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La comunicazione della birra analcolica: limiti e prospettive per i birrifici artigianali

Che vi piaccia o no, gli analisti parlano chiaro: entro il 2026 il mercato della birra analcolica supererà i 29 miliardi di dollari, trasformando quella che è ancora una nicchia produttiva in un fattore di un certo peso per l’industria brassicola mondiale. Questa tendenza è figlia dei nostri tempi ed è destinata a diffondersi anche nel comparto della birra artigianale. Per la verità già da diversi anni alcuni grandi player del settore, come Brewdog, Mikkeller e diversi birrifici craft americani, si stanno confrontando con prodotti che sono sempre più richiesti dai consumatori. Nonostante questo interesse, tuttavia, rispetto alle birre analcoliche o a basso contenuto alcolico vige ancora una forte resistenza culturale: la sfida per i produttori artigianali consisterà nell’intercettare la curiosità per creazioni del genere cercando nel frattempo di allargare la base di potenziali utenti. Come riuscirci? Un metodo semplice è partire dai tentativi compiuti  dall’industria per capire se sono adattabili al nostro mondo.

La scorsa estate la testata Inside Marketing ha pubblicato un interessante articolo che analizza alcuni spot legati alla promozione di birre analcoliche. Come accade per tutte le campagne di comunicazione, anche in questo caso l’obiettivo è sottolineare i pregi del prodotto per superare i suoi limiti (o quelli percepiti come tali dai consumatori). L’ostacolo principale delle birre analcoliche è legato al gusto: vengono spesso considerate prodotti pessimi e scialbi, lontani dall’idea comune della bevanda. I vantaggi invece sono diversi e sono legati alla salute, alla guida in sicurezza, alla dieta e addirittura al credo religioso. Nonostante i molti pro, la tara culturale che pesa sulle birre analcoliche è ancora molto pesante. Per superarla è inevitabile riuscire a realizzare birre buone a prescindere, nonostante le difficoltà a livello tecnico.

Nastro Azzurro Zero

Le scelte degli uffici marketing delle multinazionali del settore sono molte diverse tra loro. Per il suo spot del 2021 Nastro Azzurro ha scelto un’ambientazione tra il fantasy e il surreale, in cui un sovrano annoiato chiede ai suoi sudditi di essere dissetato da qualcosa di insolito. Dopo alcune proposte noiose pur nella loro eccentricità, il re viene finalmente incuriosito da una bottiglia di Nastro Azzurro Zero, portata da un ragazzo vestito in maniera moderna a bordo di un hoverboard (!). Al di là dell’ambientazione, fin troppo straniante, lo spot manifesta una certa incoerenza: Inside Marketing sottolinea la confusione che si genera tra l’affermazione “Zero alcol, ma con lo stesso gusto di Nastro Azzurro” e “Nastro Azzurro Zero, per chi ha sete di nuovo”. Le criticità che emergono da questo tipo di comunicazione evidenziano le difficoltà insite nella comunicazione di certi prodotti. In più il video di Nastro Azzurro sembra giocare troppo sulla difensiva: punta sulla novità del concetto di birra analcolica – ma è poi una novità? – senza sottolinearne i pregi ma mostrandosi ansioso di confutarne i limiti, peraltro senza spiegare perché il gusto dovrebbe essere lo stesso di quello dell’ammiraglia della casa.

Heineken 0.0

Negli ultimi tempi Heineken ha investito molto in comunicazione per promuovere la sua birra analcolica. Lo ha fatto con la campagna Now You Can che, come il nome suggerisce, punta a stimolare l’accettazione sociale di un prodotto del genere. In tal senso lo spot più esemplare è denominato Cheers with No Alcohol e mostra come, per la prima volta nella storia, chi brinda in maniera “non ortodossa” (ad esempio con una birra analcolica, per l’appunto) non è più considerato inappropriato. Il colosso danese spiega dunque che i tempi sono cambiati e che bere la sua Heineken 0.0 è perfettamente normale, al di là dei vantaggi legati al consumo di questi prodotti. Vantaggi che poi vengono illustrati, in maniera ironica, negli altri spot che compongono la campagna e che si soffermano sulla possibilità di bere mentre si è alla guida o in ufficio. Il resto è tutto nel claim finale: “Natural great taste. Zero alcohol”. Cinque parole che non solo ci ricordano che la birra è priva di alcol, ma girano intorno ai concetti di “gusto” e di “naturale”. Il secondo in particolare sottende tutta una serie di significati che hanno a che fare con gli stili di vita moderni.

Corona Sunbrew 0.0%

Ed è proprio sul concetto di “naturale” che gioca in maniera esclusiva lo spot del Grupo Modelo per la sua Corona Sunbrew 0.0%. Girato completamente in stop-motion, il video è ambientato su una spiaggia caraibica dove alcuni ragazzi si godono la vita immersi nell’ecosistema che li circonda. Il testo che accompagna il filmato segue lo stesso filo conduttore:

Quando abbracciamo la vita all’aria aperta, godiamo momenti di vera vita. Stiamo bene grazie a quella sensazione di sole e di contatto con la natura. Ora puoi abbracciare il sole, in qualsiasi momento…

Il Grupo Modelo dunque lega la sua Corona analcolica all’idea di stare ben con sé stessi e con il mondo circostante. Sia in etichetta che nel claim si sottolinea la presenza di vitamina D, elemento che conferma ulteriormente la scelta di declinare la comunicazione in termini salutistici. Il risultato finale però ha qualcosa di sinistramente onirico, come se (in maniera volontaria o meno) ci si sia voluti estraniare dalla realtà per superare i limiti culturali che accompagnano le birre analcoliche.

Le possibilità per i birrifici artigianali

Attualmente l’unica campagna europea per una birra craft senza alcohol è forse quella di Brewdog, che in passato ha realizzato alcuni manifesti dedicati alla sua Punk AF. Nel perfetto stile del birrificio scozzese, la comunicazione ha puntato tutto sull’irriverenza, giocando fuori dagli schemi. “Sober as a motherfu” (sobrio come un bastardo, con l’ultima parola tagliata) e “Punk not drunk” (punk non ubriachi) sono gli slogan diretti e perentori con cui Brewdog ha fatto conoscere al mondo la sua birra analcolica, non senza incorrere in censure e polemiche. Chiaramente certe scelte stilistiche non sono riproducibili dai normali birrifici artigianali, a meno di non essere dei kamikaze o dei geni della comunicazione – ma se vi ritenete dei geni della comunicazione probabilmente siete più dei kamikaze.

Da un punto di vista della comunicazione i birrifici artigianali possono legare i loro prodotti low alcohol a tutti i vantaggi visti in precedenza, senza la necessità di giocare sulla difensiva come invece hanno fatto alcune multinazionali. Ammesso che un microbirrificio decida di puntare su questa nicchia e abbia le capacità per farlo (tecnologiche ed economiche), dovrà innanzitutto essere convinto del suo prodotto da un punto di vista organolettico: la birra artigianale ha come stella polare il gusto e rinunciarvi significa automaticamente fallire. Uno dei perni che vengono spesso sfruttati a livello di comunicazione è il legame con il fitness: la birra analcolica (o a basso contenuto alcolico) può accompagnare l’attività fisica fornendo non solo refrigerio, ma fungendo anche da reintegratore.

In ogni caso la questione è aperta e vedremo come i birrifici artigianali decideranno di convincere i potenziali bevitori a scegliere le loro birre low-alcohol. Perché ormai è chiaro che un pezzo del futuro del settore si giocherà su questo campo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Com’è triste il passaggio dagli anni ruggenti della Sink the Bismark al perbenismo analcolico della Punk AF 🙁

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