Una delle sfide più importanti che stanno affrontando diverse nazioni africane è lo sviluppo di filiere alimentari autonome e indipendenti. Le bevande alcoliche e la birra in particolare rappresentano prodotti molto interessanti da questo punto di vista, perché garantiscono (almeno in parte) uno sbocco economico alle coltivazioni locali. Nel continente infatti esistono diverse bevande tradizionali associabili alla birra, nate spesso dalla fermentazione di miglio, sorgo o altre graminacee diffuse in Africa. Pur tra mille difficoltà, le istituzioni stanno provando a incentivare gli investimenti in tal senso, spesso prevedendo sgravi fiscali e incentivi economici. Relativamente agli alcolici, c’è inoltre l’interesse a contrastare la reperibilità di prodotti scadenti e a favorire un approccio più consapevole al consumo, con ripercussioni positive anche a livello sociale. Un esempio per tutti è quello dell’Uganda, che da anni incentiva la coltivazione dell’orzo – nel 2012 ne importava circa 25.000 tonnellate all’anno – e prevede un sostanziale sconto sulle accise.
Non abbiamo citato l’Uganda a caso, perché proprio dal paese dell’Africa Centrale arriva l’allarme per il rischio di estinzione di una antica birra locale, chiamata Tonto. Il suo processo produttivo è piuttosto curioso, perché viene realizzato lasciando maturare le banane verdi per alcuni giorni (solitamente da tre a cinque) in un tino di legno scavato a forma di barca, solitamente sospeso, e ricoperto di foglie di banano al fine di mantenere uniforme la temperatura. Conclusa questa fase si procede all’estrazione del succo, che viene poi filtrato, diluito e infine miscelato con sorgo. A sua volta il sorgo viene prima tostato (simulando presumibilmente una sorta di maltazione) e quindi macinato finemente. Il mix quindi viene lasciato fermentare in maniera naturale per un periodo variabile dai due ai quattro giorni. Il nome in swahili del Tonto è mwenge bigere, che significa “birra di piedi”: in passato infatti l’estrazione del succo di banana avveniva schiacciandone la polpa coi piedi; per motivi igienici oggi quella procedura è stata sostituita quasi completamente dal ricorso ad appositi macchinari.
Il Tonto ha una gradazione alcolica tra il 6% e l’11%, un colore bruno, un sapore zuccherino e un’aroma immancabilmente fruttato. Si conserva pochi giorni dentro la kita, una grande zucca essiccata, mentre per il servizio si usa l’endeku, una zucca più piccola. Per la produzione del Tonto vengono impiegate diverse varietà di banane diffuse in Uganda, tra cui la kayinja (o mbidde), tipica del distretto di Kayunga e iscritta nel novero dei Presidi Slow Food. Proprio Slow Food offre una panoramica interessante sulla biodiversità di questo frutto in Uganda:
Se ne contano oltre 50 varietà, che si mangiano nei modi più svariati […] Oggi, però, questa straordinaria biodiversità è gravemente minacciata: da uno dei mercati più omologati del mondo (il commercio internazionale delle banane è dominato da una sola cultivar, la cavendish), da una malattia (nota come Moko o Fusarium e causata dal batterio Xanthomona) che nel giro di pochi anni ha già devastato interi ettari di colture e da un progetto che sta sperimentando l’introduzione in Uganda della cosidetta “super banana”, geneticamente modificata.
Relativamente alla varietà ugandese riconosciuta tra i Presidi di Slow Food:
Tra le tante varietà, la banana kayinja (anche nota come mbidde) non si mangia fresca, ma soltanto trasformata in birra e distillati. In tutto il paese è stata parte integrante della cultura di molte tribù come i banyoro, i basoga e i baganda. I prodotti che se ne ricavano, ancora oggi, sono considerati sacri e sono consumati in occasione di feste e celebrazioni. Un tempo era presente in ogni orto e giardino insieme a piante di ananas, frutti della passione, banane matooke, caffè, mais e patate, ma oggi questa varietà è sempre più rara.
Non deve dunque sorprendere se il Tonto ha un impatto non indifferente sull’economia dell’Uganda: rappresenta infatti una fonte di reddito per molte famiglie, il cui sostentamento dipende dalla coltivazione delle banane. Il suo processo produttivo però è molto artigianale e casalingo, tanto da sollevare problematiche in termini igienici e tributari. La sua sopravvivenza è dunque a rischio per le scelte delle istituzioni, sempre più propense a limitarne la produzione, nonché per il successo che sta riscuotendo la birra in bottiglia. Come riporta il sito della rivista Africa, nelle ultime settimane è stato presentato un disegno di legge che renderebbe totalmente illegale non solo la produzione di Tonto, ma l’attività di qualsiasi birrificio artigianale.
Nonostante la sua importanza economica e culturale, produrre Tonto in Uganda risulta sempre più difficile. La sua eventuale scomparsa significherebbe perdere una preziosa tradizione locale, che ancora oggi si tramanda di padre in figlio. È proprio così, ad esempio, che Ndyanabo è diventato un produttore di Tonto nella città di Mbarara, in Uganda meridionale:
Ho iniziato a conoscere la birra locale già da piccolo da mio padre. All’epoca il Tonto veniva prodotto come facciamo oggi nei tini di legno, ma era lasciato fermentare in una pentola di terracotta o usando una zucca. Oggi la fermentazione avviene direttamente nel tino e, una volta che il Tonto è pronto, vado a Mbarara per venderlo.