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Birra e salumi: gli abbinamenti con alcuni Presidi Slow Food italiani

Detestati dai vegetariani, amati dagli onnivori, proibiti dai dietologi, i salumi rimandano subito a un prodotto tipicamente suino e alla magia gastronomica del suo grasso. Dagli Egizi in poi, tutte le civiltà sviluppatesi attorno al Mare nostrum hanno mostrato forte interesse per le carni di maiale e migliorato costantemente la perizia nella loro lavorazione. Nel Medioevo, con il termine salumen, si era soliti indicare carne e pesce sotto sale – elemento che gli conferisce radice linguistica ed essenza: durante questa epoca ci fu anche un aumento esponenziale del numero di allevamenti di maiali e la professionalizzazione della figura che si occupava delle sue carni, il norcino. Fu poi Vincenzo Cervio, trinciante ufficiale di casa Farnese, il primo a utilizzare il termine “salame” per indicare un insaccato così come lo conosciamo oggi, nel 1581.

La Treccani definisce “salume” in questi termini:

Preparazione a base di carne, grasso, frattaglie, sangue, in pezzi singoli o sotto forma di miscuglio più o meno finemente triturato, al quale vengono aggiunti sale, spezie, additivi e altri ingredienti allo scopo di conferire al prodotto caratteristiche organolettiche particolari e conservazione più o meno lunga.

In questo pezzo ci occuperemo specificamente di come abbinare alla birra cinque salumi classificati come Presidio Slow Food, cioè caratterizzati da attenzione ecologica e culturale e dal non utilizzo di chimica di sintesi e realizzati da “comunità di Slow Food che lavorano ogni giorno per salvare dall’estinzione razze autoctone, varietà di ortaggi e di frutta, pani, formaggi, salumi, dolci tradizionali. E si impegnano a tramandare tecniche di produzione e mestieri, a prendersi cura dell’ambiente, a valorizzare paesaggi, territori, culture.”

Prosciutto Bazzone

Il nome del prosciutto Bazzone deriva dalla forma allungata e dall’ampia distanza tra osso e parte inferiore, che ricordano il/la “bazzo/a” (in dialetto un mento pronunciato). Il territorio di produzione è quello montano della Valle del Serchio e della Garfagnana. I suini vengono allevati allo stato semi-brado e macellati dopo 15 mesi, quando pesano circa 200 kg. Il prosciutto che risulta alla fine della lavorazione e della stagionatura (almeno 24 mesi) pesa 15-18 kg.

Per l’abbinamento scegliamo una IGA da mosto bianco abbastanza corposa, con gradazione alcolica medio-alta e buona gasatura, come la Ruffiana di Birranova. L’interazione con prosciutti di questo genere, dove il grasso di qualità e le buone stagionature permettono di sviluppare note aromatiche ampie e intense, favorisce la percezione della florealità e la volontà di ripetere l’abbinamento, anche grazie alla capacità mondante della birra.

Pezzente della montagna materana

La Basilicata ha un cuore verde e selvaggio mai troppo celebrato, di cui fa parte anche il meraviglioso Parco di Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti lucane. Qui la razza del Nero lucano si è sviluppata pascolando nel sottobosco e cibandosi di tuberi, radici, castagne, ghiande, funghi. Da questi maiali si ricavavano carni straordinarie, le cui parti “nobili” erano usate per la produzione delle più remunerative soppressate, pancette e guanciali, mentre quelle più umili, aggiunte di peperone (dolce di Senise o piccante) in polvere, finocchio selvatico, aglio fresco e sale marino, tritati e sapientemente impastati (arricciati, in dialetto), davano vita al Pezzente. Stagionato almeno 20 giorni si può consumare a fette, mentre quello fresco viene cotto nel “sugo rosso”, usato per condire pastasciutte o verdure a foglia.

Per l’abbinamento, si può optare per un’American Wheat, se mangiamo il salame nella versione cruda, poiché (grazie alla massiccia presenza di frumento) è in grado di accompagnare perfettamente e di detergere le grassezze, o per una Oud Bruin se utilizzato per insaporire una salsa: liberando maggiore complessità e untuosità abbiamo necessità di una parte acidula e di ascendere a livello di base maltata, corpo e intensità gusto-olfattiva.

Ventricina del vastese

Il vastese ha un legame culturale fortissimo con la sua ventricina. Preparata con cosce, lombo e spalle, mondate, disossate, sezionate in piccoli pezzi, fatte riposare per una notte e poi conciate con sale e polvere di peperone dolce di Altino (si possono anche aggiungere finocchietto e pepe). L’impasto viene poi insaccato in vesciche di suino, appeso prima ad asciugare in una stanza con camino e poi a stagionare in ambienti ventilati e freschi. Dopo 3 mesi si rimuovono le muffe esterne e si ricopre con un protettivo strato di strutto; dopo altri 4-5 si può consumare, anche condimento del sugo.

La ventricina offre un aroma fragrante, grazie alla lunga stagionatura e alla caratteristica speziatura, supportate dall’eventuale nota agrumata (alcuni lavano le vesciche d’insacco in acqua contenente arance e limoni). Sul finale si esibisce in un misurato refolo piccante, che amplia e completa il portfolio gustativo. Per l’abbinamento, con le tendenze dolci e la carbonazione di una Dunkelbock si accompagna splendidamente la complessità aromatica, si tampona la lieve piccantezza e si deterge la grassezza. Se si ha una speciale passione per le acide, si può optare per una Framboise, in grado di sgrassare, enfatizzare il piccante, giocare con le sapidità.

Mortadella di Campotosto

Conosciuta anche con la meno elegante espressione “coglioni di mulo”, per via della forma e della vendita a coppie, la mortadella di Campotosto si produce nell’omonimo comune aquilano, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Si prepara macinando finemente tagli magri scelti (spalla, prosciutto, pancetta) e inserendo il tipico “lardello monolitico”. Poi viene appesa a una pertica per circa 15 giorni in una stanza con camino e trasferita in locali di stagionatura naturale per circa tre mesi: il vento di tramontana e l’altitudine (siamo a circa 1.300 metri slm) garantiscono temperatura e umidità ideali.

Al taglio la fettina è di colore rosso scuro, in bocca risulta rustica e compatta, con uno sbuffo fumé e la grassa dolcezza del lardello. Un salume di gusto pieno e lungo, che abbiniamo alla forza maltata e aromatica di una Dubbel. Che non si spaventa di fronte alla quantità di adipe, interagisce perfettamente con la rusticità generale della mortadella e aggiunge le sue note tostate, caramellate e di frutta scura.

Salame delle Valli tortonesi

La Val Curone, la Val Grue e la Valle Ossona sono situate nel territorio tortonese, in provincia di Alessandria, in una particolare zona di confine tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria. I tagli suini utilizzati sono spalla, coscia, lonza, filetto, coppa e rifilature del prosciutto, addizionati di gola e pancetta (la parte grassa dell’impasto, 20-30% del totale), conditi con sale, pepe e un infuso di aglio e vino rosso. Insaccato nel budello naturale di suino, il salame delle Valli tortonesi asciuga per un paio di settimane e stagiona da 3 a 18 mesi, in base alle dimensioni del pezzo, venendo spostato progressivamente dai locali più umidi a quelli più asciutti per gestire al meglio il ciclo delle essenziali muffe.

A stagionatura completata offre una complessità organolettica straordinaria: risulta dolce, succoso, invitante e assume intensi profumi di sottobosco, noce e cantina. Per l’abbinamento abbiamo perciò bisogno del vigore e della personalità di una Wee Heavy (o Scotch Ale), che riesce a stemperarne la sapidità e a fare da appoggio maltato (fetta biscottata, crosta di pane) all’ampia aromaticità del salame, lasciando un ricordo vinoso e di frutta secca.

L'autore: Roberto Muzi

Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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