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Blanche, Gose e non solo: gli antichi stili di birra salvati dalla passione dei singoli

Tanti antichi stili birrari sono arrivati ai nostri giorni dopo percorsi travagliati. Non tutti ce l’hanno fatta: si calcola che decine di specialità regionali siano andate perdute nel tempo, a causa di cambiamenti sociali, economici e culturali, nonché per l’avvento di precisi eventi storici, come la promulgazione del Reinheitsgebot, la diffusione  sistematica delle basse fermentazioni e la concentrazione del mercato internazionale in pochi grandi gruppi brassicoli. Alcuni remoti stili birrari hanno rischiato di scomparire del tutto – ed erano effettivamente scomparsi – prima di tornare in vita grazie allo spirito d’iniziativa di alcuni birrai e appassionati. La loro opera è stata fondamentale per preservare le tradizioni brassicole del passato e garantire la continuità produttiva di tipologie che oggi altrimenti  non potremmo bere, né conoscere. Il caso più celebre è quello di Pierre Celis e delle Blanche del Belgio, ma come vedremo gli esempi non mancano.

Pierre Celis – Blanche

Allora partiamo proprio dal famoso lattaio che ha salvato dall’oblio le tipiche birre bianche del Belgio. Le Blanche, o Witbier, erano ampiamente diffuse nelle Fiandre, in Olanda e in Nord Europa sin dal Medioevo, sebbene in versioni fisiologicamente diverse da quelle che conosciamo oggi. Nel XVIII secolo il loro centro nevralgico diventò la città di Hoegaarden, nel Brabante orientale, dove continuarono a prosperare fino all’inizio del XX secolo, quando entrarono in crisi. L’ultimo produttore di Blanche chiuse i battenti nel 1955, decretando la morte dello stile. Le Blanche scomparvero per oltre un decennio, fino a quando, nel 1966, Pierre Celis realizzò il suo sogno: aprire un proprio birrificio e tornare a produrre una Blanche. Celis non partiva da zero, poiché aveva a lungo lavorato come garzone per Louis Tomsin, l’ultimo birraio di Hoegaarden, e dunque conosceva i segreti dello stile.

La birra di Celis, battezzata Hoegaarden come la sua città natale, incontrò un insospettato successo di pubblico. Soprattutto i giovani apprezzarono quella birra leggera, dissetante, acidula e piacevolmente speziata, che si rivelò un’idea imprenditoriale azzeccatissima. Molti birrifici seguirono l’esempio di Celis e in poco tempo le Blanche tornarono a diffondersi in tutto il Belgio, prima di essere replicate dai birrifici del resto del mondo con l’avvento della rivoluzione della birra artigianale. A causa delle difficoltà susseguenti a un incendio nel birrificio, a metà degli anni ’80 Celis vendette l’azienda alla multinazionale Interbrew. Si trasferì in Texas e aprì un nuovo birrificio ad Austin, ma dopo qualche anno cedette nuovamente alle lusinghe dell’industria, anche in questo caso convinto da alcune difficoltà economiche. Nel 2000 la Miller subentrò totalmente nell’azienda americana di Celis. Pierre Celis è morto nel 2011 all’età di 86 anni. Oggi è giustamente considerato una delle figure più importanti della storia recente della nostra bevanda.

Lothar Goldhahn – Gose

Se la storia delle Blanche vi sembra travagliata, aspettate di conoscere quella delle Gose, le tipiche birre salate di Lipsia (ma nate a Goslar). Le Gose ebbero una straordinaria diffusione nella zona fino all’inizio del XX secolo, quando cominciò un declino repentino e inarrestabile. Durante la seconda guerra mondiale la produzione dello stile si interruppe e nel 1945 la Rittergutsbrauerei Döllnitz, ultimo produttore di Gose, fu confiscato e chiuso. Le Gose tornarono temporaneamente in vita quattro anni dopo, quando la Friedrich Wurzler Brauerei tornò a produrre lo stile. Friedrich Wurzler aveva precedentemente lavorato proprio presso la Rittergutsbrauerei Döllnitz e per le sue ricette si basò sugli appunti presi all’epoca del suo precedente impiego. Quando morì nel 1950 tramandò al figliastro Guido Pfnister i segreti delle Gose, che egli continuò a produrre nonostante la domanda fosse quasi inesistente – i locali che servivano queste birre erano solo due o tre. Nel 1966 Pfinister ebbe un attacco cardiaco e morì: le Gose tornarono nuovamente nell’oblio.

Bisognò attendere quasi vent’anni per tornare a bere una Gose e il merito fu della passione di un publican di Lipsia, Lothar Goldhahn, deciso a resuscitare le antiche birre della città. Innanzitutto restaurò e riaprì l’Ohne Bedenken, uno storico locale che in passato serviva Gose. Poi cercò un birrificio per realizzare la tipologia, senza tuttavia trovare interlocutori interessati o con la giusta tecnologia a loro disposizione. La svolta arrivò nel 1985: la Schultheiss Berliner-Weisse-Brauerei di Berlino Est si rese disponibile a brassare una cotta di prova, che i bevitori più attempati riconobbero simile alle Gose del passato. L’anno seguente venne realizzato un altro batch, ma nel 1988 il birrificio berlinese decise di interrompere la produzione. Nel 1991 Goldhahn rilevò il birrificio Löwenbrauerei di Dahlen, potendo finalmente realizzare personalmente la sua Gose. La domanda però rimase bassa e quattro anni dopo fu costretto a vendere l’azienda e a cercare un nuovo birrificio cui appoggiarsi. Lo trovò nell’Andrea Schneider Brauerei di Weissenburg, in Baviera. La completa rinascita dello stile avvenne con l’apertura della celebre Bayerischer Banhof a Lipsia, che fornì impulso allo stile, convincendo altri birrifici a fare lo stesso. Ciononostante il merito della sua rinascita è giustamente accordato a Lothar Goldhahn e alla sua grande passione.

Kay Hoppe – Lichtenhainer

Restiamo in Germania per parlare di un altro antico stile locale, forse persino più di nicchia delle Gose. In Turingia, regione che insieme alla Franconia custodisce le più profonde tradizioni brassicole della nazione, erano molto popolari nella seconda metà del XIX secolo le Lichtenhainer, chiamate così dal nome di uno dei comuni (Lichtenhain) di origine. Oggi le Lichtenhainer sono birre leggere, molto attenuate e carbonate, rinfrescanti ma moderatamente complesse a causa del connubio tra le due peculiarità più evidenti dello stile: il tono affumicato e il carattere acido. In realtà non abbiamo molte certezze sulle caratteristiche originali della tipologia, perché essa scomparve nel 1983, quando fu prodotta per l’ultima volta dalla Brauerei Ed. Barfuss Söhne di Wöllnitz. Quattordici anni dopo Kay Hoppe, proprietario della locanda Wöllnitzer Talschänke, decise di riportare in vita lo stile, arrivando a produrne circa 100 ettolitri l’anno sul suo impianto autocostruito. La rinascita incuriosì i birrifici di tutto il mondo, che cominciarono, pur saltuariamente, a confrontarsi con questo particolarissimo stile, contribuendo a mantenerlo in vita. Nel 2022 Kay Hoppe ha chiuso la Wöllnitzer Talschänke e ha interrotto la produzione, ma ormai il lavoro di recupero delle Lichtenhainer aveva già dato i suoi frutti.

Georg Schneider – Weizen

Chiunque odi le Weizen può maledire Georg Schneider, responsabile della sopravvivenza dello stile nel XIX secolo. A differenza delle tipologie precedenti, la sua non fu una vera e propria opera di salvataggio, perché “si limitò” ad acquistare nel 1872 la licenza per la produzione esclusiva delle Weizen dal Ducato di Baviera, in un periodo in cui queste birre vivevano una grave crisi. Il birrificio Schneider continuò a realizzare le tipiche birre di frumento bavaresi nonostante la domanda contenuta, che incredibilmente si protrasse fino agli anni ’60 del XX secolo: sebbene oggi siano estremamente diffuse, all’epoca rappresentavano solamente il 3% della produzione locale. La situazione cambiò velocemente nel periodo subito successivo, quando le Weizen, senza un apparente motivo, cominciarono un’improvvisa scalata, rosicchiando fette di mercato a velocità impressionante. Uno stile quasi scomparso tornò di moda e cominciò a essere replicato dai birrifici di tutto il mondo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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