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Homebrewing e gestione del lievito: cosa è cambiato rispetto a 10 anni fa?

Quando qualcuno avverte aromi di autolisi in una birra fatta in casa, mi sorge sempre qualche dubbio. Non perché non ci possano essere in assoluto – sia chiaro – ma perché non è facile mandare il lievito in autolisi, nemmeno nelle produzioni casalinghe. Il famoso terrore della lisi cellulare, instillato negli homebrewer dai primi libri pubblicati sull’argomento, deriva dall’utilizzo di lieviti in condizioni pessime, spesso recuperati da chissà dove o addirittura presi in prestito dal mondo della panificazione. Del resto, tanti anni fa non c’erano molte alternative: la qualità dei lieviti che arrivava nelle mani dell’homebrewer medio era piuttosto scarsa. Oggi, anche nel peggiore dei casi, la qualità dei lieviti utilizzati per produrre birra in casa è molto più alta. Per quanto inesperto, è molto improbabile che un homebrewer riesca a mandare in autolisi un lievito, anche se lasciasse la birra nel fermentatore per diverse settimane a temperatura ambiente.

Fortunatamente, tanto è cambiato nei lieviti che utilizziamo in ambito casalingo negli anni. Senza partire da troppo lontano – il confronto sarebbe impari – proviamo a vedere cosa è cambiato nell’ultima decade, più o meno da quando ho iniziato a fare birra in casa.

I lieviti liquidi

Ricordo che quando ho iniziato a fare birra in casa, circa 11 anni fa, si acquistavano confezioni di lievito liquidi “alla cieca”. Nessun negozio online di materiale per homebrewer pubblicava sul sito la data di confezionamento o di produzione del lievito, semplicemente ne prendevi atto quando la busta ti arrivava. A volte – piuttosto spesso – ti diceva male e ti trovavi tra le mani una busta prossima alla scadenza con un lievito da dover resuscitare con diversi starter, sperando che il tutto non si contaminasse nel corso del processo. I calcolatori online che utilizziamo per valutare le dimensioni degli starter in base alla data di scadenza o produzione del lievito utilizzano ancora gli stessi algoritmi di dieci anni fa, dando praticamente per spacciate le cellule di lievito nelle bustine che hanno più di quattro mesi sulle spalle. Ma non è più così, questi calcolatori sono nella maggior parte dei casi obsoleti.

L’esempio più eclatante sono le nuove confezioni PurePitch che White Labs ha lanciato sul mercato qualche tempo fa. Il primo passo lo aveva già fatto passando dalle famose fialette da laboratorio in plastica (quanti ricordi!) alla bustina con la piccola apertura trasparente, migliorando la vitalità e la durata delle cellule. Con il nuovo packaging, il PurePitch appunto, la conservazione delle cellule è stata portata ad estremi impensabili fino a qualche anno fa. Secondo White Labs, le cellule nella bustina avrebbero ancora una vitalità del 96% a distanza di ben sei mesi dal confezionamento. Ovviamente, se ben conservate in frigorifero. È chiaro che parliamo di parametri vitali totalmente diversi rispetto a quelli di qualche anno fa. Certo si tratta di “claim” del produttore, probabilmente un filo ottimistici per ragioni di marketing, ma senza dubbio la situazione è decisamente migliorata rispetto a qualche anno fa.

E non dimentichiamo che ormai tutti i maggiori store online mettono in chiaro le data di scadenza delle bustine, in modo che al momento dell’acquisto l’homebrewer possa fare un acquisto consapevole. C’è da dire anche che i prezzi delle confezioni di lievito (ma non solo, ahimè) sono aumentati a dismisura e che ricevere la sorpresa di una confezione quasi scaduta sarebbe un colpo difficile da accettare nel contesto attuale.

Per quanto io sia sempre stato un fautore degli starter, per varie ragioni, devo ammettere che nelle ultime cotte mi sono lasciato convincere e ho usato un paio di confezioni di lievito liquido senza starter, inoculando il contenuto direttamente nel fermentatore dopo una generosa ossigenazione del mosto. La comodità è tale da avermi convinto a tentare questa strada che avrei considerato quasi oltraggiosa fino a qualche anno fa. E bene, come direbbe l’homebrewer medio: non ho avuto problemi. La fermentazione è andata liscia, il lag-time è stato contenuto e le birre fermentate con questo approccio non presentavano evidenti off-flavour. C’è da dire che ho usato una busta, che in genere contiene circa 100 miliardi di cellule, per fermentare 10 litri di mosto a densità media; quindi, teoricamente, in netto overpitching. Però ha funzionato, e la cosa mi ha reso particolarmente ottimista.

Anche la Wyeast, ultimamente, ha aggiornato la confezione dei propri lieviti liquidi, ma il restyling in questo caso sembrerebbe fondamentalmente grafico. Non ho trovato informazioni che aggiornassero le statistiche di vitalità del lievito nella confezione, quindi immagino che non sia cambiato molto rispetto al passato. Le indicazioni continuano a dire che per confezioni abbastanza lontane dalla data di scadenza non c’è bisogno di uno starter, senza aggiungere particolari informazioni circa la reale condizione delle cellule. C’è sempre l’activator all’interno della confezione, che si può rompere per valutare i tempi di rigonfiamento della busta e stimare, a occhio, la vitalità del lievito. Ma l’activator c’è sempre stato e rimane un’indicazione puramente qualitativa e mio avviso poco utile.

Esistono poi diverse realtà italiane in grado di propagare alcuni ceppi commerciali e spedirli con trasporto refrigerato direttamente a casa degli homebrewer. Tra queste, la più conosciuta e utilizzata è Bioenelogia, che realizza propagazione anche per i volumi casalinghi di circa 20-30 litri. Anche questo impensabile fino a qualche anno fa. I costi sono leggermente più alti ma alla fine, se si include nei calcoli il tempo che si impiega (e l’estratto di malto che si utilizza) per fare uno starter, questo approccio può essere conveniente.

In generale, possiamo affermare che la situazione è sicuramente migliorata rispetto a qualche anno fa. Oggi è molto più facile reperire lievito in buone condizioni da usare per le fermentazioni casalinghe. La situazione è un po’ meno lineare per quanto riguarda il calcolo dei volumi di mosto da usare per gli starter, ma con un po’ di pratica e puntando all’overpitching per stare sul sicuro, la propagazione casareccia si riesce a gestire. Anche rischiando con l’inoculo diretto dalla bustina in qualche caso (ma non dite a nessuno che ve l’ho detto io).

I lieviti secchi

Nel mondo dei lieviti secchi le evoluzioni non sono state da meno. In termini di qualità e varietà, in parte, ma soprattutto per quanto riguarda la comunicazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’introduzione di numerosi nuovi ceppi di lievito, alcuni dei quali estremamente validi. Per fare qualche nome cito il Novalager, il Verdant e il Koln della Lallemand, ma anche il K97 e il BE-134 della Fermentis. Ceppi interessanti che uniscono la comodità dell’utilizzo dei lieviti secchi alla complessità organolettica dei liquidi. Per carità, in alcuni casi non siamo esattamente allo stesso livello di alcuni ceppi liquidi specifici, ma ci andiamo molto vicino. La Fermentis ha recentemente lanciato altri ceppi che probabilmente arriveranno presto anche nel formato per homebrewer. Il progetto di creazione di nuovi ceppi tramite ibridizzazione della Lallemand sta dando vita a ceppi di lieviti con caratteristiche innovative, come il già citato Novalager, per le basse fermentazioni, e il Farmhouse, per le Saison.

Oltre alle tante novità, trovo decisamente migliorata la comunicazione verso gli utilizzatori finali da parte dei produttori di lieviti secchi. Se prima ci si limitava a dei puri claim di marketing, oggi entrambi i produttori citati rilasciano costantemente approfondimenti tecnici che spiegano alcune caratteristiche dei loro prodotti, evidenziando dati sperimentali. Grazie a questa trasparenza, è ormai noto più o meno a tutti che la reidratazione in acqua dei lieviti secchi prima dell’inoculo può essere utile ma non è in alcun modo necessaria. La Fermentis ha pubblicato diversi studi in cui misure quantitative e qualitative hanno evidenziato che la reidratazione non porta particolari vantaggi, in particolare quando si producono birre con densità non troppo alte. Discorso simile per l’ossigenazione, non necessaria nella maggior parte dei casi perché nelle cellule disidratate dei lieviti secchi le quantità di steroli e acidi grassi sono sufficienti a portare avanti una fermentazione standard senza necessità che le cellule li producano da sé utilizzando l’ossigeno.

Questo mi ha portato a cambiare le mie abitudini. Se prima facevo attenzione a ossigenare il mosto di ogni cotta e a reidratare il lievito per bene in acqua leggermente calda – come da indicazioni – ora semplicemente apro il fermentatore e butto dentro. In questo contesto, i produttori che forniscono meno informazioni sui loro ceppi e che comunicano meno rischiano di rimanere indietro, in particolare tra gli homebrewer che ormai sono avidi di informazioni dettagliate sui singoli ceppi di lievito.

I nutrienti per lievito

Il mantra che afferma che il mosto medio contenga tutti i nutrienti necessari per una buona fermentazione è ancora valido. In media, è così. Tuttavia, l’aggiunta di nutrienti per il lievito può aiutare a ottenere performance di fermentazione migliori. Maggiore attenuazione, fermentazioni più veloci, riduzione dei difetti prodotti durante la fermentazione. Se i primi due sono vantaggi che possono aver senso per un birrificio ma meno per un homebrewer, il terzo è invece un aspetto importante di qualsiasi fermentazione. In particolare, tra i difetti che possono essere causati da una concentrazione non ottimale di nutrienti nel mosto – in particolare alcuni amminoacidi – l’aroma di zolfo o uova marce è il più frequente e, in qualche modo, il più temuto. In particolare nelle birre di stampo belga.

La Lallemand ha prodotto diversi contenuti dove spiega nel dettaglio i possibili utilizzi dei nutrienti e i diversi formati che il produttore canadese ha messo in commercio (ad esempio, questo). Perché ogni nutriente ha uno scopo ben specifico, se utilizzati male o in dosi massicce possono creare danni piuttosto che aiutare la fermentazione. Nello specifico, lo zinco ad esempio stimola la fermentazione e l’attenuazione, mentre la solubilizzazione di alcuni aminoacidi, disponibili sia in forma di lievito lisato o di aminoacidi puri, possono aiutare a ridurre la produzione di alcuni difetti tra cui, appunto, gli aromi solforosi. Potrebbe quindi aver senso, in alcune tipologie di mosto, in particolare quelli prodotti con alti quantitativi di zuccheri semplici e fermentati con lieviti belgi (hai detto Tripel?), utilizzare piccoli quantitativi di nutrienti per ottenere un prodotto più pulito e in linea con lo stile.

Anche la Fermentis produce nutrienti in forma di lievito arricchito di zinco o mix di vitamine e aminoacidi biodisponibili (ovvero derivanti da cellule di lievito lisate).  Sebbene i nutrienti siano disponibili, anche in formato per homebrewer (non tutti, ma buona parte), l’utilizzo che se ne fa in ambito casalingo mi sembra ancora piuttosto inconsapevole e poco mirato. Sento spesso di homebrewer che li utilizzano in ogni mosto con la scusa “tanto male non fa”, senza particolare cognizione di causa relativamente al tipo di nutriente utilizzato. Nonostante gli sforzi comunicativi di alcuni produttori, non mi sembra sia particolarmente migliorata la consapevolezza sull’utilizzo di questi additivi – per la maggiore parte “naturali”, intendiamoci – in ambito casalingo. Del resto, c’è ancora chi non utilizza l’acido lattico ma il limone durante il mash perché “io non aggiungo additivi chimici nella mia birra”, quindi la cosa non mi stupisce particolarmente.

Le conte cellulari in casa

In questi ultimi anni ho pensato tante volte di iniziare a fare conteggi cellulari in casa. Sono arrivato addirittura a valutare seriamente l’acquisto di un microscopio, ma poi ho desistito. Non tanto per la difficoltà della procedura – che semplicissima non è – ma per la necessità di individuare uno spazio adeguato in casa per posizionare il microscopio, il bunsen e tutta l’attrezzatura necessaria. Per ora, non mi è possibile. Ed è un peccato, perché sarebbe davvero interessante misurare quantitativamente, anche se con un minimo errore, l’effettiva moltiplicazione cellulare a seguito di uno starter, per poi confrontarla con le previsioni (sicuramente sbagliate) dei vari calcolatori che si trovano online.

Che non lo faccia io ci sta, mi stupisce non aver trovato ancora nessuno, in Italia, che si sia lanciato in questo ambito. Quantomeno, nessuno pubblica articoli al riguardo (o almeno io non sono riuscito a trovarli). Con l’aumento esponenziale delle competenze e delle esigenze degli homebrewer che si è verificato negli ultimi anni, mi sarei aspettato un interesse maggiore su questi aspetti. E invece, al momento, ancora nulla.

Non è certo impresa facile, anche solo leggendo questo post di The Mad Fermentationist ci si rende conto che i passaggi da seguire non sono affatto semplici e, sebbene l’attrezzatura non sia costosissima, non è nemmeno alla portata di tutti. Tempo fa qualcuno provò a introdurre questi strumenti in ambito homebrewing (mi mandò anche qualche campione) ma la cosa non prese piede. Io mi resi presto conto che purtroppo non avevo le competenze – quelle potevo costruirmele – ma soprattutto non avevo spazio in casa né ulteriore tempo da dedicare a questa impresa. Nessun altro, per quanto ne so, ha seguito questa strada. Peccato. Speriamo nel futuro, sarei molto curioso di seguire i risultati.

L'autore: Francesco Antonelli

Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. Da febbraio 2014 è Degustatore Professionista dell'Associazione Degustatori di Birra.

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