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Lo strano caso del Regno Unito: chiudono i pub ma aumentano i birrifici

Quasi tutti gli appassionati sanno che per orientarsi in quel paradiso birrario che è il Regno Unito, il migliore riferimento proviene dalla Good Beer Guide del Camra. Ieri Roger Protz ne ha presentato sul suo blog l’edizione 2013, che per inciso celebra i 40 anni della pubblicazione. Il dato interessante è che rispetto all’anno scorso sono elencati 158 birrifici in più: in altre parole, nel giro di 12 mesi il numero dei produttori anglosassoni è aumentato di 158 unità. Capirete che il dato è impressionante anche per una nazione dalla vocazione tradizionalmente birraria, al punto che il totale di birrifici attualmente operanti sul territorio (1.009) è il più alto degli ultimi 70 anni. Una netta inversione di tendenza, cominciata – ma guarda un po’ – con la riscoperta della birra artigianale.

L’incremento di birrifici negli ultimi anni  stato impressionante. Considerate che il totale odierno è circa 5 volte maggiore rispetto a quello di 30 anni fa, 4 volte maggiore di quello di 20 anni fa e il doppio di quello di 10 anni fa. Il numero di produttori si è quindi raddoppiato nel corso di una sola decade, con un’impennata negli ultimi anni: l’incremento rispetto al 2011 è stato quasi del 20%.

A commentare questi dati ci ha pensato lo stesso Protz, riflettendo a margine anche su quanto possa ancora essere considerato attuale il termine microbirrificio:

Il periodo di recessione economica non ha fermato l’incredibile crescita nel numero di birrifici, trasformando il settore della birra artigianale in una delle storie di successo più affascinanti di sempre negli ultimi 10 anni. Il boom dei nuovi birrifici ha in molti caso reso il termine “micro” obsoleto, poiché alcuni produttori sono diventati decisamente grandi, grazie all’ingrandimento degli impianti o al raddoppiamento della produzione per stare al passo con la domanda.

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Questa impressionante crescita di birrifici britannici ci restituisce un settore birrario in splendida salute. Se però conoscete l’evoluzione della birra in Inghilterra, saprete anche che persistono diverse ombre: mi riferisco in particolare alla repentina diminuzione del numero di pub, fenomeno che ho affrontato su queste pagine in diverse occasioni. Da una parte assistiamo dunque a un incremento del numero birrifici, dall’altro a una profonda crisi di quei locali preposti alla vendita. Come si spiega questa divergenza? Cerchiamo la soluzione nelle parole di Roger Protz:

Al giorno d’oggi i consumatori di birra hanno accesso a una varietà e un’offerta mai viste prima nel paese. Sebbene storicamente ci fossero più birrifici prima degli anni ’30, la distribuzione e le reti di comunicazione moderne consentono un accesso alle Real Ale senza precedenti, assecondando quei bevitori o quei pub che desiderano delle birre prodotte localmente. In Gran Bretagna è ora presente un birrificio ogni 50 pub.

Provo a dare la mia lettura. Innanzitutto il Camra sono anni che ci dice quanti pub inglesi chiudono ogni settimana (mi sembra fossero una cinquantina fino allo scorso anno), ma non quanti ne aprono. Ma soprattutto non sappiamo che tipologia di pub sta resistendo alla crisi. E’ chiaro che i nuovi birrifici che aprono sono definibili artigianali, ma la maggior parte dei pub inglesi snobba le produzioni locali, proponendo i marchi delle multinazionali del settore. Da diverso tempo il Camra ha messo in giro un documento che spiega i vantaggi (innanzitutto economici) per un publican nel proporre birre artigianali – definiamole così per semplificare il discorso. Segno che l’attenzione per i piccoli produttori locali è una chimera anche in un paese dalla millenaria tradizione brassicola.

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Se la riscoperta della birra artigianale è alla base del boom di birrifici, è evidente che l’interesse dei consumatori sta andando in quella direzione. I pub già avviati in questo senso ne otterranno dei vantaggi, gli altri dovranno convertirsi. Oppure affrontare la crisi e l’incremento di tasse cercando altre soluzioni. Alternative non ne esistono e il passo successivo è la chiusura.

Siete d’accordo con la mia visione? Oppure avete in mente una spiegazione diversa?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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13 Commenti

  1. Non sembra che sia un caso poi così isolato, in Italia abbiamo ormai abbiamo superato i 400 birrifici e la FIPE ci dice che i pub continuano a morire come mosche, specie nei centri medio-piccoli.

  2. Il Camra è un’associazione molto “conservatrice” e quando dici “il Camra sono anni che ci dice quanti pub inglesi chiudono ogni settimana ma non quanti ne aprono” mi viene da pensare che seguano una precisa strategia di allarmismo per salvaguardare i pub che sono un patrimonio sociale britannico. Tutto sommato se anche esagerassero, il fine giustifica i mezzi.

    In questo vero o presunto calo dei pub tuttavia bisogna valutare attentamente una variabile relativa al tipo di consumo.
    Probabilmente i pub pagano il confronto col consumo casalingo spinto dalla g.d.o.
    Una buona real ale al Tesco costa circa 2£, per non parlare delle lager industriali…

    Altra cosa da ipotizzare è che magari i pub tradizionali fanno spazio a gastropub che offrono comunque birra ma che non vengono censiti propriamente come “pub” poichè offrono qualcosa in più rispetto a patatine e pork scratchings.

    • Sul primo punto hai ragione e d’altro canto non si parlerebbe di crisi dei pub se il bilancio tra chiusure e nuove aperture fosse in attivo. Rimane il fatto che è un dato parziale, che come dici genera allarmismo.

      Ora non so come funziona nel dettaglio in UK, ma dubito che un microbirrificio finisca nella gdo piuttosto che nelle handpump dei pub. Magari Leo o qualcun altro che ha un po’ di conoscenza dell’ambiente potrebbe aiutarci.

      • Mah qualcosa a pompa in certi pub l’ho trovata. Nella gdo non credo. Sono invece curioso di capire se e quanto incidono i beershop. Uno lo hanno aperto anche al mercato del Borough, a Londra. L’ho trovato il mese scorso, la volta precedente (ottobre dell’anno scorso) non mi pare ci fosse.

      • In genere nei grandi supermarket (Morrison’s,Tesco,Sainsbury ecc.)trovi i grandi nomi,però alla Coop qui dove stò io(Shropshire)vendono anche tanti micro locali(Salopian,Hobson’s e altri).

  3. Molto probabilmente, il Camra intende con la parola “Pub” solo quei locali che vengono riconosciuti come tali e quindi dai dati che forniscono mancano tutti quei locali “non convenzionali” dove si beve buona birra..
    Come sappiamo bene anche in Italia, proprio per il dominio (dato da accordi economici o prezzi relativamente bassi) dei gruppi industriali e, nel Regno Unito, anche dal fatto che molti pubs sono di proprietà di grossi gruppi economici (tra cui anche produttori industriali), le birre “artigianali” e/o tradizionali anglo-sassoni trovano sbocchi su punti vendita (beershops, ma anche ristorazione qualificata, convenient, e anche gdo in alcuni casi), tralasciando la via più classica..
    Sono stato a Londra in Agosto (Gbbf incluso) e ho trovato veramente una buona atmosphera ed attenzione per la birra di qualità.
    Effettivamente la delusione di entrare in uno di quei pubs tradizionali con data di fondazione sulla porta risalente magari a 50/100 anni fa e poi non trovare dentro nessun prodotto “tipico” della tradizione inglese (real ale, intendo) e neanche delle nuove tendenze “artigianali” che stanno cambiando il modo di bere birra in England.
    Se chiudono, forse è anche per questo..?

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