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Pub, izakaya, bar: la crisi dei luoghi di convivialità non conosce confini

Se avete una buona memoria forse ricorderete una notizia risalente a un paio di mesi fa, incentrata sulla crisi dei pub nel Regno Unito. Fu abbastanza sorprendente scoprire come le principali testate generaliste e del settore enogastronomico si fossero improvvisamente accorte di un trend in atto da tempo, che su Cronache di Birra raccontiamo sin dagli esordi della testata (quindi da circa quindici anni), ma che in Gran Bretagna è al centro della discussione almeno dagli anni ’70. Non c’è da meravigliarsi tuttavia: capita che tendenze consolidate diventino una notizia, soprattutto fuori dal loro ambiente naturale, a causa di novità o situazioni che in realtà ne confermano semplicemente l’esistenza. L’aspetto interessante, piuttosto, è verificare che il “morbo” che sta colpendo i pub britannici è lo stesso che sta minando locali analoghi in tutte le parti del mondo.

La crisi dei pub in Regno Unito

Come accennato, i pub in Regno Unito se la passano male da oltre 50 anni e a breve le cose potrebbero andare anche peggio. Come racconta il Gambero Rosso, infatti, nel 2025 saranno interrotti gli incentivi statali per le bollette energetiche e gli sgravi fiscali che erano stati introdotti a seguito della pandemia. Potrebbe dunque verificarsi un cataclisma nel settore, considerando che solo gli incentivi coprono al momento il 75% del costo delle bollette, mentre permangono i problemi legati alla crisi energetica e, in generale, all’aumento dei prezzi. A questo si aggiunge la nuova tassazione sugli alcolici voluta dal primo ministro Keir Stramer, destinata a pesare ulteriormente sulle tasche dei consumatori.

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Oggi nel Regno Unito i pub attivi sono tra i 39.000 e i 47.000 in base alle fonti statistiche. Una forbice non indifferente, che però scompare di fronte ai dati del passato: nel 1980, ad esempio, le attività operanti sul territorio nazionale erano oltre 69.000. Si tratta di un calo drastico, che chiaramente dimostra come la tendenza non sia stata causata solo dalle recenti vicende sanitarie ed economiche. In altre parole il Regno Unito sta perdendo il suo rapporto con una delle sue istituzioni sociali più importanti, poiché i pub non rappresentano solo i posti dove si beve la birra, ma veri e propri luoghi di aggregazione e di identificazione delle comunità locali.

Le difficoltà degli izakaya in Giappone

Non meno suggestivi dei pub britannici sono gli izakaya giapponesi, ossia i tipici bar locali frequentati soprattutto dopo il lavoro. Come racconta Il Post, anche questi locali se la stanno passando male, con un calo della clientela stimato intorno al 20%. Gli izakaya sono il luogo di ritrovo preferito dai lavoratori giapponesi, che si incontrano con i colleghi dopo l’orario di ufficio per bere e mangiare qualcosa insieme in un ambiente informale e dai prezzi contenuti. Per la rigida società del Giappone, gli izakaya svolgono un importante ruolo sociale, perché permettono relazioni interpersonali apparentemente più dirette e amichevoli. In realtà le cose non sono esattamente così: spesso la partecipazione a questi meeting è vissuta come un obbligo nei confronti dei superiori e riesce impossibile dire di no anche di fronte all’offerta reiterata di una bevuta collettiva.

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Con le limitazioni imposte durante la pandemia, il meccanismo si è in parte inceppato. Molti lavoratori riescono a sottrarsi a questo obbligo non scritto, altri semplicemente hanno scoperto modi migliori di passare il tempo libero. Infine, anche in questo caso incide il fattore economico, con l’inflazione che ha reso più difficile concedersi uscite fuori casa. Il risultato è che molti imprenditori del settore stanno diversificando i propri investimenti, cercando format alternativi a quelli degli izakaya. In particolare si sta dando maggiore spazio ai fast food, con ovvie ripercussioni in termini di rapporti sociali.

Le chiusure dei bar in Italia

Sebbene come appassionati di birra consideriamo il pub il locale pubblico per antonomasia, in realtà in Italia sono i bar a svolgere primariamente questo ruolo. E anche per loro il momento è tutt’altro che roseo, come spiegò la FIPE (Federazione dei pubblici esercizi) durante l’edizione 2023 del SIGEP. I dati parlano della scomparsa di circa 20.000 attività nel giro di appena 10 anni: un’emorragia spaventosa, dovuta ad alcuni dei motivi già espressi in precedenza, ma in parte anche alla recente predilezione per ristoranti e pizzerie, che hanno causato una trasmigrazione di codici d’attività. Lo smart working ha fatto il resto, riducendo il flusso di lavoratori nel corso della giornata. I bar in Italia stanno cercando di correre ai ripari, ottimizzando i processi e virando verso un’esperienza diversa, con proposte più variegate e una diversa attenzione ai prodotti.

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Come ricorda correttamente Confcommercio, il bar in Italia è “il luogo di ritrovo per eccellenza, dove poter scambiare due chiacchiere con amici e colleghi e consumare un caffè o un panino”. Rappresenta cioè il corrispettivo del pub britannico e dell’izakaya giapponese, con un ruolo sociale che va ben oltre il mero consumo di bevanda alcoliche. Per questo motivo come appassionati di birra dovremmo essere preoccupati della crisi dei bar italiani, perché senza socialità e aggregazione non ci può essere cultura del bere. E poi a ben vedere i luoghi deputati per il consumo di birra – perfino artigianale, perché no – nel nostro paese dovrebbero essere più i bar che i pub.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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