Quando si parla del settore brassicolo nazionale non è raro imbattersi nell’espressione “movimento italiano della birra artigianale”. È un concetto che spesso uso anch’io e che sottintende l’esistenza di un fenomeno profondamente strutturato nella società, con importanti ripercussioni a livello economico e culturale. Tuttavia non sono pochi coloro che rifiutano il ricorso a questa terminologia, poiché ritengono che il mercato della birra craft in Italia sia ancora troppo acerbo per acquisire le dimensioni di un vero e proprio movimento, soprattutto se confrontato con l’influenza culturale della nostra bevanda in nazioni dall’antica tradizione, come Germania, Belgio e Inghilterra. Allo stesso modo spesso si utilizza l’espressione “scena birraria”, che ha molti punti in comune con la precedente ma che suggerisce un’estensione geografica più circoscritta: ad esempio si può parlare di “scena birraria romana” all’interno del “movimento italiano della birra artigianale”. Ma tornando all’obiezione di cui sopra, ha senso usare simili vocaboli? È giusto riferirsi alla realtà italiana con termini come “scena” e “movimento”? La questione è molto più profonda di quanto possa apparire, tanto che non siamo i soli a porci simili problemi.
Risale a inizio agosto un interessante post apparso sul sito Boak & Bailey, in cui gli autori si chiedono per l’appunto quali caratteristiche deve possedere una determinata realtà locale affinché sia lecito parlare di “scena birraria”. Nello specifico il quesito è stato sollevato relativamente alla città di Leeds, per la quale i due stavano scrivendo un articolo negli stessi giorni. Secondo gli autori si può utilizzare l’espressione quando sono rispettati sei criteri. Analizziamoli insieme per capire se anche in Italia ha senso parlare di scene birrarie locali e di quali nello specifico.
1) Una valida selezione di pub e birrerie di qualità
Il primo criterio rappresenta la base per lo sviluppo di una scena birraria. Ovviamente il numero di luoghi birrari deve essere sufficiente a creare una “massa critica”, ma gli autori aggiungono un dettaglio non trascurabile: la distanza tra i vari locali non deve essere eccessiva, così da permettere la creazione di una rete utile tanto ai consumatori quanto agli stessi operatori. Inoltre, aggiungono, deve essere presente almeno una destinazione da non perdere, per la quale magari si è disposti a intraprendere lunghe trasferte pur di farvi visita. Personalmente aggiungerei che oltre alla quantità è importante la qualità dei locali, che si esprime non solo in line up di alto livello, ma anche molto diverse tra loro. Avere dieci pub con offerte molto simili non è utile e compromette lo sviluppo di una scena birraria.
A mio avviso, inoltre, è importante che una scena birraria esibisca diverse tipologie di locali. Pensate a una città con diversi ottimi pub, ma priva totalmente di birrifici. Oppure a un contesto in cui esistono solo beershop, anche con mescita, ma neanche una birreria degna di menzione. Il mix ideale dovrebbe prevedere un numero sufficiente di pub, beershop, birrifici, brewpub e – perché no – ristoranti con birra artigianale.
2) La presenza di letteratura al riguardo
Come secondo punto troviamo un aspetto spesso trascurato, ma che i due autori ritengono fondamentale per ovvie ragioni. Affinché si possa parlare con cognizione di causa di una “scena birraria” locale è indispensabile che la stessa sia raccontata da libri, articoli e siti web. Che esistano consigli e suggerimenti sui luoghi da visitare e recensioni sulle birre prodotte in loco. Che insomma ci sia un sincero interesse da parte dell’ambiente e degli appassionati per una determinata realtà, che se ne parli. Criterio condivisibile, ma che secondo me va sicuramente approfondito. Viviamo infatti in un mondo alla mercé di una moltiplicazione incontrollata di informazioni: i social network e Internet in generale hanno favorito un processo per cui oggi è possibile trovare opinioni e consigli di qualsiasi tipo. Sarebbe allora opportuno introdurre un parametro qualitativo nel criterio in questione, verificando chi effettivamente ha scritto di una specifica realtà. In altre parole gli opinion leader sono fondamentali per dare senso a questo aspetto.
3) Eventi
Fondamentale è poi la presenza costante di appuntamenti organizzati in zona, che siano degustazioni, tap takeover, presentazioni di nuove birre, concorsi di homebrewing, bottle share e via dicendo. Chiaramente queste iniziative sono utili a creare fermento e a sviluppare una comunità locale, elevando contemporaneamente l’autorevolezza della locale “scena birraria”. In loro assenza, è giusto rivalutare la legittimità di usare una simile espressione.
4) Festival, al plurale
Qui gli autori affermano che accanto ai festival organizzati dal Camra è importante che ci siano iniziative esterne, magari dedicate a particolari nicchie produttive come quelle rappresentate dalle basse fermentazioni, dalle birre acide o dalle fresh hop. Traducendo questo concetto nella nostra realtà, significa che è fondamentale non solo la presenza di diversi festival di successo, ma anche il loro approccio. Così l’ideale sarebbe avere tanto manifestazioni di impostazione tradizionale quanto iniziative rivolte ai beer geek, senza dimenticare quei focus specifici su specialità particolari. Un criterio non facilissimo da realizzare in Italia, non a livello quantitativo (gli eventi a tema sono sempre molti) quanto piuttosto in termini di varietà.
5) Facce conosciute
Affinché si possa parlare a ragione di “scena birraria” è indispensabile che la stessa sia frequentata da una comunità assidua di consumatori. È importante che la stessa comunità sia popolata da esponenti del settore conosciuti tra gli appassionati e capaci magari di influenzare (in maniera più o meno consapevole) le scelte di acquisto. Una “grande famiglia” non esente da gossip e da provare a intercettare quando si apre un nuovo pub o un nuovo birrificio.
6) Turisti
Infine per essere tale una scena birraria locale deve identificarsi come una destinazione per beer geek provenienti da altre città o altre nazioni. Anche in questo caso non basta che ci sia una singola meta a calamitare i turisti, ma deve essere l’intera zona con tutte le sue realtà (locali, pub, birrifici, eventi) a diventare meta di pellegrinaggio. L’ideale è che l’offerta sia talmente ampia da questo punto di vista da dare l’impressione che non basti un weekend per godere di tutte le possibilità a disposizione.
Personalmente poi aggiungerei un settimo punto, che ritengo particolarmente importante.
7) Birra locale
A mio parere una scena birraria non può prescindere dal proporre birra prodotta sul posto (o nelle vicinanze), in grado così di modellare una forte identità locale. È importante non solo che questi prodotti siano disponibili nei pub della zona, ma che esistano due o tre taproom tramite le quali i clienti possano entrare in contatto con i luoghi in cui la birra è realizzata. Oggi avrei difficoltà a immaginare una “scena birraria” senza questo importantissimo aspetto.
A questo punto non rimane che rielaborare i 7 criteri e capire se trovano conferma in qualche realtà italiana. Frequentando quotidianamente i luoghi birrari della Capitale posso affermare che Roma rientra perfettamente nell’identikit e che qui ha effettivamente senso parlare di “scena birraria”. Possiamo estendere il concetto anche ad altri contesti italiani?