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Indagare uno stile: tutta la verità su Scotch Ale e Scottish Ale

“Not a tale of peat, heather and icy winds.” R. Pattinson

Dal ritorno dal mio recente viaggio in Scozia, ho iniziato a riflettere su cosa ho bevuto in questa meravigliosa regione. Prima della partenza le aspettative erano altissime ed ero pronto all’assaggio di bombe di malto, colore mogano impenetrabile, morbide al palato, con un ricordo lontano di luppolo e un modesto tenore alcolico, per scaldarsi nelle fredde serate scozzesi. E invece… non ho trovato la tipologia di birre che mi aspettavo; sono stato vittima di una discreta delusione, in quanto ho intercettato birre poco alcoliche, scarsa attenzione a stili storici o tradizionali e tante IPA, forse complici sia la moda sia il clima estivo. E allora mi son chiesto: cosa conosciamo noi delle birre scozzesi? Quali sensazioni ci vengono in mente quando pensiamo a questo stile? E più di ogni altra cosa: tutto ciò che conosciamo è mito o realtà?

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In questo articolo vorrei focalizzarmi su come sia stato reinterpretato uno stile perduto, sottolineando la differenza tra le birre scozzesi di una volta e quelle attuali, e mostrarvi come il mondo brassicolo reagisca e si adatti a nuovi ritrovamenti storici. Per scattare in modo nitido questa fotografia sul panorama delle birre scozzesi, arricchiamo il discorso con diversi assaggi in bottiglia e alla spina e le considerazioni di un birraio.

Quando pensiamo alle birre scozzesi, ci vengono in mente birre corpose, poco amare, aventi un gusto intensamente maltato con aromi tipici di caramello, torrefatto, affumicato e tostato. La tradizione (ma non la storia!) racconta di temperature di fermentazione quasi da lager, lunghi tempi di bollitura con caramellizzazione del mosto e luppolatura minimalista. Anche nel libro Degustare le birre di Randy Mosher, troviamo commenti su “temperature di fermentazione più basse per via dei climi freddi” e sul fatto che “il luppolo non cresca un granché in Scozia e per ragioni commerciali  non era presente in grandi quantità in queste birre”. Ma si tratta comunque di diversi anni fa (2009, ristampa 2013). Similmente è curioso notare come diversi manuali birrai (alcuni anche recentissimi) continuino a descrivere le birre scozzesi in questa veste “surreale”.

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Indagini in corso: ale scozzesi sotto lente d’ingrandimento

In verità sembra che un fantastico castello di congetture, fantasie e fraintendimenti è stato costruito su questo stile e sulle tradizioni brassicole per produrlo. Recentemente alcuni appassionati di storia della birra hanno contribuito a far emergere e diffondere nuovi aspetti di antichi stili birrai. Uno fra tutti Ronald Pattinson che con in suoi volumi Scotland! And Scotland! e Home Brewer’s guide to vintage beer, ha voluto far luce sulla vera origine sulle birre scozzesi, andando a demolire però quell’aura (e -diciamocelo – anche la poesia) che si è costruita su di esse. Questo è quello che è emerso dalla ricerca storica e dallo spulciare i documenti di antiche cotte:

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  • Si trattava di birre ambrate o ambrato carico (circa 6-15 SRM), o per lo meno il più possibile simili al colore “pale”, quindi decisamente più chiare degli esempi attuali
  • La luppolatura era generosa (circa 40-60 IBU) effettuata sì con classici EKG e Fuggle, ma in linea con altri stili inglesi vicini a cui si ispiravano (in particolare le Burton Ale e le Mild)
  • Tempi di bollitura simili a quelli delle vicine Ale inglesi (ovvero dai 60 ai 90 min), se non addirittura più brevi! Questo era dovuto a due motivazioni tecniche, ossia preservare l’aroma del luppolo e cercare di mantenere il colore più “pale” possibile.
  • Attenuazioni inferiori rispetto alle fermentazioni attuali (ovvero valori di circa 55-65% rispetto al 72% attuale, inteso come un valore medio dei vari lieviti commerciali)
  • Temperature di fermentazione tipiche di un’alta fermentazione (circa dai 15 ai 21 °C) e simili al resto dell’Inghilterra: i registri di produzione industriale non mentono!

Riguardo all’uso di malti torbati (peated) o affumicati, vale la pena spendere qualche parola in più, spiegando il fatto che in epoca precoloniale queste birre dovevano mostrare dei sentori derivanti dalla torba o dal carbone usato per alimentare il fuoco del processo di essiccazione del malto. Ovviamente, con il progresso tecnologico dei processi di maltazione, si è iniziato a gradire birre con sapori più puliti, per via dell’uso di malto essiccato su fuoco indiretto. Inoltre è ragionevole pensare che gran parte dei bevitori scozzesi non avesse piacere nel bere una birra con retrogusto affumicato dopo aver trascorso un’intera giornata lavorativa in una miniera di carbone o presso un gruppo caldaie di un impianto industriale! Solo recentemente i birrai hanno iniziato a rivalutare le tradizioni antiche e a giocare con le materie prime, e di conseguenza si è assistito all’introduzione nella ricetta di piccole dosi di malto affumicato.

Il revamp delle Scotch ale: i contributi di UK e USA

Nella seconda metà del novecento gli stili scozzesi quindi erano sull’orlo della scomparsa: le guerre mondiali, il lento collasso dell’impero inglese hanno spento la macchina industriale dell’export scozzese. Solo recentemente gli americani, probabilmente per via della presenza di numerose comunità con forti radici scozzesi, sono stati coloro che hanno rifatto partire la tradizione brassicola scozzese. Con un unico neo: reinventandola o modificandola sensibilmente, basandosi su sensazioni, preconcetti o sui pochi documenti storici che anni fa erano a disposizione.

Celebri birre come la Dirty Bastard di Founders, Old Chub di Oskar Blues e Wee Heavy di AleSmith, sono alcuni ottimi esempi di questo tentativo di riportare alla luce lo stile scozzese scomparso. Si caratterizzano per un contenuto alcolico piuttosto alto e un’elevata complessità aromatica della componente maltata; spesso sono ancor più famose le loro versioni Barrel Aged, ossia con passaggio in botti di whisky (tipico prodotto scozzese ma slegato dalla produzione brassicola, in quanto le Scotch Ale erano principalmente commercializzate in bottiglia). A livello commerciale globale, le Scotch ale più famose sono diventate appunto quelle statunitensi, birre molto elaborate e apprezzate per la loro complessità, contribuendo però a un’idea distorta della ricetta originale.

Noi abbiamo assaggiato la Claymore Scotch Ale di Great Divide, una birra che si presenta al naso e al palato con le sue sole componenti di malto, 7.7% abv accompagnati da corpo medio e un gusto dolce, la schiuma fine e marroncina, il colore marrone scuro.

Per quanto riguarda la terra natia di queste birre, attualmente alcuni birrifici propongono delle interpretazioni di questo stile con birre aventi caratteristiche piuttosto simili a quelle descritte per le cugine americane. Skull Splitter di Orkney Brewery, Outlander di Loch Lomond Brewery, Wee Heavy di Belhaven, The Original di Innis and Gunn sono solo alcuni esempi di queste strong ale brassate in Scozia.

Noi abbiamo assaggiato la Old Parochial Ale del birrifico scozzese Tempest Brewing, birra impegnativa definita come Imperial Scotch Ale con i suoi 11.5° abv; la schiuma è assente e il colore della birra è marrone molto scuro con riflessi rubino; agitando il bicchiere si formano densi archetti, in bocca stupisce l’aroma di liquirizia che permane a fine sorso. Birra da meditazione, molto simile a un Barley Wine.

Potremmo semplificare il discorso dicendo che originariamente le Scottish e le Scotch Ale erano in verità rispettivamente delle interpretazioni di Mild e Strong Ale inglesi ma prodotte in Scozia, il cui nome fu inventato dai birrai scozzesi in modo da sfruttare l’ennesimo cliché del territorio per favorirne le vendite oltre confine. Prima della diffusione di questi stili, i birrai scozzesi infatti producevano quasi solamente Porter; fu poi con l’avvento delle Pale Ale e delle IPA nell’Inghilterra che essi incominciarono a copiare gli stili birrai delle città vicine (es. Burton on Trent). Con il decorrere del tempo poi, questi stili deviarono in maniera sostanziale dai prototipi originali.

E il BJCP come si esprime al riguardo?

Innanzitutto analizziamo come sono organizzate le categorie: nella ultima release del 2015 (qui in pdf) le birre scozzesi sono state ripartite in due categorie diverse:

  • Le Scottish Ale fanno categoria a sé n°14, con i sottogruppi 14A light, 14B heavy ed 14C export.
  • Le Scotch Ale sono state inserite all’interno della categoria n°17 Strong British Ale come sottogruppo chiamato 17C Wee Heavy

Ma la designazione non è stata sempre questa. Nelle precedenti linee guida del 2008, la classificazione delle birre scozzesi era ben diversa, infatti esse rientravano insieme alle Irish Red Ale nella categoria n° 9, e le Scottish Ale riportavano ancora la loro denominazione in Shilling 60-70-80 ormai considerata inappropriata.

Per quanto riguarda le caratteristiche dello stile invece, troviamo osservazioni e cambiamenti interessanti. Ad esempio per quanto riguarda le Wee Heavy, ossia le Scotch Ale, nella versione del 2015 si è voluto sottolineare (aggiungere) che “il torbato è inappropriato” in quanto l’impiego del malto torbato non è assolutamente tradizionale; inoltre dai commenti storici presenti nella versione del 2008 sono state rimosse le affermazioni inerenti alle fermentazioni a più bassa temperatura e all’aggiunta di una piccola porzione di malto affumicato, che sono entrambe proprio quelle in oggetto a questo articolo!

Anche i commenti per le Scottish Ale sono stati rivisti tra le due edizioni, in particolare nella release del 2015 si legge che queste birre “focalizzate sul malto ricavano le loro caratteristiche dai malti speciali e mai dal processo di produzione. Non è tradizionale tostare il malto o gli zuccheri del mosto durante la caramellizzazione in bollitura”. Tuttavia nella versione del 2008 il messaggio era l’esatto opposto ovvero che “qualsiasi nota caramello deriva da un processo di caramellizzazione in bollitura e non da malti caramello” probabilmente rifacendosi al falso mito delle cotte con tempi di bollitura più lunghi della media.

Da notare come per questa categoria un eventuale carattere affumicato è da considerarsi atipico, soprattutto se derivanti dall’impiego di malti affumicati, e farebbe ricadere la birra in esame nella categoria 22B Smoked Beer. Nei commenti sugli ingredienti infatti, il BJCP cambia registro linguistico diventando più severo: mentre si definiva nel 2008 il carattere torbato (da lieve a moderato) come opzionale, nel 2015 si insiste sulla non autenticità dei malti affumicati per generare qualsiasi nota torbata (che in passato per motivi storici, poteva essere generata dall’uso di acqua per la cotta, raccolta vicino a terreni torbati).

Per quanto riguarda invece l’aspetto della birra (colore), luppolatura e tenore alcolico, i loro livelli moderni hanno soppiantato quelle originali e sono stati accettati come tali; anche gravità iniziale e finale sono inferiori rispetto alle loro antenate storiche.

Cosa è successo quindi? Sembra che il BJCP abbia preso coscienza di quanto è emerso dalle biblioteche e sia concorde con queste ultime speculazioni storiche, cercando di evidenziare il carattere vero e originale delle birre scozzesi, per rispetto della tradizione e sottolineando la differenza tra presente e passato. 

E in Italia come interpretiamo le Scotch Ale?

Ed ora la parte più divertente: è sempre curioso vedere come nel nostro paese interpretiamo tradizioni estere, antiche o recenti che siano. Prendendo in analisi le Scotch Ale presenti sul territorio italiano troviamo diverse incarnazioni: in tutte all’assaggio il malto fa da padrone ma presentando diverse sfaccettature. Per comprenderle abbiamo assaggiato alcune creazioni brassicole in bottiglia, citando qui di seguito qualche peculiarità per ciascuna:

  • Daughter of Autumn di Retorto di colore ambrato scuro e schiuma beige poco persistente. Una birra caratterizzata dall’uso di malto torbato, la cui affumicatura al naso e al palato rimane morbida. Corpo e carbonazione medi e un contributo del luppolo minimo (25 IBU).
  • Peacemaker collaborazione tra Casa di Cura e Buskers Beer si presenta con la sua componente maltosa particolarmente ben bilanciata: un finale lievemente amaro per bilanciare il dolce iniziale (40 IBU), con note agrumate cha danno complessità alla birra.
  • Fata Morgana di Eastside è la più forte di quelle assaggiate con il suo 9% abv e in bocca mostra corpo pieno, un sorso rotondo e permanenza elevata. A fine bevuta si percepisce la nota alcolica, anche se mai pesante.
  • Nessie di Lungosorso con i suoi 18 °P e 33 IBU offre sentori di caramello con un leggerissimo torbato. Al sorso le note torbate salgono in evidenza insieme a quelle di prugne secche, il finale è lievemente acidulo e si scompone rapidamente.

Abbiamo assaggiato invece alla spina Campus di Brasseria Augusta Taurinorum gustata nell’omonimo brewpub torinese. È una birra rossa, non dolce, in cui il contributo del malto si fonde subito con l’amaro evidente del luppolo, dando aromi floreali ed erbacei (5.5 %/Vol 5,5).

E infine abbiamo bevuto Madoc di Parsifal con la fortuna di farcela raccontare e spiegare direttamente dal birraio Maurizio Musi. Dopo una ricerca storica sullo stile, il birraio ha optato per fare una Scotch Ale in stile precoloniale, impiegando del malto torbato su base pale. Questa birra prende forma grazie a una oculata miscela di altri malti (Crystal, Special B, etc.) unita a luppolo inglese EKG come da tradizione. Al naso la nota torbata è evidente ma non invasiva, al palato essa lascia spazio al caramello per chiudere su un finale lievemente zuccherino e con spiccato sentore di miele (aggiunto alla ricetta). La chiacchierata è stata piacevole, spaziando dalla storia delle birre scozzesi alle moderne tecniche produttive del malto torbato nelle malterie inglesi.

E poi ancora possiamo trovare altre Scotch Ale italiane fra cui:

  • Last Witch di Toccalmatto  arricchita con malto torbato e coriandolo.
  • Ila di Birra Perugia affinata in barili usati nella produzioni di whisky, provenienti direttamente dalla Scozia.
  • Sinch Sent Sold di Tassoalcolico in collaborazione con Loverbeer, che matura in botti di rovere (ex-Cognac e ex-Lambic)

Le Scottish e le Scotch Ale sono un tipico caso di come uno stile storico, quasi scomparso, abbia ritrovato celebrità e splendore in una veste diversa da quella originale. Oggigiorno sono delle birre principalmente dolci, con una gradazione alcolica medio alta e un buon corpo. Alcune presentano note torbate o effettuano un passaggio in legno. E per voi, dopo tutte queste considerazioni, qual è la vostra Scotch Ale preferita?

Andrea Bedini
Andrea Bedini
Chimico di professione, appassionato di viaggi e montagna. Da diversi anni fa parte della redazione di Cronache di Birra, è membro attivo e organizzatore di eventi presso il Beer Tasting Torino. Fondatore dell'Associazione Pommelier e Assaggiatori Sidro, è tra i curatori della Guida alle Birre d'Italia per la sezione sidro. Diplomato assaggiatore ONAB e ONAV, collabora con l'università su alcuni temi scientifici dei fermentati.

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3 Commenti

  1. Interessante articolo. Nella mia Scotch Ale preferita la presenza di una leggera nota torbata ci dev’essere. E’ storicamente autentica anche così. O no?

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