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Il disagio nel nuovo trend birrario della California: i pub self service

Quello della birra artigianale è un mondo in così veloce evoluzione che nuovi fenomeni tendono a rincorrersi con frequenza regolare. Molti di essi sono decisamente interessanti, se non addirittura auspicabili: penso ad esempio alla riscoperta di stili antichi, che permettono di preservare e diffondere tipologie birrarie (e relativa storia) altrimenti destinate all’oblio. Il discorso cambia però quando le tendenze emergenti sono semplicemente guidate da mode passeggere: non solo risultano inutili, ma talvolta persino dannose, poiché arrivano a minare le basi di un movimento sulle quali esse stesse poggiano. Sto esagerando? Forse. Però spiegatemi allora come valutare il nuovo trend in ascesa in California: quello rappresentato cioè dai locali con birra alla spina self service.

Di questo fenomeno ha scritto recentemente il giornalista Andrew Khouri sul Los Angeles Times, introducendo l’articolo con una provocazione:

La tua prossima birra alla spina potrebbe non essere servita da un publican, ma da te stesso.

Ed è proprio ciò che succede in questi pub di nuova generazione, dove le spine sono liberamente accessibili dai clienti. Ognuno può riempirsi il bicchiere quanto desidera, pagando poi un prezzo proporzionale alla quantità di birra bevuta. Un meccanismo semplice e intuitivo che si sta diffondendo velocemente in California, ma che sta cominciando a comparire anche in altre realtà. Se vogliamo persino in Italia, sebbene in maniera ancora sperimentale: mi viene in mente il Queen Makeda di Roma e i suoi tavoli con spine self service, ma non escludo che ci siano altri esempi.

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Secondo i sostenitori di questa tecnologia, i vantaggi sarebbero diversi. Il primo risiede nella possibilità di tagliare i costi dei dipendenti, riducendo il numero di lavoratori necessari a mandare avanti il locale. Il secondo è nell’invogliare i clienti a provare più tipologie di birra, potendo assaggiare piccole quantità di diverse produzioni prima di decidere di riempirsi il bicchiere. Il terzo vantaggio è collegato al secondo, poiché ogni assaggio non è gratuito ma effettivamente pagato dal cliente di turno, permettendo così al titolare di ridurre i costi di “gestione”.

Stranamente il vantaggio più evidente è ignorato, o quantomeno bisogna leggerlo tra le righe. Il metodo self service semplicemente fa consumare più birra: il cliente ha a disposizione una o più spine tutte per lui e può accedervi in qualsiasi momento, senza lasciare il suo posto, fare la fila e attendere di ricevere l’attenzione del cameriere o del publican. La riduzione del personale – ammesso che sia possibile – e il presunto azzeramento degli sprechi sono solo variabili marginali.

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Se il meccanismo fosse effettivamente utile per il consumatore finale, i vantaggi per i gestori sarebbero ben accetti. E apparentemente i benefici per i clienti non mancano: abbiamo detto che possono provare più birre, senza dover attendere il proprio turno al bancone e decidendo direttamente quanto e cosa bere. Ma siamo proprio sicuri che queste facilitazioni sono realmente valide?

Partiamo da due presupposti, che dovrebbero essere stampati nella mente di ogni appassionato: il pub è (anche) un luogo di socializzazione e la birra artigianale non può esistere senza cultura birraria. La forza della birra artigianale non si esaurisce nella possibilità di offrire ai consumatori una varietà amplissima di tipologie brassicole, minimamente paragonabili a quelle dell’industria. Questa è solo una conseguenza della straordinaria varietà insita nel patrimonio birrario internazionale. Ogni stile ha una sua storia e un suo perché: se non si spiega perché il Lambic è acido, difficilmente sarà compreso e apprezzato dai bevitori. Lo stesso discorso vale per tutti gli stili, non solo quelli estremi.

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La parola chiave è dunque “comunicazione” e, come spiegano i libri accademici, la comunicazione prevede un emittente e un ricevente. Il ricevente è chiaramente il consumatore finale, mentre il ruolo dell’emittente deve essere ricoperto dal publican. Mai mi stancherò di sottolineare quanto sia importante la funzione di chi si trova dall’altra parte del bancone: è lui che deve guidare il cliente, cercare di capire i suoi gusti e portarlo ad approcciare la birra artigianale nel modo migliore. Investendo anche parte del suo tempo e dei suoi soldi. Ad esempio l’assaggio gratuito è uno degli stratagemmi migliori, perché porta vantaggi a entrambi gli attori: il consumatore accetta ben volentieri di provare qualcosa di nuovo, il publican può puntare alla fidelizzazione del cliente e alla fiducia che quest’ultimo dimostrerà nei suoi confronti.

Ora immaginate le due situazioni in parallelo. Il cliente occasionale entra in un pub “virtuoso”, si dirige al bancone e il publican di turno gli domanda cosa vuole ordinare. Di fronte alle titubanze del primo, quest’ultimo gli chiede che tipo di birra aveva in mente e gli fa provare uno o due assaggi di produzioni diverse, accompagnandole con qualche nozione a corredo. Il cliente assaggia con piacere e interesse (tanto non costa nulla), ragiona sulle informazioni appena ricevute e valuta cosa ordinare. Quasi sicuramente uscirà dal locale soddisfatto e con qualche concetto di base di cultura birraria. Certo, non sempre ci sono le condizioni perché tale situazione si realizzi, ma il processo a grandi linee è questo.

Ora invece cerchiamo di calarci nell’altra situazione. Il cliente entra nel locale e si trova di fronte a decine di spine uguali, con i nomi delle birre e qualche informazione a margine. Non sa cosa bere, ma qui può può riempirsi il bicchiere liberamente provando diversi prodotti. Comincia con una Berliner Weisse, che trova sgradevolmente acidula: pensa che sia andata a male e procede oltre. La seconda birra è una Double IPA dal nome aggressivo: buona, ma un po’ troppo amara e alcolica, forse è meglio assaggiare qualcos’altro. La terza scelta è una Mild: al suo palato sembra acqua sporca dal sapore leggermente caramellato. La frustrazione sale così come il conto da pagare (gli assaggi non sono gratuiti). Per fortuna c’è una spina di Budweiser come approdo sicuro: una pinta e passa la paura.

Ho volutamente estremizzato le due situazioni – in realtà la prima neanche troppo – ma il succo del discorso è proprio questo: i locali con birra self service non solo sono la morte della visione classica di pub, ma rischiano di distruggere uno dei piloni portanti di tutta la cultura birraria: la comunicazione tra publican e cliente.

Sapete come si conclude l’articolo di Andrew Khouri? In questo modo:

Clienti come Chris Scales, che qualche pomeriggio fa stava assaggiando una Pale Ale spillata da lui stesso in un locale vicino all’aeroporto, sembrano confermare [le considerazioni positive].

“Non mi piace interfacciarmi con i baristi”, dice, “sono sempre troppo occupati”.

Un tavolo più in là Shawn Herbst stava godendosi un giro di birre con due colleghi. In città per una conferenza, il quarantaquattrenne della Florida ha detto di apprezzare il concetto self service, in parte perché gli sembra più semplice provare un insieme di nuove birre assaggiandone solo una piccola quantità.

Ma per verificare questa teoria egli deve prima cambiare le proprie abitudini: sul suo tavolo è rimasta una pinta intera di King Arbor California Saison.

Non ci è dato sapere perché il bicchiere sia rimasto intatto, ma io un’idea ce l’ho bene in mente.

E voi cosa ne pensate? Vi piace l’idea di pub con servizio fai da te?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Io mi sono imbattuto in un pub con il self service a Sofia (Bulgaria). Avevano la loro House Beer (spillabile al tavolo e con contatore annesso), ma per il resto le bottiglie si chiedevano al cameriere. Personalmente credo che il rito di un servizio fatto come si deve da parte di un publican competente è parte essenziale di una bevuta a regola d’arte: quindi, per fare un esempio, non andrei mai alla Belle Alliance per far andare io l’Handpump. Però in certe realtà (vedasi gente che si improvvisa publican per cavalcare l’onda della birra artigianale), se fossi io a spillare/servire la birra potrei evitare certe vaccate in cui mi sono imbattuto (vado OT: puoi fare un articolo per spiegare che non tutte le birre vanno versate da un metro di altezza ??? magari se lo leggono il messaggio passa…). A conti fatti, quindi, per un utente smaliziato ci sono pro e contro. Per il neofita invece sono più gli handicap perché senza avere un minimo di nozioni si rischia di navigare alla cieca.

    • Il vantaggio che citi è in realtà un problema a monte, purtroppo non raro da riscontrare.
      Per l’articolo ce ne sono decine in giro per il web spiegati da persone molto più qualificate del sottoscritto 🙂 Però posso pensare a un’ospitata qui su Cronache…

  2. Scusate, ma come viene determinato l’importo da pagare? Non credo ci sia qualcuno che controlla quanta birra e quante volte una persona spilla.

    • Solitamente è tutto automatico tramite un contalitri (o contacentilitri in questo caso) direttamente collegato alle spine

  3. Andrea ingrandisci il carattere della parola (giá in grassetto) COMUNUCAZIONE!
    Scherzi a parte, trovo correttissime le tue valutazioni..

  4. SECONDO ME NECESSITA SEMPRE DI QUALCUNO CHE TI SPIEGHI E TI AIUTI A SCEGLIERE IL TIPO DI BIRRA ADATTO AL TUO PALATO, MA IN ITALIA CI SONO DELLE SCUOLE CHE TI PREPARANO AD ESSERE UN BUON PUBLICAN?

  5. Secondo me, in base al flusso, è possibile prevedere una o più publican che accolgano la clientela e la sollevino dai propri dubbi. Queste figure inoltre potrebbero avere accesso illimitato alle spine in modo da far assaggiare gratuitamente la birra al cliente, cosi che possa scegliere la sua preferita.

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