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Heineken completa l’acquisizione di Beavertown: cedute al colosso olandese anche le restanti quote societarie

Negli ultimi decenni la scena birraria inglese è stata a dir poco tumultuosa. Inizialmente il Camra ha permesso di rilanciare le Real Ale e salvare alcuni stili tradizionali, in seguito la sconvolgente ondata craft ha riscritto le regole del gioco, infine l’industria ha cominciato una stagione di sanguinose acquisizioni. Tra le tante operazioni che hanno portato i marchi artigianali sotto il controllo delle multinazionali, probabilmente la più clamorosa fu quella riguardante Beavertown: nel 2018 l’importante birrificio di Logan Plant, figlio del celebre cantante dei Led Zeppelin, cedette una quota di minoranza ad Heineken, che poi successivamente arrivò a possedere fino al 49% dell’azienda londinese. Da ieri Beavertown è completamente sotto il controllo della multinazionale olandese, che ne ha acquistato il restante 51%. Una notizia che non sorprende, ma che da un punto di vista simbolico rappresenta un altro duro colpo per la birra artigianale britannica.

In tempi recenti Heineken ha mostrato un certo interesse nei confronti del segmento craft del Regno Unito, consolidando alcune operazioni cominciate in passato oppure sondando la possibilità di collaborazioni ex novo. All’inizio del 2021 completò l’acquisizione del birrificio Brixton, cominciata nel 2017 con il controllo di una quota di minoranza – dunque una strategia analoga a quella messa in capo per Beavertown. Nel 2018 invece intavolò degli incontri preliminari con James Watt di Brewdog, sondando il terreno per capire se esistevano i margini per l’acquisto di una parte del birrificio scozzese. La multinazionale rimase spaventata dalla quotazione che Watt propose per la sua creatura e non se ne fece più nulla, però la vicenda dimostra l’interesse di Heineken nei confronti di un mercato molto allettante. Interesse che evidentemente è ancora vivo sebbene la stagione dello shopping isterico dell’industria sia ormai andata in archivio.

Come racconta il The Guardian, l’ingresso di Heineken in Beavertown ha portato risultati eccellenti al birrificio londinese, capace in soli tre anni di triplicare le sue vendite, passando dai 12,7 milioni di sterline del 2018 ai 35 milioni di sterline del 2020. Gli investimenti del gigante olandese hanno permesso a Plant di aprire un nuovo stabilimento con una capacità dieci volte maggiore rispetto al precedente. Importante inoltre è stata la partnership sottoscritta con la società calcistica del Tottenham, che prevede la vendita delle birre direttamente allo stadio con un’affluenza media superiore ai 60.000 spettatori. Di contro Beavertown ha perso l’appoggio della comunità craft, come apparve subito evidente nel 2018 con il boicottaggio del suo evento Extravaganza da parte di molti birrifici invitati al festival.

L’operazione segna anche l’uscita definitiva di Logan Plant dall’organigramma del birrificio: il fondatore di Beavertown infatti sarà coinvolto esclusivamente come consulente creativo. Queste le sue dichiarazioni:

Beavertown nacque nella mia cucina, dieci anni fa: dalle prime cotte con i pentoloni è diventato uno dei più importanti birrifici britannici degli ultimi anni, capace di assumere più di 160 lavoratori e produrre oltre 360.000 ettolitri di birra. Il suo successo è qualcosa che non avrei mai immaginato e sono davvero orgoglioso dell’accordo raggiunto con Heineken, che rappresenta il passo successivo per Beavertown, il suo marchio e, soprattutto, le sue persone.

Come abbiamo spiegato nel caso della recente cessione di Stone a favore di Sapporo, le acquisizioni dell’industria nel comparto della birra artigianale continueranno ancora. Ma, come questa vicenda dimostra, saranno meno numerose e mirate principalmente a player più grandi e strutturati. Scordiamoci quindi operazioni dalla dubbia utilità come quelle avvenute in Italia durante la fase più nevrotica del fenomeno, mentre aspettiamoci strategie oculate e caute, come il controllo progressivo delle quote societarie in un arco di tempo medio-lungo. Heineken incarna perfettamente questo cambio di visione: mentre in Italia cedeva un marchio minuscolo come Hibu, in Inghilterra puntava a rafforzare la sua presenza in Beavertown, che con tutto il rispetto per il birrificio brianzolo offre prospettive di mercato ben differenti.

E poiché siamo in vena di “ve l’avevamo detto”, questa notizia conferma un’altra verità: non è vero che la birra artigianale non interessa più neanche all’industria, bensì è quest’ultima che non vuole (e non può) più investire in acquisizioni che non offrano solide garanzie di crescita. Da un certo punto di vista il dato è sicuramente confortante, ma dall’altro rilancia il pericolo della crescente presenza delle multinazionali nel segmento craft internazionale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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