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La Puglia ha la sua legge sulla birra artigianale, con molti pregi e qualche ombra

Lo sviluppo del settore della birra artigianale non dipende solo dal numero di birrifici e locali che aprono in Italia, ma anche dagli strumenti di supporto che le istituzioni sono in grado di mettere in campo per sostenere l’intera filiera. Per fortuna da alcuni anni i vari enti regionali si stanno muovendo in questo senso, approvando leggi locali di promozione e incentivazione del comparto. Dopo un periodo iniziale, caratterizzato da una certa eterogeneità delle diverse proposte di legge – con il rischio di discipline incoerenti tra loro e inutilmente stringenti – negli ultimi tempi le Regioni hanno trovato un modello comune rispetto al quale modellare le proprie normative: a inizio anno avevamo sottolineato questo aspetto analizzando i disegni di legge di Lazio, Lombardia e Abruzzo. Recentemente la giunta regionale della Puglia ha approvato all’unanimità una proposta redatta dalle delegazioni locali di CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) e Confartigianato, che potrebbe rivelarsi molto importante per lo sviluppo del movimento pugliese. Il testo è molto interessante e secondo noi presenta molti punti condivisibili e qualche elemento più spinoso.

Partiamo da un aspetto molto positivo: la proposta è estremamente dettagliate e approfondita, forse la più completa tra tutte quelle presentate in questi anni dai vari enti regionali. Possiamo considerarla una legge all’avanguardia, non solo perché tiene in considerazione molte sfaccettature dell'”universo birra”, ma anche perché appare al passo coi tempi: ad esempio si parla di turismo birrario, di concorsi nazionali e internazionali e di internazionalizzazione dei microbirrifici, prevedendo ovviamente per ognuno di questi elementi strumenti di supporto economico. Sulla falsariga di quanto previsto dalla legge della Regione Lombardia, ampio spazio è dato alla promozione turistica: è previsto lo sviluppo di “percorsi turistici esperienziali legati ai luoghi di produzione” e di “percorsi gastronomici dedicati”, oltre alla semplificazione del meccanismo per cui un birrificio può vendere e somministrare birra nei propri locali.

Esattamente come avviene in tutte le leggi regionali “moderne”, anche quella pugliese prevede che le disposizioni siano applicate solo ad alcuni destinatari, rispondenti a precise definizioni. Il comma 1 dell’articolo 2 distingue così tre tipologie di soggetto:

  • Piccolo birrificio indipendente: corrispondente alla definizione già prevista dalla legge nazionale sulla birra artigianale (154/2016).
  • Birrificio agricolo: impresa agricola che produce birra.
  • Microbirrificio: il piccolo birrificio indipendente con produzione annua non superiore a 10.000 hl annui.

La prima e la terza definizione sono esattamente le stesse indicate nelle altre leggi regionali e, come specificato, partono dalla disciplina della legge nazionale sulla birra artigianale del 2016. Il birrificio agricolo è invece definito in maniera più ampia rispetto alle aspettative (e a quanto fanno altre disposizioni regionali), perché non si fa riferimento a quanto stabilito dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 5 agosto 2010, con cui la birra fu identificata come prodotto agricolo quando realizzata con il 51% di materia prima coltivata in loco. La normativa pugliese definisce “agricolo” qualsiasi birrificio controllato da una impresa agricola, identificata come tale dal comma terzo dell’articolo 2135 del Codice Civile. Cosa che invece non avviene con la definizione del prodotto finito. Lo stesso comma infatti stabilisce altre due definizioni:

  • Birra artigianale: prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta a pastorizzazione e microfiltrazione (confermato il criterio della L. 154/2016).
  • Birra agricola: prodotta – questa volta sì – in conformità a quanto previsto dal decreto ministeriale del 2010.

L’elemento però più delicato dell’intera legge regionale pugliese si trova, a nostro avviso, nel comma 2 del medesimo articolo, che recita come segue:

L’utilizzo del termine “artigianale”, in riferimento a qualsivoglia tipologia di birrificio, avviene in conformità alla legge 8 agosto 1985, n. 443 (Legge-quadro per l’artigianato) e alla legge regionale 5 agosto 2013, n. 24 (Norme per lo sviluppo, la promozione e la tutela dell’artigianato pugliese).

Questo passaggio a noi piace poco. Innanzitutto perché pone un vincolo aggiuntivo ai birrifici, che per definirsi artigianali devono essere iscritti alla sezione speciale della Camera di commercio come artigiani, non superare i 18 dipendenti (o 22 in caso di apprendisti) e prevedere che il titolare lavori personalmente nell’impresa. Secondopoi perché crea confusione con quanto stabilito nel comma 1: in pratica un birrificio che non possieda gli attributi per definirsi artigianale potrebbe comunque produrre birra artigianale, purché sia “piccolo e indipendente” e non pastorizzi o microfiltri.

La disposizione in oggetto è purtroppo il frutto di una visione di artigiano difficilmente condivisibile nell’ottica di uno sviluppo imprenditoriale nel medio e lungo termine. Al concetto di “artigianale” si accomuna dunque l’idea di una figura non lontana da Geppetto che lavora nella sua piccola bottega, quando ormai è chiaro come un’impresa brassicola sia una realtà estremamente complessa, nella quale operano professionalità molto diverse tra loro. Ma il problema probabilmente è ancora più in profondità, cioè nell’intenzione di considerare l’aggettivo “artigianale” nella sua accezione più letterale. Quando invece questo termine associato alla birra non significa che è prodotta da un artigiano registrato come tale alla Camera di commercio, ma secondo criteri di qualità diversi da quelli della grande industria.

A parte questo passaggio opinabile, come già spiegato il resto del testo è molto valido. C’è tutto quello che si trova nelle altre leggi regionali (formazione, promozione, comunicazione) e qualcosa in  più. Purtroppo – e questo non è certo una responsabilità del legislatore – il totale degli interventi previsti non può ammontare a più di 100.000 euro per ciascuno degli esercizi 2022 e 2023. È una cifra piuttosto modesta, che verosimilmente non permetterà di perseguire concretamente tutti gli obiettivi della legge. Però è un ulteriore passo avanti per lo sviluppo del comparto: uno strumento di cui si sente enorme bisogno soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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