente in produzione. In tempi più recenti si sono aggiunte, tra le altre, la Falesia di Lariano, la Cucunera di Manerba, la Punto G di Birrone e l’Abboccata di Birranova. Il giovane birrificio Ritual Lab ha scelto a sorpresa questo stile – seppur rivisitato – per una delle sue birre di debutto, battezzata non a caso La Bock. Quello del produttore romano è stato però un caso abbastanza particolare, perché in realtà nel nostro paese non solo le Bock si contano sulle dita di una mano, ma come altrove la loro presenza sul mercato è diventata parecchio rarefatta.

Paradossalmente oggi è molto più facile trovare stili tedeschi di nicchia, magari reinterpretati in chiave moderna come Gose o Berliner Weisse, piuttosto che una tipologia come quella originaria di Einbeck. La recente riscoperta per le basse fermentazioni potrebbe giovare alle Bock, ma il loro profilo organolettico spostato sulla componente dolce è un ostacolo non certo indifferente per gli attuali gusti del mercato. La speranza però è che anche in questo caso si trovi una chiave di lettura efficace e capace di stimolare i consumatori verso uno stile fondamentale per la storia della nostra bevanda e che non possiamo permetterci di perdere.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Citerei ad esempio la Celebrator di Ayinger (e anche la sua buonissima weizenbock), o Vitus e Korbinian fatte da Weihenstephaner, o la Aventinus di Schneider (anche la loro Eisbock) tra gli esempi eccellenti.
    Vero che a livello internazionale la gente ha il palato fatto ormai per le IPA, ma in Baviera per fortuna la gente ci tiene ancora alle tradizioni, e il loro pubblico continuano ad averlo, per ora almeno. E mi auguro continuino.
    Forse si può dire che le doppelbock/weizenbock abbiano resistito, mentre le “semplici” bock sono un pò sparite?

    • Sì appunto l’intenzione dell’articolo era di concentrarsi esclusivamente sulle Bock e non sui suoi sottostili. Paradossalmente è più facile trovare Doppelbock che Bock

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