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Report di Microbirrifici.org: nel 2018 brusca frenata per la birra artigianale

Microbirrifici.org è un sito che da anni censisce i birrifici presenti in Italia, dividendoli per tipologia e dedicando una scheda a ogni birra prodotta. Prevede un funzionamento a recensioni sullo stile di Ratebeer, ma la sua forza è sempre stata lo sconfinato database. Quest’ultimo per molti anni – prima dell’avvento di Untappd e di studi di settore specifici – ha rappresentato l’unico riferimento per capire l’andamento del mercato italiano e ancora oggi è un’importante fonte di consultazione. Ogni anno il sito presenta una rapida fotografia dei microbirrifici italiani, che con poche statistiche riesce a restituire lo stato di salute del settore. A inizio settimana è puntualmente arrivato il report del 2018, che – chiariamolo subito – evidenzia un tasso di crescita radicalmente inferiore rispetto al passato. I grafici che pubblichiamo in questo articolo sono assolutamente impietosi, ma prima di lanciare un disperato grido di allarme è bene analizzare tutto con calma.

Microbirrifici in attività

Partiamo allora dal primo grafico, che a scanso di equivoci mostra come il mercato della birra artigianale sia ancora in crescita. Teniamolo bene a mente: nel 2018 il numero delle aziende brassicole è ulteriormente aumentato rispetto all’anno precedente, dimostrando che il settore è ancora in salute. Dal grafico si può apprezzare come la curva, ripidissima fino al 2016, abbia cominciato a cambiare pendenza nel 2017: in pratica il tasso di crescita ha mostrato una prima brusca frenata l’anno scorso, per poi confermare la stessa tendenza nei dodici mesi appena passati. Se questo è vero per birrifici e beer firm, è interessante notare come la curva dei brewpub sia rimasta pressoché invariata: questo modello di business (birrificio + locale strutturato) è il più difficile da realizzare in termini economici, ma risulta meno soggetto alle turbolenze del mercato.

Nuove aperture

Il rallentamento nel tasso di crescita è però visivamente drammatico nel secondo grafico, che analizza le nuove aperture avvenute nel 2018. Come potete verificare voi stessi, il crollo è evidentissimo: nel corso dello scorso anno hanno inaugurato all’incirca “solo” 60 realtà brassicole e occorre tornare al 2009 per trovare cifre peggiori. Attenzione però, non significa che il mercato è tornato indietro di 10 anni, perché come già spiegato i numeri generali sono comunque in crescita. Piuttosto, come spiegato dallo stesso report, il boom dei primi anni ’10 è ormai abbondantemente archiviato e il settore si prepara a una nuova fase. Semmai a sorprendere è la violenza della frenata, che probabilmente indica l’eccessivo entusiasmo con cui molte persone in passato si sono lanciate con i propri progetti brassicoli, alla ricerca errata di facili guadagni. Ancora cinque anni fa le nuove aperture ammontavano a circa 220 unità, una cifra ben lontana da quella attuale.

Chiusure

Paradossalmente il numero delle chiusure nel 2018 è decisamente inferiore a quelle degli anni precedenti, ma è lo stesso sito a sottolineare che l’incongruenza potrebbe dipendere dalla difficoltà nel reperire informazioni sulle cessazioni di attività. Il database è infatti alimentato sulla base di segnalazioni volontarie e non si appoggia a nessun dato ufficiale: un “bug” che avevamo evidenziato tempo fa e che molto probabilmente si ripercuote su questo grafico. In realtà a essere compromessi sono anche i dati generali: ad esempio secondo Microbirrifici.org attualmente i birrifici attivi in Italia sarebbero quasi 1.400, mentre non supererebbero le 1.000 unità secondo i dati del 2017 ricavati da Unionbirrai insieme all’Agenzia delle Entrate. Una discrepanza che non può essere certo spiegata dall’andamento del 2018, quindi tutti i numeri del sito andrebbero rivisti al ribasso. A ogni buon conto è l’andamento generale che a noi interessa e da questo punto di vista possiamo considerare il report assolutamente valido.

Distribuzione geografica

Gli ultimi due grafici mostrano la distribuzione dei birrifici italiani per zona geografica. La Lombardia rimane di gran lunga la regione a più alto tasso birrario (272 aziende), seguita alla lontana da Veneto (140), Piemonte (137) e Toscana (121), Emilia Romagna (119) e Lazio (111). Infine, come prevedibile, i brewpub sono diffusi soprattutto in Italia settentrionale, mentre è in Emilia Romagna che troviamo la più alta percentuale di beer firm sul totale di produttori.

Conclusioni

Come corollario, riporto un commento a chiosa del report che si concentra su due tendenze che su Cronache di Birra abbiamo documentato e previsto in questi anni:

1) le imprese cercano di affermarsi, anche in considerazione delle problematiche distributive, cercando di accorciare la filiera di vendita con la trasformazione in brewpub, l’apertura di tap room e pub a marchio proprio, anche unendo le forze con altri birrifici;

2) le aperture sono in calo, ma mediamente le capacità produttive delle nuove imprese risultano in crescita: in un contesto di elevato tasso di concorrenza, la “micro impresa” è sicuramente sfavorita e i nuovi competitor puntano a numeri più elevati per sfruttare economie di scala nella produzione e nella distribuzione.

In conclusione nel 2018 abbiamo assistito a un deciso rallentamento del settore, concretizzatosi con un numero di nuovi birrifici molto inferiore rispetto agli anni precedenti. È un male? Non necessariamente. È sicuramente il segnale che si sta aprendo una nuova fase per il mercato, in cui le occasioni per accedere sono assai più ridotte in confronto al passato. Quante volte ho ripetuto che ormai non si può più partire vivendo alla giornata, ma occorrono progetti solidi da tutti i punti di vista e correttamente dimensionati? Il cieco entusiasmo della prima metà degli anni ’10 ha riempito il settore di tante realtà improbabili, che hanno contribuito a rendere l’ambiente fragile e facilmente attaccabile dall’esterno. Il nuovo trend è dunque una notizia favorevole, a patto che in futuro il tasso di crescita rimanga positivo. Da questo punto di vista possiamo essere ottimisti, considerando anche – come sottolineato da Microbirrifici.org – che la riduzione delle accise potrebbe avere ripercussioni redditizie da questo punto di vista.

Al momento è difficile capire se i dati del 2018 devono essere letti in chiave positiva o negativa: tutto sarà più chiaro nei prossimi anni, quando capiremo se i numeri di oggi erano l’avvisaglia di una grave contrazione o il semplice inizio di una fase di consolidamento.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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7 Commenti

  1. Meglio Pochi ma buoni

  2. “Il cieco entusiasmo della prima metà degli anni ’10 ha riempito il settore di tante realtà improbabili […]”

    A corollario di questa dura verità indicherei anche la poco oculata politica di finanziamenti portata avanti al Sud attraverso i vari bandi di Invitalia ecc.

    Spesso, per non dire sempre, l’analisi economico/finanziaria di un progetto di microbirrificio/brewpub è stata fatta su un fenomeno troppo nuovo. Sono stati aperti microbirrifici non sostenibili dal territorio, con margini operativi risibili e talvolta inesistenti. Chi ha approvato tali progetti dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza.

    Questo ha portato a un mercato ‘drogato’, con un’offerta di birra esagerata rispetto alla domanda. L’impossibilità di vendere sotto costo e al tempo stesso di far crescere il consumo di artigianali in tempi brevi (siamo sempre fermi sotto il 4% sul totale birra) è la difficile realtà di molti produttori meridionali, costretti a ripagare il mutuo dell’impianto di tasca propria.

    • Quito in toto e aggiungo che si è creato un mercato di nicchia, come evidenziato in cui operano centinaia di soggetti a scornarsi, quando il grosso del mercato è ancora dominio delle multinazionali.

  3. “Semmai a sorprendere è la violenza della frenata, che probabilmente indica l’eccessivo entusiasmo con cui molte persone in passato si sono lanciate con i propri progetti brassicoli, alla ricerca errata di facili guadagni.”

    Aggiungerei anche chi ha aperto con entusiasmo e passione, non pensando a facili guadagni, per poi scoprire quando sia difficile creare, gestire e mantenere un’azienda.
    Un po’ come il bravo cuoco casalingo che prova ad aprire un ristorante, per poi scoprire che era meglio continuare a divertirsi ai fornelli in casa.

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