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Il ritorno della Ruination e la triste “operazione nostalgia” del birrificio Stone

Qualsiasi giudizio di possa nutrire oggi per Stone Brewing, è indubbio che questo birrificio ha contribuito a scrivere la storia della birra artigianale negli Stati Uniti (e non solo). Come qualsiasi produttore ammantato da un’aura quasi leggendaria, anche Stone ha all’attivo due o tre birre iconiche, capaci di innalzare la percezione del marchio verso l’Olimpo della craft beer. La più famosa è ovviamente l’Arrogant Bastard Ale, che ha riscritto le regole delle birre luppolate sfruttando in aggiunta una comunicazione aggressiva e fuori dalle regole (dell’epoca), evidente già dalla scelta del nome. Un’altra celebre creazione del birrificio californiano è la Ruination IPA (8,2%), considerata sorella maggiore della Stone IPA non per motivi anagrafici, ma per le sue caratteristiche: una Double IPA in puro stile West Coast, tra le prime birre a portare il livello di amaro verso vette mai sperimentate prima, almeno a livello commerciale. Nonostante la sua innegabile importanza, nel 2015 Stone decise di interrompere la produzione della Ruination, destando non poco scalpore soprattutto tra i bevitori della prima ora. La notizia è che ora, a distanza di quasi otto anni, la Ruination è tornata di nuovo in commercio nella sua incarnazione originale.

La storia di Ruination in realtà è un po’ più complessa di come l’abbiamo sintetizzata. Non troppo, a essere sinceri, eppure nelle pieghe delle sua vicenda si nascondono tanti elementi che offrono segnali sulle recenti evoluzioni del settore, nonché della stessa azienda americana. Quando nel 2015 Stone annunciò l’addio alla Ruination, spiegò anche che sarebbe tornata in una nuova forma. Forse in pochi all’epoca immaginarono che sarebbero passate solo poche settimane prima del rilascio della Ruination 2.0, una versione veduta e corretta della versione originale per adattarsi ai cambiamenti del mercato. Per ammissione di Greg Koch, uno dei fondatori dell’azienda, la ricetta fu modificata per incorporare tutte le innovazioni introdotte in produzione negli anni successivi al suo primo rilascio, pur conservando il grande contributo di luppolo in termini di amaro e aroma. Le differenze, neanche a dirlo, riguardarono le varietà previste, che salirono a sei: il Centennial rimase protagonista in bollitura e dry hopping, mentre il Nugget e il Magnum furono utilizzati in amaro e il Citra, il Simcoe e l’Azacca al fine di aggiungere toni agrumati, tropicali e resinosi al profilo generale. L’idea dunque fu di reinventare (snaturare?) parzialmente la Ruination per seguire le nuove tendenze di gusto tra i consumatori americani e del resto del mondo.

La scelta dell’epoca, per quanto lecita, mostrò la necessità di Stone di adeguarsi a un mercato profondamente cambiato rispetto a quello di inizio anni 2000. Un tentativo che, analizzato alla luce di quanto accaduto dopo qualche anno, probabilmente non ebbe successo. Nello stesso periodo, infatti, per il birrificio californiano cominciò un periodo di difficoltà a catena, dal quale non riuscì più a riprendersi. L’ultimo atto del declino è arrivato a giugno dello scorso anno, quando l’azienda è stata ceduta al colosso giapponese Sapporo. Nel mezzo la Ruination cambiò fisionomia un’altra volta, trasformandosi nel 2018 nella Ruination 2.0 Sans Filtre: una versione esplicitamente non filtrata, neanche fosse una banale Ichnusa. Un’ammissione di quella perdita di identità che è apparsa centrale nell’involuzione subita da Stone negli ultimi anni.

La notizia è che ora la Ruination tornerà nella sua forma originale, ma solo come special release. La birra rientra infatti nel programma di “novità” del programma Fan Favourite Returns, una linea parallela di Stone dal chiaro gusto nostalgico. Ecco come Jeremy Moynier, Senior Manager di Stone Brewing & Supply Chain, ha annunciato il ritorno della Ruination:

L’originale Stone Ruination IPA è stata nella nostra linea annuale per 13 anni. Ha visto un paio di variazioni di ricette diverse, ma questa è la prima volta dal 2015 che produciamo la Ruination originale. Adoro l’amaro intenso, il sapore e l’aroma. È un classico trio di luppoli: Magnum, Chinook e Centennial. Questa birra ha definito per me lo stile West Coast Double IPA e ora, con così tante espressioni di Double IPA in circolazione, è sorprendente rivisitare una birra così classica.

È interessante notare come proprio il proliferare di tante birre luppolate di stampo moderno fu uno dei motivi che convinsero Stone a rivedere la ricetta della Ruination. Ora proprio questa abbondanza è usata come escamotage per posizionare il ritorno della Ruination, potendo dunque assaggiare un grande classico tra migliaia di birre “simili” arrivate dopo di lei. È una chiave di lettura interessante in termini di marketing, ma rivela ancora una volta un approccio di stampo nostalgico che, indipendentemente dai risultati di vendita, rende evidente la percezione che ha il mercato del marchio Stone.

Questa mossa di mercato però può essere letta anche come la conferma che, dopo alcuni anni dominati dalle Hazy IPA declinate in tutte le salse possibili, i bevitori sono tornati ad apprezzare luppolate amare e secche, in pieno stile West Coast, pur con tutte le influenze nel gusto che gli ultimi anni di birra artigianale hanno lasciato nelle aspettative dei consumatori. A distanza di quasi otto anni dall’ultima Ruination originale, oggi probabilmente si sceglierebbe di bere questa birra più per rivangare ricordi lontani – personalmente sarebbero legati a un passato GBBF, quando la assaggiai per la prima volta – più che per una scelta di gusto. Un po’ come succede con quei “cibi nostalgia” che ogni tanto tornano disponibili per un tempo limitato, prima di tornare a essere un ricordo di esperienze appartenenti a periodi ormai lontani.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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