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Fenomeno agribirra… e che roba sarebbe?

Qualche giorno fa (magari era solo ieri… non ricordo) Davide Terziotti mi ha segnalato questo articolo apparso su Risp€ndo, blog tematico del Corriere della Sera. Nell’articolo a firma Marina Martorana si analizza un fenomeno in forte ascesa, indicato con l’appellativo “agribirra”: la produzione di birra artigianale all’interno di aziende agricole. Uno degli esempi più celebri nel recente panorama italiano è quello del Birrificio Rurale – non per niente citato nel post – che già nel nome evidenzia una sua peculiarità: il birrificio sorge all’interno della Fattoria Oasi di Certosa di Pavia (PV), dove, oltre alla produzione brassicola, si svolgono altre attività.

Il fenomeno è a mio modo di vedere piuttosto interessante, perché, nonostante appaia al momento una curiosità all’interno del variegato settore della birra artigianale nostrana, potrebbe crescere a dismisura nei prossimi mesi, andando a modificare sensibilmente la percezione che abbiamo attualmente del mercato.

Leggendo l’articolo del Corriere, è facile che la mente torni indietro a settembre 2010, quando la birra ha cambiato status legislativo, diventando un prodotto agricolo a tutti gli effetti. A suo tempo prevedemmo che la novità avrebbe portato interessanti conseguenze, tra cui un aumento di “birrifici agricoli” (cosa che mi sembra stia effettivamente accadendo) e una diversa considerazione del prodotto da parte dell’opinione pubblica.

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In particolare il post di Marina Martorana inserisce la birra nel meccanismo dei farmer’s market e degli acquisti in loco presso aziende agricole:

Si delinea una nuova tendenza dal sapore di orzo e frumento: la gitarella in cascina per stillare birra fresca. […] In linea col successo delle vendite dirette enoalimentari, direttamente nei luoghi di produzione o nei farmer’s market, creati via via nei centri urbani.

Un modo che spopola per assicurarsi prodotti genuini, di alta qualità, con risparmio medio del 30%.Il fenomeno della birra tra mucche e galline è in espansione e dà l’esempio della capacità multifunzionale dell’agricoltura, rivalutando il nostro territorio con le sue stesse potenzialità.

Quindi non si parla solo di birrifici rurali, ma anche di birre artigianali (realizzate da micro “normali”) che invadono i mercati dei produttori agricoli. Un esempio qui a Roma lo abbiamo con la Birra del Borgo, che da qualche tempo è presente nel mercato di Campagna Amica al Circo Massimo. Come rivela l’articolo di Marina Martorana, infatti, iniziative di questo tipo sono destinate ad aumentare:

I dati raccolti da Coldiretti, che distribuirà bionde e scure rurali tramite i mercati di Campagna Amica , raccontano che la birra rappresenta il 22% del totale del consumo di alcolici, con un produzione di quasi 13 milioni di ettolitri (di cui il 13,5 % esportati) e circa 300 microbirrifici artigianali attivi in tutta la penisola.

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Sembra dunque che in Italia la birra artigianale sia destinata ad essere associata sempre più al mondo agricolo, offrendo dunque ulteriori possibilità di contatto per potenziali nuovi consumatori. Finora da noi il birraio era per lo più visto come un ex homebrewer che aveva compiuto il grande salto, ora forse gli si affiancherà la figura dell’agricoltore che ha voluto aggiungere la produzione brassicola alle sue attività. Fenomeno curioso, da non sottovalutare.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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162 Commenti

  1. E’ un sistema inventato dalla Coldiretti per far arrotondare gli agricoltori italiani….quindi Birra Agricola….Pane Agricolo….Formaggio Agricolo….Turismo Agricolo etcetera agricolo……è l’ennesimo contentino dato a scopi politici.
    Ovviamente a me non piace perchè ci vedo dietro una concorrenza più o meno sleale….(parla anche con qualche fornaio…) laddove io pago le tasse loro non le pagano…..etc.
    Siccome viviamo in un paese come l’Italia dove le regole esistono solo per i più deboli…..vedo grandi opportunità per i soliti furbi che approfitteranno delle favorevoli condizioni fiscali per fare business fine a se stesso senza avere una sana cultura birraria…..(e già si vedono dei movimenti da parte di qualche grande produttore di vino o grandi aziende agricole….)…
    Non parliamo poi della produzione del malto…ho già visto a Rimini delle piccole micromalterie …..e siccome ne so qualcosa…..voglio proprio vedere la qualità del malto che uscirà fuori da quei marchingegni…..
    E’ una cosa tutta italiana …..e quindi prepariamoci ad avere sul mercato tanta birra cattiva……che dequalificherà irrimediabilmente il concetto di birra artigianale italiana …..la solita italianata….
    Ci abbiamo messo degli anni per far crescere il livello qualitativo dei birrifici artigianali italiani ….adesso avremo altra fuffa in giro….

    L’articolo l’ho letto anche io e già fà capire l’ignoranza che c’è dietro….
    Te la vedi un pò troppo ottimisticamente……

    • Io non capisco… tu sei un birraio? Hai un birrificio? Cosa c’è di artigianale nel fare la birra con grossi macchinari automatizzati? Compri i luppoli esteri, compri i malti esteri, prendi una ricetta e via… fai birra artigianale? Non dimenticare che la birra la fai in una pentola!! Non è meglio diventare anche produttori di materie prime?? Siamo in italia, il paese della concorrenza tra poveri……. Prepariamoci, invece, ad avere una birra tutta italiana, e Artigianale con la A maiuscola!

  2. Ciao a tutti, anche io ieri ho letto questo articolo e incuriosito sono andato a cercare informazioni sulle aziende che vengono citato nell’articolo di Marina Martorana.
    Potete trovare l’esito della ricerca nell’articolo scritto sul nostro sito all’indirizzo:

    http://www.beertravels.net/index.php?option=com_content&view=article&id=98%3Abirrificio-o-agribirrificio&catid=38%3Anews&lang=it

    Sinceramete, ho notato, per l’ennesima volta, un pò di ignoranza sul mondo della birra italiana. La maggior parte delle aziende segnalate nell’articolo sono più agriturismi che birrifici, ma alla fine poco male. L’unica cosa che mi lascia perplesso è l’idea che si potrà fare qualcuno che si sta avvicinando al mondo della birra artginale italiana, leggendo questi articoli, non vorrei ci fosse il rischio di fare di tutta l’erba un fascio…

  3. ci sarà da accoltellarsi anche qui o su questo post si può stare tranquilli?
    O devo citare una porcata di birra al riso che ho assaggiato recentemente? ehhehe

  4. Ma ogni osservazione non deve essere vista come una coltellata….
    Però non possiamo far passare il Birrificio Agricolo come una figata…..perchè non lo è….è una scelta politica di Coldiretti (Associazione di categoria) che in Italia è una potenza……
    A me che sono un artigiano che ha investito soldi propri in una impresa economica e che paga fino in fondo l’accisa e le tasse (che non sono propriamente poche) questa cosa fà girare molto gli zebedei…e proprio per questo serve anche una Organizzazione professionale che difenda i nostri interessi…..
    Chiedete a Petrognola …..quanto gli girano …dopo essere andato ad un incontro con chi produce Malto nelle marche……sotto il cappello dell’agricoltura….
    Ma questi sono solo cavoli nostri ???
    Ma tanto siamo nel paese del Bunga Bunga…..

    • Il Rurale a dispetto del nome non è propriamente un birrificio agricolo (non mi risulta che si produca il malto da solo)…..e chi lo gestisce è un grande appassionato di birra ed un grande birraio…..
      Non ancora …per lo meno…..
      Quello che volevo dire è che si parte con una produzione solo contando sul vantaggio fiscale e solo facendo il furbetto al’italiana…non si può sperare di avere un prodotto di qualità perchè lo scopo è un altro….
      E questo misunderstunding denota ancora la comunicazione gestita in modo del tutto …approssimativa…..

      • Anzi il malto lo compra in Inghilterra (Maris Otter) e Germania (Weyerman)…..
        Il malto d’orzo è orzo modificato e l’orzo è un prodotto agricolo…..tutti allora siamo agricoli……
        Ma l’agricoltura può essere Tedesca, Francese, Inglese ,Italiana……Russa…etc…..
        Solo in Italia la Birra viene vista come un prodotto industriale…..ma per fortuna che c’è la Coldiretti che finalmente ha fatto giustizia 🙂
        Allora perchè non propone di togliere l’accisa alla birra come si è fatto (per scopi politici) con il vino ?
        Anche io non voglio pagare le tasse come fanno gli agricoli…..
        Alegher……

  5. ecco con chi ca… ho dimenticato di parlare all’IBF, il Rurale!
    Sarà che avevo già provato tutte le sue birre e mi sono dimenticato 🙁
    Indagherò meglio sulla questione malti comunque, da quel che ho capito è un problema non indifferente e salassa non poco il birraio.

    • C’è poco da indagare …..io il malto lo vendo …ed ho lavorato per malterie….Il Birrificio Rurale usa giustamente (perchè di qualità migliore) malti stranieri come facciamo noi ed il 95% dei birrifici italiani.
      Non è ancora un birrificio agricolo…..nonostante il nome…..

      Toccalmatto è un paesino di campagna ….allora sono agricolo anche io ?

      • e due. a cosa alludi con “ancora”? sperando la domanda non faccia la fine di quella di Mirko

        occhio alle reazioni “poco piacevoli”, che in questo caso avrebbero qualche fondamento in più

        ps: per la cronaca al Rurale i birrai sono in quattro

        • Caro Stefano….io ho fatto la scelta di farmi una attività seguendo quelle che era la mia passione per la birra proprio per essere “libero”…..all’alba dei 48 anni……
          Quindi non ho paura di dire quello che penso…
          Quando dico “ancora” per il Rurale …è perchè ..avendo una azienda agricola alla quale si è collegati ed avendo indiscutibili vantaggi di natura fiscale nel diventare birrificio agricolo…il passaggio mi sembra logico….ed in quel caso avremo sicuramente un grande birrificio agricolo…per gli altri tiriamo un velo pietoso…..
          Ma dire che ora..in questo momento è un birrificio agricolo mi sembra un pò troppo…
          Io sono un pignolo e non mi piace essere preso per i fondelli….(che caratteraccio)…e capisco che in Italia dove si ha generalmente una mentalità di stampo mafioso la cosa possa non piacere….ma come dice un comico calabrese…me ne fotto !
          Siccome sui mezzi di informazione si sparano un sacco di minchiate sulla birra….credo che in futuro bisognerà diventare un pò più attenti per evitare problemi a tutta la categoria…..

  6. diventa anche agricoltore, così la nuova birra sarebbe ancora più azzeccata nell’etimologia del nome!

  7. Per il bene del paese.
    Una storia di fantaeconomia.

    Sono un impiegato in una industria “x”.
    Per una certa categoria di persone lo stato ha deciso che il datore di lavoro non dovrà più pagare tasse.
    Io non ne faccio parte.
    Io costo 3000 euro al mese alla mia azienda e me ne metto in tasca 1500.
    Il collega, non qualificato, che mi ha sostituito (eh si, ho perso il posto di lavoro), ha chiesto al mio datore di lavoro 2000€ mensili.
    Guadagna più di quanto guadagnassi io.
    Il datore di lavoro adesso produce con una qualità inferiore alla precedente ma ha un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. E ha margini superiori ai precedenti.
    La concorrenza acquista volentieri da lui perchè oltre ad un guadagno superiore può vantare aiuto alle categorie protette.
    Per il bene del paese.

    Ah, dimenticavo. Lo stato ha anche dato, al mio “collega”, soldi a fondo perduto per acquistare una nuova auto più grande e bella della mia.
    Per il bene del paese.

    Ah, dimenticavo. Il noto sindacalista Selz Rivoltafrittata, propaganda che i competitors sono degli avidi che si rifiutano di allineare i prezzi al nuovo attore del mercato che, ovviamente, sta dimostrando che quello che lui ha predicato fino ad oggi era pregno di fondamento.
    Per il bene del paese.

    L’organizzazione sindacale alla quale sono iscritto tace.
    Per il bene del paese.

    Fin

    • le iniziali del sindacalista, chiaramente ispirate a chissà quale nick, danno la sconfortante dimensione della tua malafede e della tua microscopica onestà intellettuale

      non ho mai sostenuto di essere favorevole alla legislazione pro birrifici agricoli e ti sfido, come sempre, di passare dalle insinuazioni ai copia-incolla. ora non ti basta più mettermi in bocca parole che non ho mai detto, ti lanci addirittura nel mettermi in bocca parole che non dirò forse in futuro su fatti ipotetici. complimentoni

      semplicemente non è una mia battaglia. è una battaglia vostra. forse, se aveste organizzato meglio il settore, le vostre imprese e i vostri piani di ammortamento, o se qualcuno fosse semplicemente stato meno goloso, ricevereste più solidarietà dai vostri clienti. ci avete mai pensato?

  8. scusate se mi intrometto:
    ad oggi quanti sono i birrifici agricoli?
    quanti sono invece i marchi prodotti per conto di aziende agricole da altri microbirrifici?
    quali sono questi microbirrifici?
    solo per sapere eh!

  9. Aggiungo altre domande.
    Esiste già un decreto attuativo o qualche norma che regolamenti le cosiddette birre agricole? Quali sono i vantaggi a livello fiscale o di gestione dell’accisa?
    In altri termini: stiamo parlando di una prospettiva futura o birre e birrifici agricoli sono già una realtà?

  10. Buongiorno a tutti.
    In termini tecnici non credo che esistano ancora “birrifici agricoli” secondo il DM in oggetto, ma se anche ci sono saranno molti di più negli anni a venire. Almeno questo è uno dei sentori avuti a Rimini sia come contatti diretti che da altri operatori.
    Il nostro settore (microbirrifici artigianali) è ancora sostanzialmente sconosciuto nelle sue tematiche di fondo: la ricerca che come Unionbirrai e Altis abbiamo fatto partire mira a dissipare un po’ di nebbie, per meglio poi coordinare gli sforzi. Un esempio: quanti birrifici artigianali in Italia sono “aziende artigianali”?
    L’argomento “concorrenza sleale” è legittimo, ma non ritengo comunque giusto pensare che tutti coloro che usufruiranno delle agevolazioni siano persone senza scrupoli buttatesi sulla gallina dalle uova d’oro. Personalmente i casi che conosco sono tutt’altro che così.
    Se poi parliamo di differenze che si creano sul mercato, dovremmo parlare anche di Asl, Agenzia delle Dogane e altro: il nostro sforzo sulla questione accise è volto ad uniformare il trattamento doganale in tutta Italia.
    Infine: non siamo i soli ad affrontare le problematiche di cui sopra.
    Come impostazione mia, sono per cercare i punti favorevoli in ogni novità. E penso che anche in questa ci siano.

    • Chi produce birra agricola non è una persona senza scrupoli.
      E’ semplicemente una persona che si avvale del risultato eccezionale ottenuto dalla sua rappresentanza di categoria.
      Onore al merito.

      • Simone…se ancora non avete capito la forza destabilizzante di questa minchiata politica…è molto preoccupante.
        E’ stata voluta da Coldiretti…..ma non per fare un favore a noi…ma ai propri associati….
        E’ ovvio che ancora non ci sono Birrifici Agricoli…anche perchè la cosa è freschissima…..ma nel prossimo futuro ce ne saranno moltissimi e ho sentito anche molti birrifici che vogliono fare il cambio di status….ma non è giusto ….per me rimane solo una furbata….
        Il fatto che il settore sia sconosciuto deriva dalle mancanze di chi doveva rappresentarlo…come dice giustamente Papazian andiamo sempre avanti in ordine sparso….e non esistono Associazioni di Categoria che rappresentino il settore….ma solo organizzazioni di appassionati…che sicuramente fanno molto per lo sviluppo del mercato ma ai quali noi Birrifici non possiamo delegare alcunchè (non sarebbe giusto anche per rispetto agli appassionati stessi)…..
        Io conosco il mondo agricolo ed è pieno di personaggi senza scrupoli (molto spesso dei politicanti di bassa lega)….quindi prepariamoci a lottare… altro che collaborare come dite voi di Unionbirrai…..
        Forse si vuole allargare solo la base contributiva ?

        A livello mondiale saremo i primi ad avere dei Birrifici Agricoli…..è incredibile cosa ci si inventa in Italia…..

        • e ridaje con sto coldiretti, guarda che i primi ad aver voluto la birra agricola in italia è stata la confagricoltori la Coldiretti si è accodata ma non ci sono solo loro…

    • Sai che non sono riuscito ancora a capire cosa avete proposto sulle Accise ?
      Non sono riuscito a capire quale è la proposta fatta da Unionbirrai e quale fatta da Assobirra….siamo tutti in attesa e non sappiamo assolutamente nulla……
      Cosa succederà a Giugno?

      • sulle accise informerò a parte sugli sviluppi, che come detto in assemblea a rimini, ci porteranno a chiedere una ulteriore proroga.
        Proposta Assobirra: purtroppo non c’è.

    • Punti favorevoli sulla normativa che riguarda i birrifici agricoli?
      A me non sembra che ce ne siano……(x i Birrifici Artigiani intendo….)…

      Forse saranno contenti quelli che producono impianti….così ne venderanno di più…..ma io no….

  11. “La birra è diventata un prodotto agricolo. Infatti, il nuovo decreto ministeriale 212/2010 permette alle aziende produttrici la materia prima, l’orzo, di creare una malteria o un birrificio aziendale e di considerare la produzione di questa bevanda e del malto attività agricole connesse e quindi soggette a tassazione più vantaggiosa, calcolata sulla base del reddito agrario. Lo ha comunicato Confagricoltura spiegando che per la produzione di birra servono varietà specifiche di orzo selezionate per il malto che sono soprattutto a semina primaverile (ma anche autunnali nelle zone temperate del Centro-Sud). “Il nostro Paese è deficitario ed importatore di queste varietà – ha sottolineato l’organizzazione degli imprenditori agricoli – ma nulla vieta ad alcune aziende agricole di produrre dall’orzo alla birra, in un’ottica di qualità. E quello dei birrifici agricoli è un fenomeno in crescita nelle campagne, ancor più grazie alle nuove disposizioni normative”.

    Il decreto prevede che le produzioni del malto e della birra, ma anche della grappa, del pane e degli altri prodotti di panetteria freschi (e farina o sfarinati di legumi da granella secchi, di radici o tuberi o di frutta in guscio) sono, a tutti gli effetti, attività connesse a quella agricola. E’ importante anche la produzione di grappa nelle aziende vitivinicole, che utilizza le vinacce delle proprie uve da vinificazione. Va sottolineato che, per essere considerate attività connesse, i malti per la birra, le vinacce per la grappa, le farine per i pani, vanno ricavati prevalentemente (51%) da orzi, uve e cereali prodotti in azienda.

    “Finalmente – ha commentato Confagricoltura – è stato definito che per avere una birra, una grappa, un pane di qualità sono necessarie materie prime di qualità, con una complementarietà importante che dà modo alle imprese agricole di ampliare l’offerta produttiva” perciò, si tratta di un “un provvedimento che proietta l’agricoltura in una visione nuova, che spinge le imprese settoriali a impegnarsi in attività a valle della produzione agricola vera e propria, recuperando parte del valore aggiunto di cui non hanno mai beneficiato”.

    Questo è un articolo pubblicato dal Giornale di Confagricoltura….è risibile quando parla di qualità delle materie prime…..come se una qualsiasi azienda agricola sia in grado di produrre by definition qualsiasi prodotto con standard qualitativi elevatissimi….ma sappiamo che questo non è vero! A maggior ragione del Malto d’Orzo di qualità…..E’ ovvio che loro non possano dire altro, anzi lo vendono ai propri associati come una conquista…
    Mi preoccupo quando invece chi deve tutelare gli interessi dei propri associati non lo fa…

  12. Va sottolineato che, per essere considerate attività connesse, i malti per la birra, le vinacce per la grappa, le farine per i pani, vanno ricavati prevalentemente (51%) da orzi, uve e cereali prodotti in azienda.

    Siamo in Italia …quindi tanta carta falsa….

  13. In “termini tecnici” come minimo esistono i sei birrifici marchigiani.
    Irpef zero ma anche tanti contributi a fondo perduto per l’acquisto degli impianti.

    E deve rendere se, come mi è stato detto, uno di loro che ha comprato (con i nostri soldi) un bell’impianto da mille litri ora sta pensando di passare ad un 40 hl. Ma solo se la regione sgancia il lesso, ovvio!

    E non venite a dire che gli agricoltori sono avvantaggiati, sennò vi cavo gli occhi.
    Mi è stato detto…

  14. Ah, altra perla.
    Hanno già registrato il marchio “Birra Agricola” mi hanno detto.
    “Non vorremmo che succedesse la confusione che aleggia intorno al termine Birra Artigianale…”

    Sono dei grandi!

      • il COBI
        Se vuoi dare un occhioo:

        http://www.agricolturalternativa.info/index_file/Page672.htm

        Sul finire dell’articolo si recita:
        “I birrifici agricoli potevano essere molti di più se non vi fossero state resistenze di ogni genere alla loro realizzazione e al loro finanziamento da parte delle Istituzioni. Ad ogni buon conto i sei birrifici e la malteria rappresentano “quel precedente” che oggi consente a tutti gli Agricoltori di avviare la produzione di birra a strada spianata. Infatti ultimamente imprese agricole di tutt’Italia, una trentina, stanno chiedendo di aderire alla Cooperativa per poter conferire il loro orzo, ritirare il malto e produrre birra da agricoltori.”

        Ecco, questa è la mentalità dell’assistenzialismo (accattonaggio di stato, lo chiamerei).
        Erano partiti qualche anno fa in 25.
        Poi visto che lo stato tardava a dargli i soldi a fondo perduto, molti si sono trovati senza più vocazione. Si saranno indirizzati verso pannelli solari o cose simili. Basta investire con i soldi degli altri. Non importa in cosa.

        Adesso c’è la legge e ci sono i soldi.
        Corriamo a fare la birra che va di moda e c’è chi dice che mi faccio anche ricco.
        Senza Riferimenti
        a cose o persone realmente accadute,
        ovviamente.

          • Ciao Bruno, Unionbirrai le conosce benissimo. Ed insisto, Cana a cui siamo affiliati segue la cosa anche per noi in tutte le sedi, nazionali ed europee.
            Come dicevo abbiamo un incontro a Bologna con Cna martedì prossimo e da lì avremo un comunicato sull’argomento.
            Il fatto che poi chiedi una posizione ufficiale ad Unionbirrai in questa sede mette in mostra una delle tante difficoltà del fare associazionismo: non parlare e non spendere tempo nelle sedi opportune.
            Ammetterai che il senso di responsabilità verso tutti i produttori di birra artigianale italiana, compresi i non soci, gli agricoli ( di cui alcuni sono soci) e l’argomento in ogni caso da approfondire, fa sì che prima di esprimere opinioni senza conoscenza dell’argomento sia meglio pensarci due volte.

        • Livingstone, normalmente rispetto le tue posizioni, ma in questo caso ci sono delle imprecisioni… non direi che gli agricoltori partiti in 25 sono diventati 5/6 perchè lo stato “tardava ad erogare loro i soldi” … tutt’altro non è quello il motivo. Le ragioni risiedo sulla grande difficoltà iniziale incontrata con l’apprato degli uffici pubblici, difficoltà tutte burocratiche, che arrivavano persino con l’obbligare gli agricoltori ad iscriversi nell’albo artigiani delle camere di commercio.. mettendo i Comuni nelle condizioni di dover ordinare la demolizione dei birrifici perchè realizzati su aree rurali. Non si trattava di contributi ma di difficoltà che in verità ogni imprenditore incontra con la nostra burocrazia ed in questo caso trattandosi di una cosa che non aveva “osato” nessuno potete immaginare quante battaglie e resistenze dall’apparato pubblico.

  15. Ciao a tutti,
    abbiamo letto con interesse l’articolo e i vari post.
    L’impressione che ne abbiamo avuto è che ci sia un po’ di confusione sulla birra prodotta all’interno delle aziende agricole, dovuta forse anche alla mancanza di trasparenza del termine “agribirra”.
    Se un birrificio è inserito in un’azienda agricola, che però non coltiva le materie prime necessarie alla produzione della birra e svolge attività in altri campi, secondo noi è fuorviante parlare di “agribirra”. Il fatto che il birrificio sia inserito nello spazio di un’azienda agricola, piuttosto che in un capannone o altro edificio, non cambia infatti in questo caso né le materie prime né la birra prodotta.
    Per correttezza ci presentiamo: siamo il Birrificio Zimella di Reggio Emilia, azienda agricola con birrificio. L’azienda agricola, preesistente al birrificio, era dedicata alla coltivazione di cereali e vigna. Da lì, è nata la volontà di dare vita a un birrificio che potesse utilizzare le materie prime prodotte dalla’azienda agricola. I cereali coltivati ora sono quindi orzo e frumento, mentre la vigna quest’anno verrà estirpata e sostituita con la coltivazione di luppolo. Tutte le nostre coltivazioni sono biologiche o in conversione biologica. Non abbiamo ricevuto nessun contributo per l’estirpo della vigna, abbiamo ricevuto aiuti solo per far partire il progetto del biologico. L’unico altro aiuto è di avere l’iva al 10% sulla nostra birra, agevolazione a cui per accedere non è sufficiente che il birrificio sia inserito in un’azienda agricola, ma è necessario che la birra sia prodotta con la maggioranza di materie prime coltivate dall’azienda agricola stessa.
    Chiarito questo, altro punto importante: la qualità delle materie prime prodotte da aziende agricole.
    Tutte le materie prime presenti sul mercato (malto, luppolo) provengono ovviamente da aziende agricole. Queste materie prime vengono selezionate in base all’idoneità all’utilizzo in campo brassicolo: l’orzo viene analizzato per verificare l’attitudine al processo di maltazione (dimensione, percentuale acqua, livello proteico, ecc) mentre dei luppoli si analizzano gli alfa acidi per verificare l’idoneità e l’utilizzo per amaro o per aroma. Le nostre materie prime hanno subito e superato gli stessi controlli. Nel 2010, essendo il primo anno del nostro “esperimento”, abbiamo deciso di affidarci a Weyermann, noto per l’elevato livello dei suoi malti. Il nostro orzo ha superato i test effettuati e il malto ottenuto non ha nulla da invidiare a malti ottenuti da cerali tedeschi o francesi. I luppoli hanno rivelato un buon profilo dal punto di vista dell’aroma, e li utilizzeremo quindi prevalentemente per questo.
    In Italia abbiamo spesso il mito di quello che viene dall’estero…più lontano è meglio è…ma in questo caso noi non se siamo tanto convinti e continueremo nel nostro cammino, quest’anno possibilmente affidandoci a una malteria italiana e facendo cosi percorrere meno kilometri ai nostri cereali.
    Invitiamo chi avesse dei dubbi , o volesse semplicemente saperne di più, a contattarci o ancor meglio a venirci a visitare e vedere di persona la nostra realtà e quello che con tanto impegno e serietà stiamo facendo.

    • Grazie delle precisazioni e scusate se il tenore delle discussioni on line a volte è un po’ troppo animato.
      Vorrei però precisare una cosa che non mi sembra chiara da quello che avete scritto.
      Se fate birra utilizzando materie prime prodotte dall’azienda agricola oltre al vantaggio dell’iva ridotta c’è anche una diversa tassazione sulla birra prodotta.
      Credo che sia una bella differenza.
      E non è l’unico vantaggio che ha un’azienda agricola. Vantaggi che per alcuni sono necessari e dei quali mi importa solo nel momento in cui costituiscono una distorsione della normale concorrenza.
      Quella legge è un errore e un grave pericolo per il mondo brassicolo italiano.

      • cosa avresti risposto alla domanda “chi sa fare birra in Italia” 15 anni fa?

        si può anche imparare… o, più semplice, assumere dall’estero uno che è già capace…

        • E’ legato al processo e al tipo di tecnologia….!!! Non è come farsi la birra in casa……
          Poi c’è il fatto economico…….produrre in Italia costa molto di più che all’estero (chiedere ad Agroalimentare…..)……pensate poi su piccola scala…
          La cosa si sostiene solamente grazie a sovvenzioni pubbliche….. e quindi con i nostri soldi…..ma a quel punto significa …che io lavoro, pago le tasse per sostenere qualcuno che mi fà concorrenza sleale che poi non paga le tasse….
          Lo trovo geniale…..

  16. a parte il fatto che non hanno registrato quel marchio, ma sarebbe comunque respinto dall’ufficio brevetti perchè troppo generico; sarebbe come voler registrare un marchio come motocicletta meccanica….

    • Le mie informazioni arrivano dalla dirigenza COBI e Copagri Marche, che potrebbe non essere stata del tutto precisa nel darmi quella informazione che ho riportato testualmente nella sostanza. Sono però persone serie che hanno degli enormi risultati al loro attivo. Li stimo molto e invidio la loro categoria così ben rappresentata.
      Ma io non ne faccio parte.

  17. x Simone Monetti:
    anche io sono affiliato a CNA….e faccio parte del Direttivo Provinciale …..OK CNA può essere utile…ma io penso che una Associazione come Unionbirrai debba avere una posizione indipendente e propria (CNA non può inventarsi una competenza settoriale che non ha) su questo e su altri argomenti…..e forte!
    Quando Tu mi dici che Unionbirrai non può prendere posizioni perchè all’interno ha sia Birrifici Artigiani che Birrifici Agricoli dimostra quanto sostengo io da tempo….Unionbirrai che è un coacervo di elementi diversi (Appassionati, Artigiani, Agricoli, Semi-Industriali, Publicans……) non può per “statuto” difendere gli interessi di aziende artigiane come la mia……e su questo argomento mi pare evidentissimo!
    Poi può fare moltissimo (me lo auguro) su: cultura birraria, concorsi, etc.

    X Zimella: Vi conosco da tempo ed apprezzo la Vostra serietà….sinceramente non sono preoccupato da gente come Voi ma da personaggi come quelli che sono dietro a COBI come da altri grandi imprenditori Semi-Agricoli che possono sconvolgere il mercato utilizzando i vantaggi forniti dallo Stato ……
    Però mi fa girare gli Zebedei il fatto che Voi paghiate l’IVA al 10% ed io al 20%…..come tutti i vantaggi di cui godete ad essere azienda Agricola …..(che non sono pochi) …..io pago tutte le tasse fino al midollo e voi no…..etc. etc.
    Se volete Vi faccio uno schemino con tutti i vantaggi relativi…..

      • @Bruno Carilli. Si può fare tutto. Penso che il contributo che porteremo alla discussione dell’argomento a Cna sia fondamentale nell’approccio al fenomeno. E penso, visto che sei associato, che Cna possa fare molto, interessando inoltre tutti i comparti alimentari coinvolti. Inoltre: tu sei artigiano. Molto bene. Sai quanti tuoi colleghi lo sono? Il birraio con brewpub è un tuo collega o un gestore di pubblici esercizi, con il quale quindi non puoi spartire battaglie oltre che culturali anche di tipo sindacale?
        Sbaglierò io, ma continuo a vedere molti più punti in comune fra te e Zimella, che fra te e una industria alimentare qualunque.
        E questi punti in comune vanno valorizzati al massimo.
        Infine: argomenti interessantissimi e molto stimolanti. Non siamo nella sede giusta per parlarne.

        ,

        • Io voglio collaborare con tutti!
          Non è in discussione il fatto che si possa o anzi si debba collaborare con tutti quelli che sono seri e che lavorano bene per lo sviluppo del mercato e del settore della birra artigianale “italiana”…..
          Ma Sindacalmente non puoi fare gli interessi di tutti……a me sembra ovvio…in tutto il mondo è così se parliamo di Sindacati…..
          Non ho mai visto il sindacato degli artigiani tessili che nello stesso tempo fà anche gli interessi dei tessili cinesi…..o dell’industria tessile…..o in questo caso dei potenziali tessili agricoli (categoria dimenticata? eppure si potrebbe fare dei bei tessuti con la Cannabis coltivata in azienda agricola od il lino…)…..

          • Ok. Un brewpub, sindacalmente è paragonabile a te, sugli aspetti della produzione della birra? Io dico di sì. Forse tu dici di no.
            Bene. Faremo 4 associazioni che difenderanno ognuna il proprio interesse, con tutto il rispetto parlando.

          • E insisto: non parlo di collaborazione, con tutti, parlo di questioni sindacali oggettive. Fino a ieri nessuna associazione di birrifici artigianali era accreditata alla Agenzia delle Dogane. Ora sì. Alcune battaglie sono assolutamente comuni e sono di gran lunga le più importanti.

        • Il problema è definire la categoria del Birrifico Artigiano….stà a noi definirla…e mettere insieme chi ha delle caratteristiche e dei bisogni simili o molto vicini….se no che facciamo?
          Però se dico che per i Birrifici Artigiani Italiani il Birrificio Agricolo è una potenziale minaccia….non dico mica una minchiata…..

          • Simone ne parliamo tranquillamente a quattrocchi ed in dettaglio……sai come la penso e rimango della mia opinione……non credo ai coacervi indifferenziati….
            Per quanto riguarda il lavoro con l’Agenzia delle Dogane Vorrei avere una chiara visione della proposta di Unionbirrai….cosa che non ho…..

    • La birra deve essere prodotto agricolo perché dire che è prodotto industriale è come dire che il vino non è prodotto agricolo o il formaggio

      comunque come accade per il formaggio anche per la birra tutta la filiera deve essere presente nell’azienda agricola e riguardo al cobi i microbirrifici associati conferiscono orzo e ritirano malto, essendo soci è come se il maltificio fosse il loro

        • ma quali complessi verso il vino !

          il caseificio che lavora il latte fa un prodotto industriale
          l’agricoltore che ha una stalla di bovini da latte produce latte e lo trasforma fa un prodotto agricolo, uguale per la birra

          io non sono ne birraio industriale ne agricoltore, sono solo un appassionato di birra
          capisco la paura dei birrai industriali di poter subire la concorrenza degli agricoltori perchè sò per esperienza che la birra agricola è buona e perchè credono che gli agricoltori siano molto avvantaggiati in fatto di imposte ma è giusto considerare la birra prodotto agricolo, l’errore c’è stato fino adesso ora finalmente dopo 10 anni di lavoro ( del presidente della copagri marche) è stato corretto
          riguardo allo scetticismo di alcuni per quanto riguarda l’esperienza di chi produce birra agricola ricordate che anche il birraio più bravo ha dovuto imparare all’inizio

          • per quanto riguarda la qualità il cobi ha fatto tutte le analisi al suo malto ed è stato seguito da un mastro birraio esperto

          • è un discorso che torna solo per chi ha la convenienza di questa storia.

            I birrai industriali adesso chi sarebbero? le multinazionali o quelli che fino a 5 minuti fa erano chiamati birrifici “artigianali”?
            quindi adesso esiste la birra industriale, agricola e artigianale.
            Giustamente gli artigiani hanno paura di un regime fiscale diverso fra piccoli produttori. Gli industriali, quelli veri, se ne infischiano di entrambi.

            Sulla qualità credo che gli artigiani abbiano poco da temere; parliamo di cose totalmente diverse

          • no. io credo che è un discorso che non torna solo per chi non ha la convenienza di questa storia

            io comunque intendevo gli artigiani

            e se come dici sulla qualità gli artigiani hanno poco da temere, che problema c’è se la birra è prodotto agricolo, noi consumatori sappiamo distinguere una cosa buona da una scadente e se la birra agricola non è buona non si vende e questi birrifici falliscono

            e non credere che gli agricoltori facendo anche i birrai diventano ricchi solo perchè hanno un regime fiscale diverso magari però riescono a guadagnare qualcosa invece di fare pari sul bilancio alla fine dell’anno

          • Si può fare il rimpiattino fino allo sfinimento.
            La verità è che esisteranno produttori con regimi fiscali diversi. Il vantaggio è ovvio da che parte sta.

            Gli artigiani, che io non ho interesse a difendere (anzi…), in questo caso hanno tutte le ragioni del caso.

          • se non hai interesse a difendere gli artigiani allora prova a conoscere la situazione degli agricoltori

            comunque mi sembra che le tue argomentazioni contro il fatto che la birra sia prodotto agricolo siano limitate al regime fiscale diverso quindi se gli agricoltori avessero per quanto riguarda il birrificio un regime fiscale uguale agli altri sarebbe tutto a posto.
            o sbaglio ?

  18. @ Zimella
    Tutto molto poetico, ma quando si parla di provenienza degli ingredienti, che sono rinomati ed apprezzati, proprio perché provenienti da una determinata zona unica e non da altre, non si sta facendo esterofilia ma realismo.
    Il nostro Bel Paese in questo è un esempio per il mondo: lardo di Collonata, olive Ascolane, il pane di Strettura, ecc, ecc.

    Così, ne più ne meno, ci sono il luppolo di Zatec o di Popperinge, il malto della Moravia, ecc, ecc.

    Noi Italiani non abbiamo ne cultura della birra, ne ingredienti per la birra, ne la capacità ed il know-how per avere questi ingredienti particolari, tant’è che non esiste una tipologia di birra italiana.

    Poi, invidiosi degli stranierei, tanto quanto gli stranieri c’invidiano le nostre innumerevoli specialità, ce ne possiamo scordare e fare il malto di Poggibonsi ed il luppolo di Piozzo, ma ci stiamo prendendo in giro da soli.

    Stiamo parlando d’ingredienti che fuori dall’area di provenienza, anche solo di 50 km, crescono con caratteristiche ben diverse. Ma il luppolo che coltivate cos’è un SAAZ di Sassuolo o un Kent di Brescello?

    Stile Parmesan Brasileiro o mozzarelle Teutoniche? Tanto poi sono tutte bufale.

    Poi scusa ma che vuol dire orzo approvato da Weyermann? Che sono loro a maltarlo? Alla faccia dei km zero e della convenienza. Poi scrivi che lo farete maltare in Italia e mi chiedo chi in Italia abbia le competenze di Bamberg?

    Noi Italiani abbiamo tante di quelle specialità e competenze, nel settore alimentare, da non avere paragoni nel mondo intero. E di questo c’è d’andarne fieri, molto fieri. Consapevoli di ciò, perché mai dovremmo sentirci inferiori, su cose in cui gli specialisti, una volta tanto, sono altri. Vuoi mettere i wurstel Tedeschi, con i nostri. Eppure in quel settore non vedo nessuno che non se ne faccia una ragione.

    Smettiamoli di fare i vinai Svedesi!!
    La sai quella barzelletta sulla birra? C’è un Tedesco, un Belga e un Italiano………….

    • Scusa una cosa Cerevisia ma hai mangiato qualcosa di eccessivamente pesante? In base ai tuoi discorsi quindi bisognerebbe smettere di coltivare qualsiasi cosa non autoctona? Quindi basta anche patate (vuoi mettere con quelle dell’Idaho!?!?!) e basta pomodori (e sti cazzi: in Messico lo coltivano da sempre)..
      Alla fine il potenziale cancro dei birrifici agricoli non sono sicuramente ne Zimella ne Corte Pilone (mi pare maltino pure) o altri che non conosco ma sono la solita frotta di furbetti che potrebbero sfruttare a loro piacimeno la legge come già fanno centinaia di agriturismi con 2 tralci di vite e una capra legata al cancello.
      Infine ti assicuraro che a pochi km da Brescello nella fattispecie Palasone nel parmigiano sembra di essere in Hallertau per il luppolo che coltivano con passione Mario e Giuseppe inoltre ti assicuro che forse a Sassuolo il Saaz non cresce ma nel mio orto a 9km di distanza si.
      Ciao
      Andrea

    • Ciao,
      rispondiamo con piacere ai tuoi dubbi per chiarire alcuni punti.
      Il nostro orzo nel 2010 è stato maltato da Weyermann. Siamo consapevoli che non è a km zero ma come primo anno abbiamo voluto affidarci ai numeri uno…per avere la certezza di ottenere un buon prodotto del tutto paragonabile a quelli reperibili sul mercato. Le analisi sian dell’orzo sia del malto sono disponibili e se vuoi te le possiamo inviare per e-mail. Possiamo anche aggiungere che abbiamo già contattato Weyermann e in caso di buona resa ed eccedenza di orzo rispetto al necessario sono interessati all’acquisto (quotazione alla mano)…orzo che quindi potrebbe finire in malti bio targati Weyermann e venduti in tutto il mondo..o anche a voi.
      Come dicevamo, dopo questo primo anno sperimentale, nel 2011 faremo maltare in una malteria italiana, ancora non abbiamo firmato il contratto ma abbiamo individuato nella malteria Galletti di Cremona il posto giusto per noi. La loro esperienza sui malti è consolidata (lavorano per realtà come Barilla), la loro dimensione è sicuramente più piccola di Weyermann ma questo per noi è un vantaggio perché possiamo maltare lotti più piccoli, inoltre hanno silos separati per il biologico e possono quindi certificarlo. Abbiamo visto tutto di persona andando in visita da loro. Unico neo non fanno malti speciali, ma il nostro fabbisogno è minoritario e non giustificherebbe comunque un ciclo di maltazione.
      Per quanto riguarda i luppoli siamo consapevoli che il tipo di terreno e di clima potrebbe influire sul profilo aromatico dei luppoli. Qui starà a noi saper adeguare la ricetta in base a eventuali possibili differenze riscontrate. Non dimentichiamo che anche nei luppoli esteri queste variazioni sono possibili, in base al raccolto. Il fuggle che abbiamo acquistato in Uk è passato da un alfa acido 6.9 a un 9 nel nuovo stock.
      Vorremmo terminare dicendo a tutti voi, con cui sicuramente condividiamo una grande passione per la birra, per la serietà nel lavoro e per la ricerca di una buona qualità, che il fatto che si inizi a produrre le materie prime in italia può solo, a nostro parere, creare benefici nel panorama birrario italiano, dando maggior lustro e risalto a una realtà sempre più riconosciuta all’estero e in continua ascesa nei livelli qualitativi. Auspichiamo che un buon indotto di materie prime e servizi aiuti ancora di più lo sviluppo del settore, col tempo magari anche abbassando i prezzi rispetto a materie prime estere.
      Chiudiamo dicendo che la nostra tassazione è basata su una rendita presunta catastale. Questo può essere un vantaggio, ma ci sono pesanti contropartite su altri fronti..il chè spiega perché gli impegati in agricoltura siano solo il 4% del totale degli impiegati, e che l’età media sia di più di 65 anni.
      Ribadiamo ancora l’invito a venirci a visitare e vedere di persona.

      • Accetto volentieri l’invito. Il vostro approccio alla questione mi pare decisamente interessante ed in linea con il MIO pensiero.

        • Simone,
          possibile che non vuoi capire quale è il punto cruciale?
          Come puoi condurre una battaglia che favorisca tutti i tuoi associati se la base dei tuoi associati non è omogenea?
          Noi stiamo parlando di differenze d’impresa e tu rispondi di affinità culturali.
          Ma ti rendi conto che non è la stessa cosa?

          Sono d’accordo sulla necessità di non iniziare a discutere di queste cose in questa sede. Altrimenti il discorso si farebbe lungo e complicato. E l’impressione è che tu non sappia neanche di che stiamo parlando.

          Rispondimi pure, se ti senti offeso nei termini che preferisci.
          Non replicherò.

          • Forse alla fine la chiave di volta è questa: da noi si sottolineano le differenze tra le varie realtà, altrove i punti di contatto…

          • @Livingstone. Nessuna offesa. Anche perchè ho la stessa sensazione su di te. Possiamo trattare decine di temi comuni in termini di impresa, oltre a quelli, spero evidenti, di tipo culturale.
            Quando parlo di brewpub o di microbrrificio parlo di due imprese completamente diverse. O no? E tra un artigiano e un commerciante c’è differenza o no?
            Eppure, il fatto di produrre birra artigianale, a mio avviso, oltre che legarli strettamente da un punto di vista culturale, li mette sullo stesso fronte anche su tante battaglie sindacali.
            Abbiamo la possibilità di fare molte cose. Proviamo ad fare qualcosa di diverso in Italia.
            Un saluto a tutti e grazie per la discussione, che però spero continui al più presto nelle giuste sedi.

      • @Carboneria Reggiana & Zimella

        Le vostre affermazioni confermano che l’Italia sta alla birra come la Svezia sta al vino.
        No non ho mangiato pesante, mi inalbero quando c’è gente che crede alle favole e pretende, in buona fede, che tutti debbano crederci. Finché Musso le racconta a puro scopo di marketing, va bene, la mettiamo nella categoria fregnacce insieme alla musica per lieviti, ma se c’è gente che davvero imposta attività commerciali sulle favole…

        Qui non si sta parlando di patate o di pomodori, qui si parla di malti e di luppoli, che guarda caso dovrebbero essere venduti corredati di certificato di provenienza, chissà come mai? O almeno noi lo facciamo.

        Seguendo il vostro ragionamento sarebbe possibilissimo dividere gli ettari di una coltivazione, facendo un po di SAAZ, un po di KENT, un po di Hallertau, uno adiacente all’altro. Mentre così si potrebbe ottenere in un paio di raccolti un luppolo tutto uguale che non è ne SAAZ, ne KENT, ne Hallertau.

        I luppoli, come i malti hanno delle caratteristiche completamente diverse in base ai luoghi di provenienza. Nessuno in Rep. Ceca proverebbe a coltivare KENT, anche se naturalmente non c’è confronto sul know-how Ceco e quello Italiano sulla coltivazione del luppolo.

        Mentre in Italia è possibile coltivare qualsiasi tipo di luppolo, chissà perché?
        Che ne direste di un Tedesco che in Baviera coltivasse l’uva per farsi il vermentino di Gallura? Potrebbe mai ottenere qualcosa di paragonabile? Ma nemmeno lontanamente, risponderebbe qualsiasi Italiano. Ma se si tratta di luppolo invece tutti si convincono che a 9 km da Sassuolo cresca il SAAZ.

        Ma chi afferma ciò, lo sa che vuol dire SAAZ? SAAZ è il nome tedesco che indica Zatec, che è una piccolissima provincia al centro nord della Rep. Ceca. Il luppolo che si produce viene certificato come Žatecky Chmel, cioè luppolo di Zatec, mentre quello che cresce a due km da quella zona no!!

        E’ come il moscato di Scanzo che cresce su un unica collina, mentre le viti delle colline a fianco non producono moscato di Scanzo, ma una cosa diversa che non verrebbe mai chiamata moscato di Scanzo, perché sarebbe una favola, come la favola che pretendete di propinarci. Sono convinto che di fondo ci sia la buonafede e che sia più mancanza di cultura birraria che consapevolezza di spararle grosse.

        Tornando al malto, Weyermann è disposta ad acquistare il vostro orzo per maltarlo e rivederlo. A parte che Weyermann non è un esempio di top quality, anzi io mi sono sempre chiesto quale interesse possa avere una malteria che ha come clienti i grandi produttori Tedeschi, al piccolo mercato degli artigiani Italiani. Ma questo è un altro discorso, comunque ci credo che acquistino l’orzo se poi lo maltano loro, mi stupirebbe invece se fossero disponibili ad acquistarlo dopo la trasformazione in malto eseguita in Italia.

        Avete individuato una malteria a Cremona che come affermi lavora con Barilla. Il malto per la birra e quello delle fette biscottate non è la stessa cosa. E non è la stessa cosa maltare per un artigiano che crea qualità o per Peroni. Volete fare una cosa seria, sensata, qualitativa ed intelligente. Assumete temporaneamente un mastro birrario maltatore, necessariamente straniero e fategli esaminare impianti, materia prima e processo e lui vi dirà dove sono i punti critici. Questo sarebbe già un sistema per uscire dall’illusione ed entrare nella realtà

        Poi in pratica sta malteria vi acquista l’orzo e poi vi rivende il malto, che chiaramente non è ricavato dal vostro, ma anche da altri. Ora se dite che la malteria lavora con Barilla, chi vi garantisce che l’orzo sia distico e che venga maltato con sistema birrari e non con metodi dedicati alla panificazione?

        Le materie prime autoprodotte sono una bufala, sia in termini economici, sia sopratutto in termini qualitativi. Impiegarle vuol dire introdurre ulteriori variabili in un processo microbiologico, già pregno di variabili alle quali la scarsa preparazione, della maggior parte dei nostri birrai, non riesce a sopperire. Vedi birre cattive, incostanti, acide, ecc,ecc.

        Come fa un birraio a rispettare uno stile che dovrebbe avere della caratteristiche ben precise, pur lasciando spazio all’interpretazione che il birraio saprà apportare, se si parte con delle materie prime che non hanno e non possono avere per definizione delle caratteristiche certe?

        Certo che in Italia se si continuano a fare birre fuori stile, cioè quelle dove il birrario candidamente dichiara: “non ci siamo ispirati a nessuno stile” e che quindi possono essere acide, ma anche no, fruttate, ma anche no, abbondantemente amaricate, ma anche no, be allora va bene tutto anche l’orzo bimbo, tanto se poi vi ci trovano il difetto, potete sempre venderlo come caratteristica intrinseca che il birraio voleva evidenziare, stile la famosissima grattatina di maroni.

        Veramente sono stufo che, generalizzando, gente di scarsa cultura birraria s’inventi materie prime, procedure stili e dichiari di volersi rifare all’antica tradizione brassicola Italiana, ma quale?? Basta favole, basta ignorare l’evidenza, basta prendersi e prenderci in giro. La birra esiste da 6000 anni, mo arrivano gli Italiani, con 5990 anni di ritardo ed inventano le procedure, gli stili e gli ingredienti e si badi bene senza aver mai frequentato alcuna scuola birraria, con la sola cultura virtuale di internet. Quelli che dovrebbero essere chiamati i wikibirrai!! Ora Livingstone vi dirà che affermo ciò perché voglio vendere un sacco in più di malto, cosa che mi consentirebbe sicuramente di cambiare macchina o riammobigliare casa, mentre invece mi rammarica che in Italia non si riesca ad uscire da questo stato di credulità popolare e si continuino a fare birre che non si sa bene come definire.

        La preoccupazione delle birre agricole è quella che saranno birre di scarsa qualità, che però godendo di vantaggi fiscali di cui altri non godono, possano uscire a prezzi più invitanti e non ci vuole molto e si abbassi ulteriormente valore qualitativo delle produzioni Italiane. Tanto ormai è di moda vedere in etichetta: “fatta con ingredienti Italiani, cosa che nella birra non sarebbe un vantaggio o una garanzia di qualità, ma anzi una garanzia contraria. Solo che vista la preparazione media dei nostri consumatori e magari un prezzo più alettante si diffonda pure.

        Allora alziamo gli occhi al cielo verso Gabrinus, Radegast e la dea Cerere e diciamo: perdonali perché non sanno quello che fanno. Amen.

        • senti, secondo te è lecito o meno coltivare le VARIETA’ Hallertau, Challenger, Goldings e Magnum nella stessa zona (Poperinge per la precisione) per fare birra? come si fa da decenni? senza la pretesa, che peraltro hai tu soltanto, di dire che stai usando luppoli che provengono dalla loro zona di nascita?

          seguendo la tua filosofia, il cabernet sauvignon o lo chardonnay non sarebbe mai dovuto uscire dalla Francia. mentre, senza troppe menate, basterebbe intendersi sul pretendere di sapere la provenienza di una determinata VARIETA’ di luppolo (DOC, DOP & c. per capirci, se uno vuole tutelare un territorio), cosa anche giusta anche se forse ci sarebbero cose un tantinello più importanti prima da pretendere (tipo fare la birra usando i malti e non gli estratti). udite udite, anche il luppolo ha il suo terroir, e anche all’interno del suo territorio di provenienza ha risultati alquanto differenti, fatti un giro da qualche grossista di luppolo in UK a sentire 6 varietà diverse di Cascade provenienti tutti dalla Yakima se vuoi farti una cultura invece di continuare a combattere le tue guerre di religione c(i)ec(h)e. che palle

          cmq, fammi sapere, che nel caso ti faccio avere l’email del birraio che ha presentato la migliore birra allo Zythos così puoi dargli tranquillamente del cretino per non essere andato a prendere ogni singolo luppolo dove dici tu

        • Bah guarda Cerevisia fatico a seguirti: posso darti atto che un luppolo cresciuto nell’ormai culla del luppolo Sassuolo non potrà chiamarsi Saaz appunto per “tipicità” dell’omonimo luppolo ceco (ti ringrazio per la digressione storico/culturale ma sono stato a Zatec) ma prenderà un altro nome. Del resto una ventina di anni fa non vi era traccia di molti luppoli americani in auge ora ma cio’ non ha vietato agli agricoltori della West Coast o dell’Idaho di piantare ed incrociare varietà già esistenti dalla notte dei tempi creando qualcosa di NUOVO; quindi per quel che mi riguarda lunga vita ad eventuali Piastrella Goldings od affini.
          Ciao ciao

          • straquoto carboneriareggiana

            e ciò vale anche per il discorso orzo-malto
            bisogna evidenziare, esaltare le differenze,,,,questo è QUALITA’!

            @cerevisia: le tua chiusura mentale mi sbalordisce

  19. Andrea, ma che c’entra? In USA o in UK intanto non si mettono a fare i birrifici agricoli……
    La differenza sta nella genetica…in USA il movimento è fatto da primedonne che collaborano….da noi da primedonne che hanno già litigato da almeno 4 anni……
    In USA e UK la collaborazione verte su punti comuni e su iniziative che tendono ad allargare il mercato di riferimento…poi per la competizione ognuno per se rispettando le regole del libero mercato….
    In Italia…come al solito si sovvertono le regole del libero mercato….
    Si vuole continuare a non capire….collaborazione con tutti sui punti di contatto (Cultura Birraria, Comunicazione sulla Birra di Qualità,etc,) e difesa dei nostri sacrosanti diritti ed interessi per quello che mette a rischio l’esistenza delle nostre aziende (Distorsioni della Concorrenza, Accise, Rapporti con Istituzioni Pubbliche, Pratiche sleali, etc.)….sono Livelli molto diversi sui quali non si può andare d’accordo con tutti!

    • Secondo me le collaborazioni estemporanee non bastano e non servono a niente. Esaltare le differenze e guardare solo a quelle non crea un movimento organico, c’è poco da fare. Fino a oggi hai sottolineato solo differenze tra gli interessi della tua azienda e quelli di altre, che siano birrifici agricoli, birrifici con impianti maggiori dei tuoi, birrifici con partecipazioni societarie distributori, ecc. Come diceva anche Simone, magari poi sottolineerai le differenze con i brewpub, con i birrifici metropolitani, con chi imbottiglia nel formato da 33cl e non so cos’altro. Ogni azienda ha problematiche specifiche, è chiaro ed è sacrosanto lavorare in tale ottica. Quindi secondo me si possono creare tranquillamente consorzi con obiettivi diversi, ma se i consorzi si arrogano anche diritti di tipo “culturale”, allora il rischio è di frammentare clamorosamente il settore. Se ad es il tuo consorzio (tuo inteso in senso generico) inizia anche a promuovere una definizione specifica di birra artigianale (o birra di qualità, o birra viva, come preferite) allora si crea una pericolosa confusione e ci si può dimenticare che il movimento possa avere la forza di andare oltre il suo terreno originale.

      • Andrea….il settore lo hanno già frammentato (e dieci) …..
        Ma qui però non si vuole proprio capire….
        Pazienza me ne farò una ragione…..

        Però:
        – Te sei un appassionato ed è giusto che continui a farlo…ed a proporre iniziative che coinvolgano questo famoso “movimento” , io ci metto il mio culo e i miei in quello che faccio tutti i santi giorni e se permetti c’è una bella differenza…..
        – se Unionbirrai non riesce a portare avanti le istanze della categoria dei Birrifici Artigiani è logico che i birrifici artigiani non ne faranno più parte….
        – si continua a blaterare senza fare proposte concrete….non si riesce a capire la tua posizione in merito …non basta lamentarsi della frammentazione e poi non fare proposte per evitarla……nello stesso modo Unionbirrai non chiarisce mai in modo trasparente quale è la posizione ufficiale su molti temi di nostro interesse…
        – sai che differenza c’è tra una associazione di categoria ed un consorzio ???

        Basta mi sono stancato di parlare al muro….di gomma…

        • Se leggessi attentamente le mie risposte di proposte ne troveresti tante, ma forse il fatto che tutto quello che faccio lo faccio per passione non merita attenzione… C’è una bella differenza certo, quindi mi ripeto.

          Liberissimo di perseguire i tuoi interessi e quelli delle aziende che consideri più vicine alla tua realtà (ma mi sembra che il cerchio si stia chiudendo sempre di più). Quindi liberissimo di creare un consorzio, un’associazione di categoria o quello che più ti aggrada. Ma usala solo per fini economici e non di cultura birraria. Perché se inizi a imporre dei paletti anche dal punto di vista culturale si frammenta ulteriormente il movimento – che è già frammentato, nessuno lo nega, ma non per questo bisogna perseverare.

          Se ad esempio il tuo “ente” decide di elaborare una propria definizione di “birra artigianale” (o birra di qualità), lo farà seguendo gli stessi principi che regolano la possibilità di associarsi. Quindi posso presumere che per te “birra artigianale” sarà una birra prodotta solo da birrifici di tot dimensioni (perché altrimenti non sono artigiani), oppure da birrifici non agricoli (altrimenti non c’è sicurezza sulla qualità del malto impiegato), oppure da birrifici non posseduti in parte da distributori (altrimenti hanno un vantaggio distributivo). Sono tutte ipotesi, ma credo potenzialmente realistiche.

          La tua associazione promuoverà la tua visione di birra artigianale, un’altra la sua, un’altra ancora la sua e ci possiamo dimenticare una dimensione organica del movimento, al di là di collaborazioni estemporanee.
          Ok spero che tu abbia capito cosa intendo.

      • Beh estremizzando allora ha ragione Teo quando dice che si tratta sempre della stessa bevanda.
        E da un certo punto di vista è vero.
        Nella primavera brassicola di ognuno di noi il primo contatto è stato con le birre industriali. Ed è importante ricordarlo, perchè serve a ricordare cos’è la cultura della birra. Le compagnie, i luoghi non sono un ingrediente secondario dell’esperienza.
        Ma questo è un altro discorso.

        Se vuoi una pluralità di opinioni, devi capire anche la natura delle obiezioni.
        Questo blog ha la fortuna di essere frequentato da appassionati di birra che rivestono ruoli diversi seppur nell’ambito della stessa cultura.
        Non vedo come quindi ci si ostini a negare la legittimità di certe osservazioni, bollandole come ottuse, quando tali problematiche, come la concorrenza drogata, possono influire enormemente sul risultato finale.

        In alternativa ci possiamo limitare a parlare di filosofia, di cultura della birra.
        In quel caso non dovrebbero esserci più contrasti, ma a mio avviso il quadro che ne scaturisce è un po’ limitato.

        E’ quello che vuoi?

  20. La mia conclusione.
    Il tema di questo articolo ha evidenziato l’esistenza di almeno due approcci molto diversi all’associazionismo tra attori dello stesso universo culturale.
    Posso garantire che divisioni che sembrano enormi non impediscono un sereno confronto quando gli interlocutori si incontrano nel mondo reale. E questo è fondamentale.
    La convivenza di due anime così diverse all’interno della stessa associazione mi sembra potenzialmente autodistruttiva.
    Sento ancora più la mancanza della associazione che potrebbe rappresentare la mia visione e bisogna dare un’accelerata alla sua realizzazione.
    Ma non vorrei vederla come “un’ulteriore divisione”.
    Nelle divisioni precedenti i rancori hanno impedito qualsiasi possibilità di dialogo.
    Dal mio punto di vista vedo Unionbirrai ancora come una risorsa importante, portavoce di un legittimo pensiero e conseguente approccio diverso dal mio. Credo che dovremmo essere complementari più che nemici.

    Ma dobbiamo partire.

    • Livingstone, avevi detto che non replicavi 🙂
      Quando parlo di sedi opportune parlo di incontri su basi concrete. Se la discussione qui ti è sufficiente per convincerti delle tue opinioni, penso che ti manchi una buona dose di approfondimento sui temi sensibili.
      A titolo personale: credo nell’aspetto “rivoluzionario” della Birra Artigianale Italiana.

      • @ Simone
        Infatti non ho replicato alle tue affermazioni legittime, che non condivido.
        Sono d’accordo sul trovarci e discutere.

        Per le tue conclusioni su rivoluzione e mio livello di informazione, magari hai anche ragione, anche se ovviamente avrei da obiettare.

        Ma vedi, io sono una persona semplice.
        Il mio livello di analisi si ferma ai risultati ottenuti da UB in anni di “lavoro”. A mio giudizio incredibilmente insufficienti.
        Basta quello per farmi rimanere saldo nella mia convinzione che oggi ci sia necessità di un nuovo soggetto, rivoluzionario nel “rivoluzionario” mondo brassicolo italiano.

        @ Andrea
        Forse mi hai frainteso.
        Per me nessuno è nemico e ogni soggetto del mondo della birra ha almeno alcuni fini in comune.
        Quando parlo di necessità di rappresentanza omogenea mi riferisco ad un problema di natura pratica che interessa una cerchia ristretta, ma importante, di tutti gli appartenenti all’universo culturale del quale stiamo parlando.
        Per questo è una forzatura parlarne qui. Perchè si da l’impressione che ci siano contrapposizioni nei fini, al che non credo.
        Mi spiego meglio.
        Se Zimella o Rurale producono buona birra ricercando e utilizzando prodotti locali, sono sicuramente da plaudire e da incoraggiare.
        Ciò non toglie che ad un livello meno filosofico e più pratico il fenomeno dei birrifici agricoli possa portare conseguenze negative ad altre realtà non agricole. Questa è una divisione voluta e creata dal legislatore non da noi. E di questo dobbiamo tener conto.

        Sono invece molto meno convinto che UB sbagli ad incamerare appassionati e publicans. Il dubbio è sempre che non si riesca a rappresentare efficacemente la propria categoria, ma non è detto. Gli appassionati possono essere uno stimolo e una risorsa. I publican sono l’attore singolo forse più importante di tutto il sistema e fino ad oggi sono incredibilmente rimasti ai margini della discussione. Il loro coinvolgimento in UB potrebbe essere dispersivo come potrebbe essere il colpo di genio che veramente rivoluziona tutto. Personalmente spero nella seconda ipotesi.

        Per quanto riguarda la conoscenza delle realtà non nazionali e delle peculiarità nazionali sembra che ognuno di noi sia convinto di sapere una cosa più degli altri. Chissà se l’approccio giusto possa essere quello socratico.

  21. buongiorno a tutti, mi chiamo Daniele Capacchione e nel 2004 ho iniziato un progetto di recupero di un azienda agricola sulle colline piacentine.
    Il Birrificio Agricolo Duchessa che ha aperto nel 2008 è una delle attività che dovrebbero (dico dovrebbero) rendere economicamente funzionale questa azienda oltre ad altri progetti legati al turismo.
    Io non voglio entrare nel merito della convenienza o meno di essere agricoltori e fare birra.
    Dico solo che produrre birra in ambito agricolo è una grande opportunità per il recupero del territorio. per il ritorno a forme di economia compatibili con la terra che ci circonda.
    Io con fatica e impegno mi stò circondando di persone qualificate (Nicola Zanella su tutti) perchè la birra che produco deve essere un ottima birra.
    Ho scelto di affidarmi alla Coldiretti perchè, come tutte le cose che non hanno una legislazione chiara, è necessario avere un supporto politico e soprattutto avere visibilità.
    Sò benissimo che ad oggi produrre con solo malto italiano sia molto difficile, ma non impossibile.
    Tutti i miei clienti sanno che la filiera non è chiusa e che ci stiamo lavorando (in provincia di Piacenza con altri birrifici e una piccola malteria da installare).

    Mi dispiace che si faccia di tutta un erba un fascio e che, chi fino ad ora aveva come unico “nemico” la birra industriale ora veda nell’agricoltura un altro potenziale nemico invece di un valido alleato.
    Saluti a tutti.
    Daniele Capacchione

    • Ma quale alleato nel momento che le tasse le paghiamo noi anche per voi?

      Smettiamola per piacere di usare argomentazioni ridicole per giustificare questa anomalia italiana.

      Dal mio punto di vista non ci sono motivazioni per i vantaggi fiscali dati selettivamente a chi fa l’artigiano, seppure all’interno di una azienda agricola.

      Vi immaginate che dirompente aiuto sarebbe stato per l’agricoltura se lo stesso vantaggio fosse stato esteso a TUTTI I FOTTUTI BIRRAI e fornai che avessero scelto di usare cereali italiani? Ma quanto cereale in più sarebbe stato coltivato? Un’enormità!

      Se il legislatore è andato in direzione diversa è perchè del cereale non gliene fotte una minchia.
      E’ interessato solo ai vostri voti, casta privilegiata che si batte e dibatte per conservare i privilegi.

      Tutti possono far birra e nessuno è nemico finchè gioca con le stesse regole.

      Unità d’Italia….aspettatemi giovedì che si festeggia…

    • Coldiretti è la parola d’ordine…lo so…..e da noi chi è?
      Mah…Boh…..non si ha nemmeno una posizione ufficiale……non so …non dico…non conviene parlare…..Unionbirrai farà qualcosa …ma non si sa Cosa…Quando? Chi? Assobirra boh….mah…chissà…
      Inoltre sono alquanto preoccupato dall’inesistenza totale su questo tema di prese di posizione di singoli Birrai professionisti……non interessa ? Non si ha tempo? Ma qui ce lo stanno mettendo nel didietro senza vaselina e nessuno se ne accorge? Tutti gay?

      E questo è solo uno dei tanti punti di interesse e potenziali criticità per il nostro fururo…..

  22. Ciao Daniele, sai che che ti stimo molto…e sò che come con Zimella stiamo parlando di persone appassionate e serie.
    Però non puoi dire che non stiamo parlando di qualcosa che viola le regole del libero mercato….

  23. E poi ha ragione Bruno. Abbiamo trasformato questo articolo in un fortino con due bischeri contro tutti.

    Per me il futuro della birra è legato anche a queste problematiche e ne ho la conferma quando leggo (e mi rattristo) quello che fa la Brewers Association. Non solo cultura evidentemente!
    http://www.examiner.com/beer-in-national/small-brewers-bill-introduced-by-senators-kerry-and-crapo

    Di questo stiamo parlando.
    Regole comuni.
    La qualità non c’entra niente.

  24. Credo che l’argomentazione relativa a tasse e vantaggi fiscali sia assolutamente legittima e io posso solo portare le motivazioni che mi hanno spinto a ragionare di birra in termini agricoli.
    Ho scelto di produrre le materie prime e la birra in un territorio abbandonato, dal punto di vista agricolo, culturale e sociale, paesi e colline dimenticate, strade che non permettono l’arrivo di tir…..
    Mi sono dato dei limiti per cui la produzione non potrà superare un certo quantitativo, consono alla zona….l’aumento di fatturato e/o produzione eventuale riguarderà altre attività non legate alla birra.
    Permettere all’agricoltura di fare pane, birra e quant’altro può significare il ritorno alla montagna di giovani e famiglie…non dimentichiamolo….
    Sono totalmente d’accordo con voi circa i pericoli della concorrenza sleale da parte di pseudo attività agricole che vantano mezzi e potenzialità logistiche simil industriali.
    Credo che dovremmo fare più attenzione all’etica che stà dietro certe scelte e non fare solo critica generalizzata.
    Chi beve birra deve sapere cosa stà dietro alla birra che sceglie nel modo più chiaro possibile.

    • Caro Daniele, io apprezzo moltissimo quello che stai facendo…..che è realmente uno sforzo sovrumano per poter valorizzare un territorio povero ed abbandonato…nessuno mette in dubbio che scelte di questo tipo vanno aiutate …
      Come ho già detto queste iniziative sono sane e serie….quello che mi spaventa è che le agevolazioni che giustamente devono essere indirizzate ad iniziative come le tue possano essere strumento per altri più ricchi ,non operanti in zone marginali o da recuperare, per poter fare “business” sfruttando appieno i vantaggi fiscali…..Ti posso garantire che sento molti movimenti del genere sia da parte di Grandi Imprenditori Agricoli (vinai, oliandoli, etc..) che da parte di qualche birrificio allettato dalle agevolazioni di cui sopra…..Il tutto a scapito di chi ha investito i propri risparmi personali e che fà questo mestiere con passione e competenza….e che si deve confrontare tutti i giorni con una burocrazia opprimente e con una tassazione penalizzante….

    • Per l’etica: verissimo dobbiamo in qualche modo “vigilare” e con coraggio denunciare chi opera in modo scorretto ed in alcuni casi fuorilegge…..a questo dovrebbe servire una associazione di categoria….che si rispetti….

    • Credo che tutto quello che hai fatto, che è lodevole senza ombra di dubbio, sia da premiare e approvare.
      Ti fa però piacere sapere che quello che nel tuo caso è un necessario premio al recupero e alla conservazione del nostro territorio, viene indiscriminatamente dato a chiunque si fregi dell’etichetta di azienda agricola?
      E’ questo il punto.
      L’aiuto non è meritocratico ma politico.
      Per uno come te ci sono cento esponenti della famiglia del “furbus italicus” che vengono mantenuti da queste leggi.

      Non è tutto.
      Con le migliori intenzioni l’assistenzialismo, in ogni parte del mondo, è stato la medicina che ha ucciso l’iniziativa ed ha scoraggiato i meritevoli.
      La moneta cattiva che scaccia quella buona.

      E’ nella natura umana.
      Dacci la possibilità di trasformarci in parassiti e il 98% di noi lo diventerà.
      E combatterà guerre sante per non perdere il privilegio.

      Poi ci sono le eccezioni e vanno rispettate.
      Ma non sono sufficienti a dimostrare che l’assistenzialismo paga.
      Che l’insostenibile costo è giustificato.

      O vogliamo iniziare a parlare della dittatura dei consorzi agrari?
      Della schiavitù alle cantine sociali?
      Il bello è che in Italia alla fine la maggioranza dei “furbi” finisce per essere sfruttata a prò di altri.
      Ma non è una consolazione perchè il danno è per il paese.

      La moneta cattiva scaccia quella buona.
      E le persone come te, oneste e laboriose, non dovrebbero far finta di non vedere.

  25. Mi sono sentito in dovere di difendere un certo modo di interpretare il mondo della birra artigianale perchè credo in quello che faccio, ma concordo sul fatto che bisogna vigilare e darsi delle regole che vadano di pari passo con l’evolversi della situazione.
    Io da neofita mi stò guardando intorno per vedere chi mi può rappresentare al meglio…e dato che per mia natura sono un tipo abbastanza autonomo diffido abbastanza da enti, associazioni e consorzi….
    Il timore che ci sia chi se ne vuole approffittare preoccupa anche me, quindi sono ben disposto a dialogare e confrontarmi con chi vuole mantenere qualità e rispetto di regole comuni.

  26. Condivido ampiamente le preoccupazioni espresse.
    Se da una parte vi sono imprenditori agricoli onesti e seri che portano il loro orzo a maltare a Bamberg (IMHO esistono malterie piu’ vicine ed altrettanto valide di Wey.), dall’altra, con placet di coldiretti/confagricoltura, vegetano agricoltori senza scrupoli e ricchi di fantasia realizzativa che, a breve, si affacceranno nel mercato.
    Da tener presente che il 51% delle materie prime (non semilavorati) da ricavare in azienda e’ in peso (coldiretti docet).
    Ma mi son deciso a scrivere (di solito lurko perche’, di base, son pigro ;-)) perche’ stamattina mi son proprio “girati”. Molti conoscono il mio presunto “fondamentalismo da reinheitsgebot” e gia’ l’uso di enzimi sintetici come coadiuvanti per la parte di cereale crudo (non serve maltare … costa troppo:-( ) lo ritengo una bestemmia, figuriamoci la birra(?) cosi (circa) di seguito fatta in piccola scala dal titolare (agronomo :-() di una azienda agricola veneziana:
    49% malto acquistato
    30% kiwi produzione aziendale
    20% orzo produzione aziendale + enzimi
    01% luppolo produzione aziendale (?)
    Cagata galattica!!! E, ripeto, ha gia’ il placet dell’ufficio locale della categoria di settore 🙁 …
    e mi ha chiesto una consulenza sull’intero start-up … 🙁

    • Mmmmm…a parte che la quantità di orzo non maltato dovrebbe essere ancora nei limiti entro i quali non è necessario aggiun enzimi, mi sembra che il 50 % di aggiunte diverse dal malto d’orzo o di frumento dovrebbero porre quel prodotto nelle categorie delle non-birre…o sbaglio?

      • Mah, ti diro’ Franco che, da mie piccole prove empiriche, saccarifichi bene sino ad un 30/35% di orzo crudo, viceversa ti porti a “spasso” un bel po’ d’amido. Con l’aggiunta di enzimi vai invece a nozze !!

        Circa la definizione, per la legge italiana, di birra, anche secondo me con il 50% di materia prima diversa dal malto non rientri. Purtroppo e’ anche sufficiente dichiarare di aver “(auto)maltato” il quantitativo mancante … sbaglio o pure in fiera a Rimini qualcuno girava per gli stands proponendo una micromalteria dove bastava far germogliare il cereale per poi essicarlo al sole? 🙁 … 🙁

        • Beh, infatti la percentuale di cereale non maltato che hai indicato è inferiore al 30% del cereale totale. Il Kiwi non lo considererei nella proporzione in quanto dovrebbe apportare zuccheri semplici e una quantità industriale di acido ascorbico che se immesso in ammostamento potrebbe inibire la saccarificazione…per cui aggiungerei il succo addirittura in fermentazione dopo una leggera pastorizzazione, anche per evitare lo sviluppo di pectine in bollitura…

          Di sicuro la…non birra sarebbe piuttosto acida per cui avrei preferito una base di birra di frumento, un po’ più appropriata al risultato finale e lieviti a scelta a seconda del risultato che vogliamo ottenere. Personalmente mi indirizzerei verso il mondo belga in quanto una speziatura potrebbe ristabilire un po’ di equilibrio…

          In alternativa una birra ad alta gradazione con gran quantità di zuccheri residui che sorreggano l’acidità del kiwi.

          Oppure una birra a bassa gradazione che d’estate si beva a secchi, quasi come una limonata….

          Interessante, interessante….perchè non accetti la consulenza?
          Mi sembra una bella sfida!

          SI fa tanto per pensare a voce alta….

          Sulla possibilità di giocare carte false, purtroppo essendo in Italia credo che tu abbia ragione.

  27. Come è che non ci sono state mai state rivolte all’accisa…che credo sia una tassa pagata sul litro e sul grado prodotto?? Le tasse sono sempre state, dall’Impero Romano in avanti, sul fatturato o sul profitto…e non sul valore numerico di un prodotto. E’ un po’ come se un negozio di calzature fosse tassato sul numero di scarpe vendute e non sul loro prezzo. Non è che le “problematiche” tipo accisa, registri di carico-scarico, contalitri piombati, etc. etc. sono stati, sì un problema per l’apertura della propria attività, ma tutto sommato uno scudo a chi sarebbe venuto dopo e…quindi, a posteri, perchè fare una battaglia per togliere queste problematiche che seppur medioevali sono anche di “contenimento” ad un’allargamento del mercato???

  28. Tutti noi sappiamo quanto costa maltare un kg dell’orzo autoprodotto, ed essendo più che doppio rispetto al costo di un kg di malto di qualità(senza contare costo di produzione dell’orzo e relativo trasporto), mi sembra che qualsiasi cervello minimamente pensante si renda conto che è la solita legge italiana fatta per essere raggirata! Se poi vogliamo trovare delle scuse se ne possono trovare a bizzeffe! Gli italiani credono anche che b. avesse invitato tutte quelle puttane a casa sua per offrirgli una cena e fare quattro chiacchere…
    Perché non si è fatto diventare il malto un prodotto agricolo favorendo così realmente la nascita di un vera birra italiana?
    P.s. Chi dice che in Italia non si possono produrre gli ingredienti per fare una buona birra è ignorante tanto quanto chi dice che in Germania non si possono produrre ottimi vini! Per la cronaca in Germania si producono alcuni fra i migliori vini al mondo…
    A me piacerebbe davvero prodigio lamia birra agricola… Ma la realtà è un altra!!! E ho paura che sta legge scritta come è scritta sfavorisca anche chi volesse fare davvero la propria birra agricola!!!
    secondo guesta legge chi si produce il proprio luppolo è proprio un masochista! Si potrebbe usare luppolo ancora da seccare e congelato per recuperare un Po di chili!!!
    Domanda: l’acqua non viene considerata una materia prima.
    si potrebbe anche bagnare il malto autoprodottomin modo rampicar guadagnare altro peso!

    • Quoto

      No, l’acqua non è considerata materia prima.
      Secondo alcune interpretazioni (COBI, per citarne uno) il 51% di materia prima autoprodotta si riferisce al valore e non al peso. Puoi quindi annaffiare quanto vuoi ma il valore non cambia 🙂

  29. Se si volessero davvero aiutare i contadini (che sono un altra cosa rispetto ai guidatori di trattori) basterebbe indicare i prezzi alla sorgente di ogni prodotto… Così sarebbe chiaro a tutti a chi vanno i soldi che pensiamo di spendere per nutrirci!!!!
    Scusate sta sera ho guardato un film di fantascienza….

  30. forse non si era capito nel mio intervento precendente. In sintesi…piuttosto che protestare perchè qualcuno (agricoli) hanno avuto un’agevolazione (no accisa) perchè non protestare affinchè questa strana tassa (accisa) venga tolta definitivamente (anche per i microbirrifici) visto che è un qualcosa che risale a poco dopo la Grande Guerra??
    Per quanto riguarda la normale tassazione giuridica le fifferenze tra l’agricolo e le altre attività rimane ma se per quello rimane anche tra cooperative e sas, srl o spa e fondazioni e etc. etc.

    • in un paese dove per evitare la totale scomparsa di ogni forma di iniziativa culturale si è deciso di rifinanziare il fondo per la cultura con una nuova accisa sui carburanti, proprio nel momento in cui i carburanti sono al loro massimo storico, così a naso, non mi sembra un battaglia destinata a grandi successi….

    • Togliere l’accisa avrebbe un grande beneficio per il consumatore (che ci paga sopra anche l’iva :-p) ma da un punto di vista del mercato visto che è una tassa uguale per tutti non distorce la concorrenza.

  31. in teoria dovrebbero pagarla tutti, compresi gli agriturismi nell’esercizio della loro attività.
    nela pratica c’è un sacco di birra che, grazie all’unione doganale, viene importata senza pagare accisa.
    l’accisa poi varia da paese a paese, ma è presente in tutti i paesi. la vera distorsione l’assenza di accisa sul vino.
    ci sono altri esempi di esenzione, tipo i cosiddetti “biofluel”

  32. non mi sono spiegato bene.
    quando cito l’unione doganale propria della UE, intendo dire che nella movimentazione di prodotto da uno stato all’altro non si paga accisa fino all’ingresso del prodotto nel paese di destino finale. l’importazione parallela permette l’ingresso in Italia di birra estera che non ha pagato accisa in nessun paese o che ha pagato accisa in un paese in cui la stessa ha un incidenza inferiore rispetto a quella italiana, di conseguenza un prezzo più basso.
    ma è solo uno degli effetti di un distinto sistema di imposizione fiscale tra i paesi membri. altri limiti di un sistema non armonizzato sono quelli relativi, per esempio, al grado plato. di conseguenza molta della birra che viene importata dall’estero è più competitiva del prodotto nazionale, non solo per ottimizzazione della produzione, sia essa industriale o artigianale, ma anche grazie ai garbugli legislativi e alle falle del sistema di tassazione nazionale, oltre che ai mancati controlli sulla movimentazione in entrata.

    • Non riesco a capire cosa vuoi dire.
      a) si paga l’accisa nel paese di destino finale per cui tutta la birra in italia ha evaso l’odiosa tassa.
      b) prezzo più basso in conseguenza di accisa non assolta o inferiore.

      Come fanno le due cose a convivere…a meno che non si parli di evasione di accisa. In tal caso il discorso è OT. Qui si parlava di vantaggi competitivi perfettamente legali.

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