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5 proposte per abbinare i fritti dello street food italiano alla birra artigianale

Economici, gustosi, con profumi che invadono le strade, aizzandoci all’acquisto senza la necessità di essere affamati, i cibi di strada sono una delle più belle sicurezze della vita. Questo è forse il settore dell’enogastronomia più cosmopolita, quello che unisce davvero tutti i popoli del mondo: in qualunque luogo del globo terracqueo ci possiamo trovare abbiamo la certezza di incontrare un chiosco con street food tipico. Da quando esistono le comunità umane organizzate, infatti, è esigenza sentita e condivisa trovare il modo di consumare pasti in maniera veloce e meno formale, per ragioni di lavoro, praticità o durante i momenti di festa e aggregazione sociale. Da questo punto, le tradizioni regionali italiane ci consentono di pescare dentro un infinito scrigno di ricette, ma per questa volta concentreremo la nostra attenzione su quelle di frittura, le più golose e le meno confessabili al medico di base.

Questa tecnica di preparazione è la più usata e la più diffusa, in primo luogo per la sua praticità; poi perché, pur con le dovute eccezioni in cui è ineludibile una frittura espressa, è un metodo di cottura che consente di conservare dignitosamente ciò che si frigge per un tempo opportuno; e infine perché, come si dice dalle mie parti, “fritta è bona pure ‘na sòla de scarpa”.

Supplì

E, a giusto proposito, dici supplì e pensi a Roma. Attualmente, con l’intensa contaminazione gastronomica di un mondo sempre più interconnesso e con la diffusione nazionale delle pizzerie al taglio, è molto più semplice incontrarne anche fuori dalla capitale, ma negli anni addietro, non riuscire a trovare un posto dove poter consumare un supplì mentre si era in trasferta era motivo di reale cruccio per tanti romani. La ricetta è talmente semplice da essere geniale: una base fatta di riso (preferibilmente Carnaroli), uova sbattute per fare da legante, panatura generosa e accortezza nella frittura rendono questo cibo gustosissimo e versatile nei condimenti.

Non è un caso che il suo nome ammicchi al francese: sono infatti state le truppe di Napoleone III, nella seconda metà dell’800, a portare a Roma la surprise, una palla di riso con, appunto, la sorpresa dentro, che era il ripieno di carne – ancora oggi, dai sempre più rari anziani che parlano dialetto, stando in fila in qualche pizza al taglio capita di ascoltare un “pe favore, me dai na surprìs?”. Anche se, giunto nella capitale, la sua divenne soprattutto una storia di avanzi, come ci testimonia la sempre preziosa Ada Boni, che parla di un condimento con sugo di regaje, carne in umido e funghi secchi, senza accenni alla panatura (1929). Con il trascorrere degli anni le due ricette più consuete sono divenute quella “al telefono” (sugo di pomodoro con mozzarella filante) e al ragù. Andando in abbinamento, in entrambi i casi, troveremo soddisfazione con una Gose “classica” (leggi: senza aggiunte fruttate): la vena acidula e la carbonazione ripuliscono, la peculiare sapidità incontra bene le tendenze dolci e la nota agrumata aggiunge freschezza e sferza il palato.

Panzerotto

Altro cibo fortemente identitario, il panzerotto è una delle anime popolari di Bari, dove rappresenta il pasto veloce perfetto, come pranzo per studenti dalle tasche semivuote, per il passeggio durante le feste di piazza o per chi va di fretta nei giorni feriali. Si tratta di un calzone (un impasto di acqua, farina, olio e lievito) fritto e con ripieno di salsa di pomodoro e mozzarella, da mangiare rigorosamente con le gambe ben divaricate e la posizione del busto leggermente inclinata in avanti, onde evitare macchie e imprecazioni (alla fuoriuscita certa del ripieno, bollente, nella migliore delle ipotesi).

Per l’abbinamento scegliamo una Märzen, dal coincidente spirito popolare: con gli spiccati toni maltati incontra ottimamente il condimento, mentre la secchezza e la discreta carbonazione aiutano nella necessaria nettezza, liberando intriganti note floreali.

Monatanarina e cuoppo di pesce

Per il tema cibi di strada, su Napoli più che un articolo potremmo scriverci dei libri: la “nazione gastronomica partenopea” offre decine di incredibili possibilità e può forse esserne considerata la capitale mondiale. Da qui infatti provengono ben due tra le nostre cinque opzioni: la Montanarina (o pizzélla fritta, da non confondere però con la pizza fritta) e il cuoppo di pesce.

La prima è stata messa in vetrina grazie alla rinata attenzione verso il disco lievitato, come perfetto antipasto sfizioso. Si tratta di una piccola palla di impasto, tonda, che in frittura si gonfia e viene poi condita con pomodoro, pecorino grattugiato e basilico. Il secondo, altresì detto cuppetiello, consiste in un cono di carta paglia riempito con piccoli pesci fritti, alcuni panati e altri impastellati, e con le “paste cresciute”, zeppoline di anelli di calamari e moscardini (o altro pesce di piccola taglia, ma anche alghe).

Per l’abbinamento, nel primo caso, puntiamo su una Vienna Lager, di cui sfruttiamo le note caramellate e le tendenze dolci, che vanno in accordo con il sugo di pomodoro e le note lattiche del pecorino, ma anche la necessaria attitudine ripulente, preparando il nostro palato al prossimo morso. Nel secondo su una English IPA in stile, che ha appropriate personalità e lunghezza gusto-olfattiva, cremosità e capacità di detergenza, aggiungendo fresche note floreali, speziate e agrumate, rendendo così il matrimonio più ricco e suggestivo.

Sciatt

Chiudiamo con gli sciatt, piccole frittelle di grano saraceno con ripieno del localissimo Casera DOP fuso, interessante cacio di latte vaccino. Tipiche della Valtellina, possono essere tradotte in italiano con la parola rospo, per via della forma. Scegliendo convenientemente un formaggio dalla breve stagionatura per il ripieno, per l’abbinamento stappiamo una Foreign Extra Stout, stile poco considerato, ma con interessanti potenzialità d’abbinamento: le copiose tostature dialogano bene con il senso lattico dell’interno, mentre la peculiare cremosità gustativa consente di lavorare sulla decisa untuosità della pastella fritta. In chiusura, fuoriusciranno note di cappuccino, crosta di pane ben cotto e una dissolvenza vagamente balsamica.

L'autore: Roberto Muzi

Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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