È opinione diffusa che in Italia gran parte dei birrifici attivi siano concentrati nelle regioni del Settentrione. È una considerazione corretta, perciò fino a qualche anno fa la situazione della Valle d’Aosta strideva non poco: prima del 2009, infatti, non c’era neanche un microbirrificio operativo sul relativo territorio. Lo zero assoluto – sorprendente nonostante la ridotta estensione della regione – fu sfatato con l’apertura del Birrificio Aosta, cui seguirono l’anno successivo quelli del Birrificio 63 e di Les Bières du Gran St. Bernard. Di quest’ultimo ho avuto modo di assaggiare le creazioni recentemente – ringrazio per questo il birraio Rémy Charbonnier – potendo così entrare in contatto con una delle tre realtà brassicole valdostante attualmente attive. Un’esperienza quindi decisamente interessante…
Il birrificio di Etroubles (la cui nascita annunciai proprio su queste pagine diversi anni or sono) ha una gamma limitata in quantità ma piuttosto variegata: accanto a basse fermentazioni di stampo tedesco – tipiche per molte regioni del “profondo” nord – vanta anche alcune alte fermentazioni ispirate al Belgio e al Regno Unito. Da questo punto di vista può essere considerato un birrificio abbastanza sui generis.
La prima birra che ho assaggiato è stata la Balance (5,6% alc.), appartenente allo stile delle Marzen. Alla vista mostra una bella limpidezza e un’ottima schiuma, compatta e aderente. Al si percepiscono naso netti sentori di biscotto e caramello, piuttosto puliti, mentre più lontano fa capolino una nota balsamica e fresca. L’ingresso in bocca è leggermente dolce di miele di castagno. Il corpo risulta medio/leggero e la carbonazione, leggermente troppo spiccata, tende per un istante a nascondere le sensazioni gustative. Poi ritorna il caramello e ancora il miele di castagno. Il finale è discretamente lungo a bilanciare, appena compromesso da una sensazione di oleoso.
La Balance si rivela dunque una Marzen piacevole e ben costruita, che, come il nome suggerisce, gioca con l’equilibrio tra le componenti dolci e amare. Bisogna muovere qualche appunto nel finale, che tuttavia appare decisamente marginale. Bel lavoro, confermato da Remy che mi ha rivelato essersi concentrato particolarmente su questa ricetta negli ultimi tempi.
Successivamente sono passato alla GNP, birra alquanto particolare: la ricetta di base è quella di una Tripel belga, che prevede però un’aromatizzazione con Genepì, pianta del genere Artemisia tipica delle Alpi centro-occidentali. Si presenta di un bel colore dorato e schiuma discreta. Il naso molto “belga” con esteri di frutta gialla, abbastanza puliti, e una speziatura lieve, ma capace di ampliare l’estensione aromatica. L’ingresso te lo aspetti dolce e invece è subito amaro di radice e spezie. Il corpo è scorrevole, forse leggermente troppo frizzante. La dolcezza torna nella fase finale per un attimo e in modo non gradevolissimo. Poi ancora spazio all’amaro ruvido e graffiante.
La GNP è una birra strana (e non poteva essere altrimenti), con poco riscontro tra naso e bocca. Qui è un po’ monocorde e spostata sull’amaro, lasciando un po’ delusi a causa di aspettative ben diverse. È priva di difetti ed è assolutamente apprezzabile l’uso della pianta aromatica: con qualche ritocco può trasformarsi in un’ottima birra.
La Blou è invece uno dei pochissimi esempi di Roggenbier italiana. Questo antico stile di stampo tedesco è riconducibile alle più famose Weizen, ma prevede impiego di segale al posto del frumento. L’interpretazione dei Remy si presenta molto opalescente alla vista, con schiuma compatta e ricca ma poco persistente. Al naso ricorda in parte una Weizen, con banana e bubble gum più nascosti e mitigati da note rustiche di terroso e frutta secca. In bocca le distanze con le Weizen si amplificano: la banana è contenuta e accompagnata da un piacevole speziato. Il corpo è tutto sommato scorrevole e la gasatura netta, ma senza disturbare. Il finale è amaro ma bilanciato, con un ritorno di banana e terroso. Buona acidità a chiudere.
La Blou è un buon esempio di Roggen – per quanto i riferimenti siano rari – che si lascia bere con facilità pur offrendo una bella complessità. Può essere un’ottima alternativa per chi cerca qualcosa in più di una semplice Weizen, senza però abbandonare le caratteristiche delle tipiche birre di frumento tedesche.
La Napea mi ha disorientato non poco, in particolare perché è definita Helles, rivelandosi però più vicina a una Pils – aspetto confermatomi successivamente dal birraio. È di colore giallo pallido, con un perlage visibile ma non eccessivo e una schiuma disordinata e poco aderente. Al naso si distinguono note fruttate di uva spina e pepate, quasi eccessive per lo stile. Il miele è in secondo piano (troppo per una Helles) e si percepisce quasi una nota di caramello. L’ingresso è dolce ma molto breve, poi entra subito l’amaro che perdura fino alla chiusura. Il corpo è leggero ma la carbonazione evidente. Nel finale appena astringente troviamo ancora l’amaro, con una punta erbacea persistente.
Se valutata come Helles, la Napea appare abbastanza fuori stile, in particolare per una parte maltata assai sacrificata, al naso ma ancor più in bocca. Come detto ha più senso considerarla una Pils, ma anche così non convince pienamente. Probabilmente la ricetta è ancora in cerca di un’identità precisa: alla fine di questo percorso certamente la birra ne uscirà valorizzata.
Per concludere Remy mi ha inviato un esperimento in legno, battezzato Balance Barrique – quindi è chiaro che la “base” è la Balance già ampiamente descritta. Si presenta abbastanza opalescente, con schiuma a bolle fini ma piuttosto evanescente (cosa però da mettere in preventivo per la tipologia). Al naso emergono note di mou e caramello, la parte legnosa invece rimane non troppo invadente, con un tocco leggermente legnoso e speziato. Il legno invece si sente tanto in bocca, fin troppo: la maturazione in barrique ha “consumato” tutta la parte maltata, tanto che in ingresso non c’è dolcezza. Il corpo appare troppo esile, con una carbonazione esagerata. Ancora legno nel finale, che rende l’amaro sgradevole e amplifica la parte spigolosa del luppolo. A chiudere un’astringenza poco piacevole.
La Balance Barrique risulta quindi poco gradevole, con il legno che domina la scena in modo eccessivo, soprattutto in bocca. Un esperimento decisamente da rivedere.
In definitiva Les Bières du Grand St. Bernard è un birrificio da tenere sicuramente in considerazione. Il suo eclettismo produttivo permette di spaziare tra diverse culture brassicole, con il merito di rivalutare uno stile di nicchia come quello delle Roggen (tra l’altro in modo splendido). Ottima la Marzen, meno la Helles/Pils. La GNP ha ampi margini di miglioramento, partendo tuttavia da una ricetta già ben strutturata. Da rivedere l’esperimento in barrique. In generale comunque siamo al cospetto di un buon produttore, con cui ogni consumatore potrà divertirsi e rimanere soddisfatto.
Non mi sembra particolarmente adatto il bicchiere fotografato accanto alla GNP.
“Roggenbier”, questi sconosciuto!
Ne ho di roba da bere…mha, poco male =D