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Il birrificio Hibu esce da Heineken e torna artigianale: intervista a Tommaso Norsa

Tra il 2016 e il 2017 il mondo della birra artigianale italiana fu sconvolto da quattro clamorose acquisizioni, avvenute in successione. Nell’ordine finirono sotto il controllo delle multinazionali Birra del Borgo, Birrificio del Ducato, Birradamare e Hibu. Quest’ultimo fu il protagonista conclusivo di quella folle stagione di “shopping”: a inizio ottobre del 2017 fu ufficializzato l’accordo tra il birrificio brianzolo e Dibevit, braccio distributivo di Heineken. A differenza però di tutti gli altri casi, i soci fondatori Raimondo Cetani e Tommaso Norsa rimasero all’interno dell’azienda e mantennero il controllo delle operazioni, fino all’imprevedibile epilogo di questi giorni: proprio loro hanno deciso di riacquistare Hibu da Heineken, riappropriandosi di un birrificio che torna dunque a essere artigianale. Una svolta impensabile fino a pochi mesi fa, che se vogliamo offre risvolti molto romantici. Per saperne di più abbiamo rivolto qualche domanda a Tommaso Norsa, che ringraziamo per la disponibilità.

Ciao Tommaso, innanzitutto raccontaci precisamente come sono andate le cose con Heineken.

Come saprai quattro anni fa abbiamo ceduto la società ad Heineken, ma nel corso del 2021 la multinazionale olandese ha ridefinito la propria strategia, scegliendo di compiere un passo indietro rispetto ai marchi “speciali”. In questo quadro è stata anche ipotizzata la cessione di Hibu e siamo stati interpellati per sapere se eravamo interessati all’acquisto in un’ottica di continuità aziendale. Da questo primo abboccamento sono seguiti altri incontri e l’imbastimento di una trattativa, che si è conclusa positivamente poco prima di Natale. Non so dirti se Heineken ci ha interpellato in via prioritaria o nel frattempo ha gestito altri contatti, però a nostro avviso è apparsa subito abbastanza chiara una certa predilezione del gruppo per la nostra opzione. Ciò presumibilmente anche per non lasciare che il lavoro compiuto in questi anni andasse perduto, possibilità che sarebbe potuta diventare molto realistica. L’accordo è valido dal primo gennaio 2022, quindi in questo momento siamo già i nuovi proprietari di Hibu.

Premesso che tu e Raimondo non siete mai usciti da Hibu e avete continuato a seguire l’azienda dal punto di vista operativo, dopo quattro anni che birrificio riprendete in mano? Quali sono le differenze rispetto all’Hibu di allora?

Da un punto di vista tecnico questi quattro anni hanno portato dei cambiamenti molto importanti a livello di capacità del sito produttivo, di investimenti sulla parte tecnologica, di protocolli di sicurezza. Sono stati effettuati investimenti sia in termini finanziari, sia di know-how. Oggi Hibu è sicuramente un birrificio moderno e aggiornato rispetto a quello del 2017. Da un punto di vista della presenza commerciale sul territorio, invece, sotto Heineken la distribuzione delle nostre birre era completamente gestita da Dibevit: tutti i clienti e i distributori si interfacciavano con la controllata del gruppo Heineken. A tal proposito il nostro primo passo sarà cercare di andare in continuità perlomeno con alcuni di questi interlocutori: chiaramente non abbiamo intenzione di continuare a gestire un numero elevato di clienti, quindi compieremo una selezione.

Quello della distribuzione sarà quindi un primo elemento di discontinuità rispetto agli ultimi anni. In termini produttivi invece come cambierà la strategia di Hibu?

Naturalmente vogliamo continuare a sviluppare il nostro marchio, recuperando alcuni aspetti legati a un concetto di artigianalità. Ad esempio faremo attenzione a garantire esclusivamente consegne refrigerate (in tal senso c’è già un accordo con un distributore) e sfrutteremo un piccolo impianto da 5 hl per produrre collaborazioni e one shot. Di certo torneremo a produrre molte più birre rispetto alle 7-8 su cui si è concentrata la strategia di Heineken dopo l’acquisizione. Al momento ci sono diverse idee in ballo, tutte suggerite da un obiettivo di fondo: unire quel quid che Heineken ha portato in questi anni ad aspetti di dinamismo e flessibilità lontani dalla concezione di una grande realtà.

Pensi che avrete dei problemi a riaccreditarvi agli occhi di quei locali e distributori che, anche comprensibilmente, vi voltarono le spalle dopo l’accordo con Heineken?

Noi da questo punto di vista siamo molto sereni, nel senso che quattro anni fa abbiamo cominciato un percorso molto preciso e adesso con la stessa trasparenza compiamo una scelta in direzione diametralmente opposta. Non ci vergogniamo di ciò che abbiamo fatto: quattro anni fa abbiamo preso una traiettoria simile ad altri birrifici artigianali, con la differenza che ora l’epilogo è molto diverso. Da un punto di vista umano abbiamo continuato ad avere un ottimo rapporto con il mondo della birra artigianale, ma da un punto di vista di marchio la nostra scelta ci ha portato un certo ostracismo, per alcuni versi comprensibile. Ora vedremo cosa succederà. Formalmente recuperiamo i requisiti per essere considerati un birrificio artigianale, dunque cercheremo di farne il miglior uso possibile.

Siete soddisfatti di questo accordo?

Siamo contenti ed entusiasti di cominciare questa nuova fase della nostra vita professionale. Inoltre siamo orgogliosi e felici di aver garantito continuità a tutti i nostri dipendenti, perché era concreto il rischio che la storia di Hibu potesse finire in altra maniera. Per queste ragioni l’accordo ci rende soddisfatti, da qui a cantare vittoria però ce ne passa perché devono incastrarsi diversi elementi: le premesse per lavorare al meglio ci sono, ma le incognite sono sempre tante, soprattutto in un periodo di emergenza sanitaria. Comunque siamo molto fiduciosi nel futuro.

Non rimane che fare un grosso in bocca al lupo a Tommaso e Raimondo, che con questa operazione di “recompra” hanno portato a casa un accordo potenzialmente molto vantaggioso. Al netto delle condizioni economiche, infatti, si ritrovano tra le mani un birrificio migliorato sotto molti punti di vista e a costo praticamente zero. Dovranno essere bravi a riaccreditarsi al mondo della birra artigianale, ma bisogna ammettere che sono stati sempre trasparenti e coerenti nel loro percorso e questo sicuramente li aiuterà nei prossimi mesi.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Cioè fatemi capire, fino a ieri tutti sconvolti perchè Hibu si era venduto anima e corpo a Belzebù in persona, sinonimo che a giorni avrebbe cominciato a produrre non più di acqua sporca gusto big babol e pure pastorizzata, mentre adesso viene fuori che con tutti gli investimenti fatti in questi anni di schiavitù brassicola il birrificio è enormemente migliorato sia dal punto di vista produttivo che di know how? e tutti ad esaltare i vecchi soci fondatori (fino a 2 minuti prima traditori della causa) oltretutto praticamente costretti a ricomprare, ma che ora miracolosamente sono tornati, con gli stessi impianti e gli stessi addetti, a fregiarsi del titolo di produttori artigianali? ma se ieri mi fossi comprato una Entropia (che trovo ottima) “industriale” ed un’altra prodotta nel 2022 (artigianale), davvero troverei differenze? oppure le differenze le troverei piuttosto fra una prodotta pre-acquisizione e una prodotta oggi? Dio non voglia che quella di oggi sia migliore, significherebbe che Belzebù non è poi sempre cosi malevolo…
    Legge a parte, al consumatore interessa quello che c’è nella bottiglia e non chi l’ha riempita, fino a quando non capiremo questo la vedo buia.

    • Non so a chi ti riferisci, ma qui nessuno si è mai sconvolto per l’acquisizione e anzi abbiamo sempre sottolineato come l’industria può permettere passi avanti in termini di processo e protocolli. La qualità nel lungo termine però dipende da altre scelte.

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