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Scenografica Matera: i piatti tipici della Basilicata abbinati a birre artigianali

Matera è una città dal fascino irresistibile, che colpisce al cuore. È fatta di una bellezza piccola e dimenticata, di notte illuminata da antiche luci gialle sospese che allo sguardo regalano emozioni indimenticabili. Perfetto contesto scenografico da film (tra i più celebri qui girati, “Il vangelo secondo Matteo” di P. P. Pasolini e “La passione di Cristo” di M. Gibson), oggi è meritatamente protagonista delle mete turistiche internazionali e capitale europea della cultura per l’anno 2019. Ma visitandola non si può dimenticare che quello che ci appare come un incanto è anche testimonianza di una povertà drammatica, che oggi sembra lontanissima.

Matera è solo la punta di diamante di una regione splendida (e spesso poco considerata). Ma dal punto di vista brassicolo la situazione non è molto rosea: sono poche le realtà produttive (appena 16 tra birrifici e beerfirm) e con una qualità che ha pochi alfieri di livello. Questo quadro in chiaro scuro si ribalta completamente in campo culinario, da cui emerge la rappresentazione ampia e soddisfacente di una cucina splendida e ispirante, che profuma di terra e di tradizione.

Antipasti: falagoni e pastizz’ e cialledda

Per l’abbrivio scegliamo tre assaggi di due piccoli calzoni ripieni di patate e verdure, detti falagoni, oppure di carne – primariamente di maiale – e pecorino, prezzemolo, sale, olio, pepe e uova, detti pastizz’. Aggiungiamo anche la cialledda, l’antica “colazione del mietitore” (veniva consumata a metà mattinata dai braccianti agricoli), un piatto prettamente estivo, rinfrescante e leggero, a base di pane raffermo, pomodori, cipolla, olive, origano, basilico e olio.

Per l’abbinamento si può optare per una birra fresca, aromatica e con una quanto meno discreta capacità detergente: c’è infatti la necessità di non appesantire troppo l’inizio del pasto e di una carbonazione presente per sgrassare e ripulire dai sapori non esili dei cibi. Per un accompagnamento disimpegnato farà al caso vostro la Bianchina (una Blanche) o la Gaddina Young (una White IPA) entrambe di Birrificio del Vulture, produttore attivo a Rionero (PZ), in piena zona di produzione del vino aglianico. Se invece gradite maggiore spessore ci si può orientare o sulla Alexandra, ale di matrice anglosassone fruttata e profumata, prodotta da Jazz Beer a Bernalda (MT) – peraltro paese di origine di Francis Ford Coppola – oppure sulla Ouverture, Belgian IPA di Pintagramma, valida e opportunamente asciugante interpretazione di questo ibrido birrario.

Primo: strascinati al sugo di pezzente

Proseguiamo con gli strascinati (una pasta acqua e farina simile alle orecchiette, ma con dimensioni più grandi) al sugo di pezzente, un salame tradizionale Presidio Slow Food, il cui nome deriva dalle parti del maiale utilizzate, quelle più povere (muscoli, nervetti, gola, stomaco e grasso avanzato dalle lavorazioni precedenti) e conciato con peperone dolce di Senise (o peperone piccante), finocchietto, aglio e sale. Per l’abbinamento si potrebbe optare per una Weizen, come la Bramea di Birrificio del Vulture, se si vuole semplicemente accompagnare l’aromaticità del sugo ripulendo la bocca in maniera discreta, oppure per la Biére de Garde di Crazy Hop (Tricarico, MT), per chi cerca un abbinamento più complesso arricchito da sensazioni maltate, una discreta cremosità e una chiusura di giusta secchezza.

Secondo: cazzmarr’

Come secondo la scelta è ricaduta su uno dei piatti materani più caratteristici: da molti considerato ostico e dagli amanti del quinto quarto ovicaprino considerato invece paradisiaco, il Cazzmarr’ o Marro. Un grande involtino a base di frattaglie miste (polmone, fegato e rognone) di agnello o capretto da latte strette all’interno del loro budello, insieme a prezzemolo e pecorino. Ha dimensioni più grandi ed è leggermente più condito dei più famosi gnumaridd’ (che con vari nomi compaiono come piatto tipico anche delle aree appenniniche che s’affacciano tra Campania, Molise e Puglia). Una Wee Heavy, che possiede necessarie tendenze dolci, corpo, sostegno alcolico e capacità avvinghianti – per contenere e valorizzare la rusticità delle sensazioni aromatiche – è esattamente quello che fa per noi. E in città la reperirete facilmente visto che fa parte della linea di produzione di Birfoot, valente brewpub cittadino: si chiama Aztec.

Dolce: panaredd’

Visto il periodo, affidiamo la chiosa alla Panarella, dolciume pasquale amatissimo e solitamente a forma di cestino. La base dell’impasto è una pasta frolla, condita con confetti, canditi e granella di zucchero, con l’uovo sopra (a simboleggiare la Resurrezione). Per l’abbinamento è necessario orientarsi o su una Quadrupel o su birre “speciali” e di alta gradazione improntate sulla dolcezza, sul timbro maltato/tostato, su un’aromaticità “zuccherina” e sulla forza alcolica. Uscendo dalla Basilicata, suggeriamo la particolare Elixir di Baladin oppure due superclassici belgi facilmente reperibili come la San Bernardus Abt 12 e la Gouden Carolus Cuvée Van De Kaiser.

L'autore: Roberto Muzi

Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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