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Tre paranoie (del tutto evitabili) degli homebrewer

Le paranoie degli homebrewer sono molteplici, potremmo parlarne per ore. Io stesso ne ho ancora molte, difficili da sradicare. Con il tempo, però, alcune sono riuscito a farmele passare, almeno in parte. Ne ha beneficiato il mio approccio alla produzione, ma anche lo stato d’animo con cui vivo la giornata di cotta e il periodo di fermentazione, che in passato sono stati piuttosto agitati. Relax, don’t worry, have a homebrew, diceva qualcuno. Te pare facile. Vediamo tre paranoie molto diffuse che sono riuscito a farmi passare, e che auguro anche a voi di superare presto (se non lo avete già fatto).

Il gorgogliatore non gorgoglia

Quando inizia la fase di fermentazione tumultuosa, gli zuccheri presenti nel mosto vengono metabolizzati dal lievito per produrre energia. Questo processo rilascia diversi composti di scarto, tra cui i principali sono l’alcol e l’anidride carbonica. Quest’ultima, in particolare, deve in qualche modo uscire dal fermentatore onde evitare che si accumuli una eccessiva pressione al suo interno. La fuoriuscita di anidride carbonica avviene solitamente tramite un piccolo oggetto chiamato gorgogliatore, dalla caratteristica forma ad S. Viene riempito per metà di acqua (o di soluzione sanitizzante) in modo che l’anidride carbonica possa uscire in forma di bolle grazie alla pressione che si genera dall’interno verso l’esterno durante la fermentazione. A volte il gorgogliatore è rimpiazzato da un tubo (blow-off) che finisce in un piccolo contenitore parzialmente riempito di liquido, il cui principio di funzionamento è il medesimo. Quando iniziano ad uscire bolle, la fermentazione è partita. Quando finiscono, il lievito inizia il percorso di sospensione delle attività, avviandosi verso la fase dormiente.

Il suono delle bolle che escono dal gorgogliatore rappresenta una musica quasi paradisiaca per un homebrewer. Quando escono, significa che tutto sta andando bene (o quanto meno apparentemente bene, almeno per quanto riguarda le prime fasi della fermentazione), l’homebrewer si rilassa e si può dedicare agli altri impegni della sua vita. E se il gorgogliare non gorgoglia? Cosa succede? L’homebrewer va in ansia. Sta male. Sta molto male. Inizia il calvario, che può durare giorni – in attesa delle fantomatiche bolle.

C’è da dire che questa ansia è parzialmente giustificata. La gestione del lievito è una delle fasi più critiche del processo di produzione, ed è il passaggio tecnico e pratico dove molti si incagliano. Sbagliano i tempi, il tasso di inoculo, lo starter… tanti possono essere gli errori in questa fase. E quindi parte l’ansia. Però, c’è da dire anche un’altra cosa. A meno di casi davvero eccezionali, una fermentazione che non parte per niente è un evento assai raro. Specialmente se si utilizzano lieviti secchi, cosa che molti principianti – i più ansiosi in questo senso – di solito fanno. Uno dei casi in cui una fermentazione può non partire per nulla è quando si utilizza un lievito liquido, senza starter, molto tempo oltre la data di scadenza. In quel caso, la possibilità esiste ed è concreta. Tuttavia, a parte questo caso eccezionale, la fermentazione in genere parte. Il che non significa che andrà poi tutto bene, ma almeno l’ansia del gorgogliatore possiamo metterla da parte.

Ma se non gorgoglia, allora, cosa può essere successo? La causa più frequente dietro un mancato gorgogliamento è un problema di chiusura ermetica del fermentatore. Spesso si dimentica una guarnizione, non si chiude bene il coperchio del fermentatore, o il tubo del blow-off non chiude bene all’altezza del foro sul coperchio. L’illusione di fare pressione sul coperchio e vedere le bolle che escono è effimera, perché in quel caso la pressione è maggiore e le bolle passano per il gorgogliatore. Ma un piccolo sfiato può rimanere invisibile e lasciare uscire piano piano anidride carbonica per tutta la fermentazione, senza l’effetto wow delle bolle.

Che fare? È davvero molto semplice: se il fermentatore non è trasparente, aprire e vedere cosa sta accadendo. Aprire velocemente il fermentatore in questa prima fase della fermentazione non è in alcun modo un problema. Se c’è schiuma, è tutto a posto: c’è solo un problema di tenuta. È meglio cercare di risolverlo, però, perché alla fine della fermentazione potrebbe entrare aria. Durante l’intervento, si può lavorare anche a fermentatore aperto per qualche minuto, magari togliendo i tubi o sostituendo le guarnizioni. Le bolle riprenderanno e l’ansia svanirà.

La misura continua della densità

Ricordo ancora la gioia quando acquistai il primo rifrattometro. Per diversi mesi, dall’inizio della mia avventura nel mondo dell’homebrewing, avevo misurato la densità del mosto e della birra con il densimetro. Uno strumento piuttosto affidabile e con una precisione adeguata per i nostri scopi, ma che richiede, per la misura della concentrazione di zuccheri nel mosto (la densità, appunto), di prelevare un campione di circa 100 ml, raffreddarlo intorno ai 25°C e immergervi dentro il tubicino in vetro con la scala graduata. Una perdita di tempo e di mosto o birra, a seconda della fase in cui si esegue la misura.

Con il rifrattometro pensavo di avere trovato l’eden: una goccia (a qualsiasi temperatura, tanto si raffredda istantaneamente), una formula di conversione e la misura era fatta. Potevo misurare la densità quante volte volevo, sia durante la fase di produzione del mosto che durante la fermentazione. Peccato che le misure non fossero mai particolarmente precise, ma soprattutto peccato che fossero fondamentalmente inutili.

Misurare continuamente la densità del mosto non apporta particolari vantaggi; né durante la fase di produzione del mosto, né durante la fermentazione. Né con il densimetro, né con il rifrattometro, né con strumenti elettronici ancora più avanzati come il Tilt o l’iSpindel. La ragione è semplice: ci sono pochi momenti in cui la misura della densità ci interessa realmente, perché in base a questa misura possiamo agire e recuperare la cotta se qualcosa è andato storto, oppure dedurre altri valori importanti come il grado alcolico. Ma le misure da fare, nella stragrande maggioranza dei casi, sono tre: una con mosto caldo che va raffreddato, e due con mosto già pronto per la misura perché generalmente molto vicino alla temperatura di taratura del densimetro (in genere di 20°C).

Queste tre misure sono: la misura della densità prima della bollitura; la misura della densità prima di inoculare il lievito; la misura a fine fermentazione. In alcuni casi – rari – può essere utile eseguire una misura durante la fermentazione. Tuttavia, con un po’ di esperienza, le azioni da intraprendere durante la fermentazione (tipo alzare la temperatura per la pausa diacetile in una bassa fermentazione) sono facilmente deducibili in base all’attività del gorgogliatore. Il piccolo oggetto che lascia passare le bolle, di cui abbiamo parlato prima.

Mi spiego meglio. La misura della densità prima della bollitura serve per calcolare l’efficienza di ammostamento (insieme ai litri di mosto prodotti). Questa è fondamentale perché è in questo momento che si fissa la quantità di zuccheri disciolti nel mosto dai cereali che abbiamo utilizzato. Se non sono abbastanza, si può prevedere un prolungamento della bollitura, che ovviamente non aumenterà gli zuccheri ma, riducendo il volume, incrementerà la densità del mosto fino al valore desiderato. Meno birra, ma densità corretta. Oppure, in alternativa, si possono aggiungere altri fermentabili (estratto di malto o zucchero) per arrivare alla densità desiderata. La bollitura non ha impatto sull’efficienza, ma solo sulla densità.

Le dinamiche di variazione della densità durante la bollitura sono piuttosto prevedibili, perché raramente può succedere qualcosa di così imprevisto da variare enormemente il tasso di evaporazione. Inoltre, una volta aggiunto il luppolo non possiamo fare più nulla, anche se scopriamo, durante la bollitura, che la densità è troppo bassa o troppo alta: allungare o accorciare la bollitura porterebbe a una diversa isomerizzazione degli alfa acidi rispetto ai piani e a un amaro diverso da quanto previsto. Le misure di densità durante la bollitura sono piuttosto inutili e portano via tempo, perché bisogna raffreddare il mosto se si vuole usare il densimetro, a mio avviso più efficace e preciso del rifrattometro.

Una volta finita la bollitura, raffreddiamo il mosto, ne preleviamo un campione e misuriamo facilmente e velocemente la densità con il densimetro. Questa misura è fondamentale (sempre insieme al volume di mosto prodotto) per calcolare l’efficienza complessiva ed eventualmente regolarsi meglio la volta successiva. Se la densità è troppo alta, possiamo diluire con acqua di bottiglia. Se è bassa, possiamo aggiungere in un secondo momento – a fermentazione partita – un po’ di zucchero o estratto di malto sciolto in acqua, fatto bollire 5 minuti e raffreddato. L’aggiunta dopo che la fermentazione è partita (anche al secondo o terzo giorno) aiuta il lievito a stare meglio perché si trova a gestire una concentrazione di zuccheri minore (in parte li ha già consumati quando aggiungiamo lo zucchero).

Le misure durante la fermentazione sono poco utili. In genere, non serve agire in modo preciso e puntuale. Si può alzare un po’ la temperatura al terzo o quarto giorno di fermentazione, ma la cosa si può fare tranquillamente a occhio guardando il tasso di fuoriuscita delle bolle dal gorgogliatore. Nel caso della pausa diacetile nelle basse fermentazioni, si può fare una misura la prima volta che si usa il lievito, ma poi ci si regola anche in questo caso guardando il gorgogliatore. Alzare un giorno prima o uno dopo non cambia granché. Si vive meglio senza stare sempre a misurare la densità, ve lo garantisco.

I filtri

Non ho nulla contro chi filtra la birra, sia chiaro. Quantomeno contro le filtrazioni “blande”, ovvero quelle che permettono di mantenere, per i birrifici, la definizione di birra artigianale promossa da Unionbirrai nel 2016, che impone l’assenza di microfiltrazione. I filtri che usiamo in casa sono in genere a maglia più larga della microfiltrazione, la quale richiede un approccio specifico e una spinta a pressione della birra non indifferente. Gli homebrewer utilizzano stoffa, maglie in poliestere, filtri a grata in acciaio inox: insomma, filtrazioni che evitano solo lo spostamento di particelle molto grandi come pezzi di luppolo o agglomerati di residui di macinazione dei malti. Le cellule di lievito passano tranquillamente, così come i polifenoli e le proteine più piccole, che sono la maggiore causa di torbidità nella birra.

Per ridurre sensibilmente la concentrazione di questi micro composti, l’unica cosa che possiamo fare è mettere la birra in frigo e attendere. Tutto il resto, si deposita abbastanza velocemente da sé, anche a temperatura ambiente. Parlo delle famose “farine” (residui di parte dei cereali aggregati a proteine) che troviamo ad esempio in fondo alla pentola di bollitura. Se è sicuramente bene non portarne troppe in fermentatore, è anche vero che la maggior parte rimane facilmente sul fondo della pentola di bollitura quando raffreddiamo il mosto. Un filtro, a maglie larghe, in questo caso può servire solamente a bloccare gli agglomerati più grandi se si pesca dal fondo della pentola, tramite rubinetto. I filtri casalinghi fatti con vecchie sacche BIAB o maglie inox, che in molti utilizzano in fase di travaso, possono essere facilmente bypassati pescando la birra dall’alto con sifone (nel caso di fermentatore in plastica) o sfera inox galleggiante, nel caso di keg o fermentatori tipo Fermzilla.

Non sto dicendo ovviamente che i filtri siano totalmente inutili in ambito casalingo, ma la speranza che risolvano il problema di torbidità della birra è piuttosto vana. La torbidità non dipende dai composti solidi visibili a occhio nudo che questi filtri casalinghi fermano, ma da sostanze ben più piccole che possono essere eliminate solo con la microfiltrazione. Oppure, nel nostro caso, filtrando bene il mosto tramite il letto di trebbie durante l’ammostamento ma, soprattutto, tenendo la birra in frigo dopo la fermentazione per almeno una settimana, molto meglio due ma anche tre. La limpidezza, dopo un passaggio significativo in frigo, arriva.

Io ho tolto tutti i filtri, compresi quelli in pentola durante la produzione del mosto. Da tempo. Ne uso solo uno piccolino nel passaggio dalla pentola di ammostamento a quella di bollitura, che trattiene qualche pezzettone di cereale macinato che viene pescato dal fondo della pentola di ammostamento verso la fine dello spostamento del mosto. Ma potrei tranquillamente farne a meno, quei residui rimarrebbero sul fondo della pentola a fine bollitura.

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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2 Commenti

  1. perchè dici che chi usa lieviti secchi, usatissimi anche in ambito pro, è un principiante?
    a me pare il contrario.
    principiante nel caso è chi travasa con il sifone dall’alto e non dal rubinetto in basso, basta averlo…
    il gorgogliatore è assolutamente inutile e non vale la pena nemmeno di parlarne se non per dire di non usarlo.

    “filtrando bene il mosto tramite il letto di trebbie durante l’ammostamento ”

    durante l’ammostamento non si filtra dal letto di trebbie

    • Ciao demus, non ho scritto che usare i lieviti secchi è da principianti, ma che molti principianti li usano. E fanno bene, perché usare i liquidi è molto più complicato. Poi chiaro che può usarli chiunque, non sono certo indicazione di approccio da principianti. Durante l’ammostamento si può anche filtrare se fai ricircolo (come faccio io), ma in genereale intendevo durante il filtraggio. Non è scritto benissimo, ma mi pare si capisca. Un saluto.

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