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D.O.B. (Di Origine Birraria): un menu con le IGP italiane abbinate alla birra artigianale

Si sente spesso parlare di cibi a denominazione di origine come prodotti riconosciuti e tradizionali. Affermazione innegabile, partendo dal presupposto che tali certificazioni identificano l’origine e non la qualità, che dipende sempre dalle modalità di lavoro scelte dal singolo produttore. I disciplinari, infatti, spesso lasciano spazio a immancabili interpretazioni, come accade con DOP e IGP, marchi che prevedono sia enti di promozione e tutela che organismi di controllo. In particolare la definizione più lasca delle IGP comporta non di rado singolari contraddizioni – come quella riguardante la Mortadella Bologna, che è possibile produrre anche nel Lazio o nelle Marche. Tra le Indicazioni è dunque ancora più importante conoscere il singolo disciplinare per poter scovare i prodotti più interessanti: è ciò che abbiamo tentato di fare nelle prossime righe, traendone un menu accompagnato dalle rispettive proposte di abbinamento birrario.

I marchi comunitari Indicazione Geografica Protetta, o IGP, e Denominazione di Origine Protetta, o DOP, sono stati introdotti nel 1992 e aggiornati dal reg. 510/2006. Come riporta l’Enciclopedia Treccani:

Sono espressioni con cui si designano prodotti agricoli o alimentari provenienti da una precisa area geografica. La DOP designa i prodotti originari di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un intero paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani presenti nel luogo in cui deve tenersi la produzione, la trasformazione e l’elaborazione dell’intero prodotto. La IGP si applica, invece, sui prodotti dotati di qualità, reputazione o altri pregi dovuti al fatto che almeno una delle fasi della loro produzione, trasformazione ed elaborazione si è tenuta in uno specifico territorio.

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Antipasto: Salame d’oca di Mortara, peperoni di Senise e Schüttelbrot

Cominciamo con un antipasto formato da Salame d’oca di Mortara e peperoni di Senise, cruschi e fritti, accompagnati dallo Schüttelbrot dell’Alto Adige. Il Salame d’oca di Mortara viene realizzato nell’omonimo paesino del pavese: è composto da carni d’oca e di suino, magre e grasse, impastate con sale e spezie per ottenere una massa omogenea e compatta che si insacca nella pelle d’oca, si fa asciugare, si cuoce in acqua calda e si serve a temperatura ambiente. Risulta fine, dolce, speziato, di avvolgente suadenza e può essere accompagnato da mostarda e salse agrodolci locali.

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Grazie alle comunità ebraiche insediate in Lomellina, l’allevamento delle oche è praticato dal Medioevo, per ottenere soffici piume da materasso (come parte della dote delle figlie) e per assicurarsi una nutriente pietanza. Ma la prima testimonianza di questo salume è del 1780, vero frutto del meticciamento culturale: i norcini locali ebbero infatti l’intuizione di combinare la carne d’oca a quella di maiale (vietata dalla dieta kosher).

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Senise è un paesino in provincia di Potenza, dove questo peperone viene coltivato manualmente dal XVI secolo. È caratterizzato da polpa sottile e si può consumare fresco, crusco (essiccato all’aria) o in polvere, come utile insaporitore per numerose preparazioni. Le caratteristiche gustative sono dolcezza e tipica pungenza aromatica, oltre all’untuosità della frittura, nel nostro caso.

Di supporto al companatico, lo Schüttelbrot è lo storico pane secco della provincia di Bolzano. È ottenuto da un impasto con farine di segale (minimo al 50%), frumento e/o farro, sale, malto di frumento o d’orzo, pasta madre, semi di finocchio e altre eventuali spezie (cumino, trigonella, anice, coriandolo). La particolare lavorazione manuale da cui viene il nome (schütteln, scuotere), consente di ottenere dischi nodosi, bassi e piatti (circa 1 cm), più o meno grandi, che cotti in forno diventano friabili e conservabili (fino a 18 mesi).

Per l’abbinamento, optiamo per una Helles o per una Kölsch, poiché ci servono tendenza dolce, discreta presenza maltata e carbonazione: non c’è nessuna necessità di doti amaricanti, mentre risulta opportuno detergere e mediare la grassezza del salame e l’untuosità del fritto. Entrambi gli stili sanno anche accogliere l’aromaticità dei due cibi, che vanno lasciate esprimere nella loro ricchezza, coinvolgendole in un assieme armonico, che invita a una piacevole ripetizione.

Primo piatto: risotto di Vialone nano con radicchio di Chioggia e gorgonzola

Passiamo al primo: un risotto preparato con riso Vialone nano veronese semilavorato, radicchio di Chioggia precoce (meno amaro) e gorgonzola (noto formaggio erborinato, “intruso” del nostro menu in quanto DOP, ma irrinunciabile elemento di questa classica ricetta). Nel veronese la risicoltura è un fatto secolare, ma il Vialone nano è una cultivar – frutto di un’ibridazione – presente solo dal 1945: la sua area di produzione interessa venticinque comuni della provincia, con un disciplinare che descrive minuziosamente raccomandazioni agronomiche, produttività, rotazione dei terreni e lavorazioni prima del confezionamento. Il radicchio di Chioggia IGP, invece, trova la sua area d’elezione in diversi comuni delle province di Venezia, Rovigo e Padova. Esistono la varietà Precoce, raccolta da Aprile a Luglio, e quella Tardiva, da Settembre a Marzo.

Per l’abbinamento abbiamo bisogno di birre con una certa personalità gusto-olfattiva, taglia etilica, acidità o carbonazione per fendere le presenze untuose e grasse, aromaticità che possano appoggiarsi e accordarsi a quelle abbondanti del piatto. All’identikit corrisponde una sempre affidabile Dubbel trappista, in stile, del cui incontro apprezzeremo la potenza, la capacità di assorbire la pungenza del gorgonzola e accordarsi con la sua cremosità, lasciando in chiusura un adorabile soffio speziato (anice stellato).

Secondo piatto: abbacchio romano alla scottadito

Come secondo, ecco l’abbacchio romano alla scottadito. Questa IGP si può ottenere dalla carne fresca di agnelli da latte del Lazio, maschi e femmine, macellati tra 28 e 40 giorni di vita, con un peso fino a 8 kg e appartenenti alle razze storiche allevate nel Lazio (dove fin dai tempi antichi, e ancor di più coi Romani, questi animali vennero apprezzati e valorizzati). La commercializzazione, inoltre, può avvenire solo da Settembre a Giugno. Vengono allevati allo stato semibrado (e dunque soggetti anche a transumanza) e nutriti esclusivamente dalla mammella materna, con eventuale integrazione pascolativa e divieto di utilizzo di sostanze di sintesi. L’Abbacchio Romano IGP presenta carni rosate, consistenza compatta e tessitura fine, con poco grasso e sapore delicato. La ricetta in questione è perfetta per valorizzarne la qualità, poiché prevede la semplice cottura alla brace delle costolette, spennellate con olio insaporito con aglio e rosmarino.

In accostamento proponiamo una Dunkel Bock, che regala sempre grandi soddisfazioni: corpo e struttura sono equipollenti; la rusticità aromatica sarà ben accolta dalle tendenze dolci e dallo spessore dei malti; la carbonazione aiuta a nettare il palato e la nota mielata si aggiungerà all’incontro, cercando un proficuo dialogo con la balsamicità del rosmarino.

Dessert: dolce al cioccolato di Modica

Chiosa dolce col cioccolato di Modica, che si ottiene dalla lavorazione della pasta amara di cacao con aggiunta di semola di zucchero. Il disciplinare prevede la possibilità di aromatizzare con sale, cannella, vaniglia, peperoncino e altri frutti, anche secchi. La zona di produzione è rappresentata esclusivamente dal territorio del comune siciliano di Modica (RG), che già nel 1700, grazie al lavoro di alcuni conventi, era conosciuto come importante centro di produzione. Un cioccolato dalla tecnica antica e lavorato “a freddo”, caratterizzato dalla tipica sabbiosità gustativa (conferita dai cristalli di zucchero interi) e ingrediente di alcuni piatti locali, come i ravioli o la caponata.

Per il nostro abbinamento abbiamo scelto una tavoletta di Donna Elvira, caratterizzata dall’aggiunta di sale di Marsala e l’abbiamo accompagnata con una Quadrupel: si genera spettacolo puro, poiché le ricchezze maltate adorano i balletti col cacao, le peculiarità aromatiche si sommano, mentre la birra riesce a sedare le spinte più decise del sale e dei cristalli di zucchero, formando una coppia che conquista.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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