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Chi davvero mette in discussione l’italianità di Birra Peroni?

A maggio del 2021, in occasione dei 175 anni dell’azienda, Birra Peroni presentò la sua nuova identità visiva, con un restyling delle etichette e del logo. Niente di davvero rivoluzionario, sia chiaro: la veste classica della bottiglia rimase pressoché identica al passato, subendo tuttavia una leggera trasformazione (con l’aggiunta di tecnologie di tracciamento) per restare al passo coi tempi e accrescerne l’efficacia in termini di acquisto. Ne scrivo a distanza di un anno e mezzo perché solo recentemente mi è capitato di avere tra la mani la “nuova” Birra Peroni, notando in effetti alcuni elementi che non ricordavo. Tra questi a colpirmi sono state soprattutto alcune scritte impresse sull’etichetta, che da subito mi sono suonate quantomeno curiose. Riflettendoci qualche giorno dopo, quelle scritte mi sono sembrate la risposta e l’indizio di una crescente consapevolezza birraria diffusa tra i consumatori italiani. Ma andiamo con ordine…

Il progetto grafico del restyling di Birra Peroni è stato firmato dall’agenzia milanese Smith Lumen, mentre la multinazionale Saatchi & Saatchi si è occupata delle strategia creativa. Evidentemente i temi da sviluppare erano essenzialmente due: celebrare l’anniversario dell’azienda esaltando l’incontro tra tradizione e innovazione, sottolineare il legame con il territorio grazie all’impiego di materie prime italiane. Il primo tema ha una natura “universale”, se così vogliamo definirla: è un topos che ritroviamo spesso in ogni settore, una sfida con la quale sono chiamate a confrontarsi tutte le realtà che vantano una storia alle spalle. Mostrarsi aggiornati senza tradire le proprie radici è una necessità comune a diverse aziende e un obiettivo non sempre facile da raggiungere. Il secondo tema, quello dell’italianità degli ingredienti (in particolare dell’orzo) e del legame col territorio, è più connesso a un sentire comune che nell’opinione pubblica è cresciuto negli ultimissimi decenni. C’era poi un terzo tema caro all’azienda che non poteva essere trascurato, quello cioè della comunanza e dell’inclusività, relegato però in retroetichetta e rappresentato semplicemente dal claim “Se ci unisce è Peroni”.

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Il compromesso tra tradizione e innovazione è stato incarnato dalla nuova veste grafica delle etichette. Il logo è stato rivisto in chiave moderna (più minimalista, ma anche visivamente più efficace), mentre l’etichetta ha mantenuto forma e colori del passato, perdendo però molti fronzoli estetici a favore di una maggiore immediatezza. A mio parere è stato fatto un ottimo lavoro: la nuova immagine restituisce un senso di pulizia visiva e di modernità, mantenendo però un chiaro legame con la precedente versione. È un’etichetta che segue le evoluzioni del mercato (e del design), ma che non spaventa o disorienta i consumatori abituati alla vecchia bottiglia di Peroni. Totalmente differente è invece il collarino, che ora non ha più una funzione meramente estetica, ma presenta un QR code con cui si può seguire il tracciamento dell’orzo (grazie alla tecnologia blockchain) verificando che è tutto di provenienza italiana. Questo ulteriore elemento di innovazione asseconda quindi anche il secondo tema del restyling: il legame con il territorio e l’italianità degli ingredienti (o almeno di uno di essi). A rinforzare il messaggio c’è un piccolo bollino dorato in etichetta con tre spighe e la dicitura “100% malto italiano”.

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Fin qui tutto nella norma, tanto che è facile fare “ingegneria inversa” e risalire alle dinamiche comunicative che hanno portato allo sviluppo della nuova veste grafica. Tuttavia sempre in etichetta compaiono alcuni elementi che hanno una giustificazione molto meno immediata. In particolare sopra e sotto il logo di Birra Peroni compaiono due scritte: la prima recita “Indiscutibilmente italiana”, la seconda “Prodotta a Bari, Roma, Padova”. Sembrerebbero semplicemente due messaggi coerenti con quanto espresso dal resto della bottiglia, che non fanno altro che ribadire il tema dell’italianità di Birra Peroni. Probabilmente lo scopo è proprio quello, ma perché i creativi hanno utilizzato quelle parole? In particolare perché è stato usato l’avverbio “indiscutibilmente”? Chi è che mette in discussione l’italianità di Peroni al punto da spingere l’azienda a rispondere in etichetta che no, non c’è alcun dubbio: Birra Peroni è italiana – spoiler, non lo è – e lo dimostrano la provenienza del malto e le sedi produttive.

Poiché in situazioni del genere ogni parola è pesata con attenzione maniacale, la scelta di quell’avverbio appare singolare. La birra in etichetta avrebbe potuto definirsi “gustosamente italiana” oppure “profondamente italiana”, invece l’agenzia ha puntato su “indiscutibilmente italiana”. Quell’affermazione così perentoria appare quasi pacchiana: sembra che Birra Peroni si affanni per controbattere a chiunque ne metta in dubbio la sua italianità. In effetti l’azienda non è più italiana da quasi vent’anni, quando cioè fu assorbita dalla multinazionale Sab Miller, prima di passare nel 2016 sotto il controllo del colosso giapponese Asahi. È un marchio italiano, in Italia possiede tre poli produttivi, eppure non si può negare che la proprietà sia straniera. Ed è presumibilmente questo aspetto che Birra Peroni punta a sminuire con quell'”indiscutibilmente italiana”: se l’orzo è italiano, se la produzione è fatta in Italia, cosa vuoi che importi la nazionalità della proprietà?

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Potete essere d’accordo o meno con la conclusione di Birra Peroni, ma non è questo il punto. Il punto è che l’azienda si è sentita così esposta su questo argomento da aver impresso due scritte in etichetta come atto di difesa. Per quale motivo? Davvero molta gente mette in dubbio l’italianità di Birra Peroni o ha bisogno di essere rassicurata al riguardo? Ero convinto che questioni del genere fossero conosciute solo dalla nicchia degli appassionati, a cui Peroni sicuramente non si rivolge. La sua bottiglia non parla a noi beer lover, ma al popolo italiano, alla massa di consumatori. E perché deve ribadire a loro la propria italianità, sgombrando il campo da eventuali dubbi? Possibile che il problema della nazionalità di Birra Peroni (come di quasi tutti i marchi brassicoli presenti sul mercato) sia diventato un tema mainstream? Che nel paese sia cresciuta una sorta di consapevolezza birraria, capace quantomeno di porre dubbi sull’effettiva italianità delle birre presenti nel supermercato?

Le domande sono molte e non tutte offrono risposte facili. Ritengo tuttavia che le scelte compiute da Birra Peroni per il suo restyling rivelino molto sulle evoluzioni che hanno investito il mercato birrario in Italia e soprattutto sul modo in cui i consumatori, anche i meno smaliziati, oggi si approcciano alla scelta delle birre da bere.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. In effetti la nazionalità della proprietà non ha niente a che fare con la nazionalità di produzione. Se Peroni è arrivata ha mettere in evidenza un inciso del genere sicuramente a seguito di un’indagine dove è risultato una diffidenza da parte dei consumatori i quali si trovano spesso raggirati in tante situazioni, tanto per citarne una: …birra di Sicilia prodotta a Massafra. Personalmente penso che quelli della birra, tutti, devono essere sinceri come lo è la birra, per non rischiare scandali come è successo con il vino.

  2. sono stati… previdenti, inizia giusto ora l’epoca della sovranita` alimentare meglio portarsi avanti e… piantare la bandierina 🙂
    Buona serata a tutti

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