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Birra e ambiente: riciclaggio, fonti alternative e riduzione degli sprechi

La New Belgium a breve si avvarrà di un impianto a energia solare
La New Belgium a breve si avvarrà di un impianto a energia solare

In un periodo in cui tutti i campi dell’industria internazionale sono orientati alla riduzione di costi e di emissioni nocive per l’ambiente, anche la produzione brassicola si adegua alla filosofia (moda?) del momento. Tra ricerche innovative e coraggiose politiche da parte dei pionieri del settore, pian piano anche il mondo birrario sta abbracciando quella che è considerata la prossima rivoluzione dell’industria mondiale: crescita sostenibile, impatto ambientale limitato, efficienza e riduzione degli sprechi. In America le conquiste di alcuni microbirrifici sono già tangibili…

La scorsa settimana, ad esempio, su Beernews è apparsa la notizia che la Sierra Nevada è stata nominata “Amica del vetro” per le proprie attività di riciclaggio. In particolare sono stati premiati gli sforzi dell’azienda nel promuovere e attuare politiche di recupero delle bottiglie. Un riconoscimento in qualche modo preventivabile, visto che fin dalla sua apertura il birrificio della California è stato uno dei primi a sforzarsi di integrare i principi ambientali all’interno delle strutture decisionali e operative.

Ancora più avveniristica è la svolta della New Belgium, che la scorsa estate ha annunciato l’inizio dei lavori per il proprio impianto a pannelli solari. L’installazione avrà una portata di 200 kw, producendo il 16% del massimo carico elettrico dell’azienda e il 3% del consumo totale di energia elettrica. L’intervento rientra in un più ampio progetto che coinvolge altre otto società della zona di Fort Collins, in Colorado.

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Anche stavolta non si tratta di un’operazione nata per caso. Già nel 1998 la New Belgium divenne il primo birrificio alimentato ad energia eolica, mentre attualmente può produrre fino al 15% del suo fabbisogno energetico mediante un impianto di acquisizione del metano. L’impianto fotovoltaico costerà più di un milione di dollari e sarà finanziato per il 40% dal Dipartimento dell’Energia.

Spostandoci in Europa e nel campo della pura ricerca, ad inizio settembre è stata pubblicata la notizia che un team di ingegneri della Technische Universitaet di Monaco ha messo a punto un metodo destinato a far risparmiare almeno il 20% dell’energia impiegata nella produzione brassicola. Nel mirino è finito il processo di bollitura del malto, che richiede addirittura il 45% dell’energia dell’intero procedimento produttivo (che tra l’altro è tra i più energivori nella produzione di bevande, non lo sapevo…).

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Ecco come è illustrata la soluzione sul sito zeroEmission:

Gli scienziati hanno provato a risolvere il problema utilizzando la cogenerazione, ovvero la produzione simultanea di calore ed energia elettrica, combinato a un sistema per lo stoccaggio dell’energia basato su microsfere di zeoliti da 2-3 millimetri.

Le zeoliti sono minerali con una struttura cristallina regolare e microporosa caratterizzati da una enorme quantità di volumi vuoti interni ai cristalli e dotati, dunque, di una grande capacità di assorbire energia.  Un grammo di zeoliti ha una superficie interna pari a circa 500 metri quadrati: i pori assorbono acqua fino alla completa saturazione. Quando lo zeolite viene riscaldato, si prosciuga assorbendo calore: quando poi vengono imbevuti d’acqua, le sfere di zeolite rilasciano calore a circa 250 gradi.

Grazie a questo meccanismo sarà possibile immagazzinare l’energia prodotta dall’impianto a cogenerazione nei momenti in cui i consumi della birreria sono ridotti (come di notte), per poi riutilizzarla nei periodi di picco della domanda, quando avviene il processo di bollitura.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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20 Commenti

  1. Il riutilizzo del vuoto cauzionato,come fanno tutti gli altri paesi d’Europa,è un segno di grande civiltà che i nostri birrifici (alcuni con bottiglie da poco meno di un kg) hanno sempre sottovalutato.Ma non è mai troppo tardi..

  2. @ pistillone:
    Dici che è meglio non fidarsi dell’usato? Mica l’ho capito bene il tuo discorso… 0,15 (ma di cosa stiamo parlando poi? Di centesimi?) moltiplicato per un numero elevato di bottiglie o quel che sia non è proprio un risparmio da buttare.
    In Germania ogni bottiglia ha la sua cauzione, io che non sono un birrificio ma un cliente vedrei di buon occhio la possibilità di risparmiare 20-30 centesimi a birra riportando la bottiglia al negozio in cui l’ho comprata.

  3. Ragazzi, a parlare si fa presto, ma bisogna conoscere le cose. A parte il prezzo, chi è in grado di poter lavare migliaia di bottiglie e renderle assolutamente sterili?Avete idea di quanto costi una sterilizzatrice per bottiglie?Senza contare il lavoro che servirebbe per la raccolta e i prodotti di lavaggio. Capisco la voglia di risparmiare ma se fosse così il prezzo lieviterebbe, non diminuirebbe a meno che non si parli di industrie ed economie di scala..

  4. Gennaro sono d’accordo in linea di massima con il tuo discorso, ma il vedere il riciclaggio come un surplus, un’auto full-optional, conferma in parte il discorso fatto da Lorenzo sulla civiltà degli altri paesi europei. Dico in parte perché per me non è la singola categoria che sottovaluta il riciclaggio (e non certo per mancanza di “civiltà”) ma è una mentalità generale portata avanti dal governo italiano, a volte anche dalle singole amministrazioni comunali. Ci sono paesi italiani dove l’80% della raccolta è differenziata e altri in cui non conoscono nemmeno il significato del termine.
    Ovvio che se il riciclaggio venisse considerato parte ovvia di una città (e delle sue aziende) i birrai farebbero la loro parte allo stesso modo.
    Quindi concordo con te: è palese che alle condizioni attuali per qualsiasi birrificio di dimensioni contenute allestire una catena di riciclaggio senza finanziamenti e fondi statali porterebbe al suicidio economico!
    Anche se il singolare riciclaggio della Brasserie à Vapeur potrebbe essere considerata una bella eccezione, anche a livello economico.

  5. Concordo pienamente. Siamo sempre più convinti che ad un correto uso delle energie corrisponda anche un risparmio ed un beneficio sull’ ambiente. Oggi però non è possibile e l’ unica cosa che possiamo fare, per sentirsi meno in colpa, è di buttare il vetro nelle campane vicino ai cassonetti..

  6. @patatino.

    non ho detto questo.

    una bottiglia di vetro per poter essere riutilizzata correttamente(lavata , controllata e sterilizzata), ti viene a costare più che acquistarla nuova, può un micorbirrificio fare questo?.
    qualcuno magari lo fà, ma la maggior parte no.

  7. Spesso poi le iniziative ambientaliste dell’industria sono molto propagandistiche per cavalcare l’onda green.
    Ovviamente senza ritorno economico e facendo leva solo sulla buona volonta’ e solo sullo spirito ambientalista spesso si fa poca strada. Anni fa campeggiando in olanda, nei supermercati c’era una cauzione di 1 fiorino (circa 1000 lire di 15 anni fa) per ogni bottiglia di plastica. Inutile dire che tutti si affrettavano a restituirle anziche’ buttarle nei cestini. La cauzione negli anni 70 e 80 funzionava abbastanza anche in italia, responsabilizzando di fatto i rivenditori e distributori a recuperare le bottiglie.
    L’introduzione dei fusti “usa e getta” che fara’ molto comodo ai micro di fatto va in direzione contraria al riuso dei materiali perche’ l’impianto di lavaggio fusti costa ecc ecc.

  8. Secondo me, a livello pratico, un birrificio sfrutterebbe tantissimo gli effetti della cogenerazione (e accumulo con sistema di zeoliti) a patto di lavorare con continuità e su volumi tali da giustificare la grossa spesa per un impianto di questo tipo.
    Ben vengano quindi soluzioni di questo genere!
    Se non ricordo male, la Sierra Nevada aveva pensato bene di recuperare le decine (centinaia) di tonnellate di lievito prodotto ogni giorno, e sfruttare l’etanolo residuo per la produzione di combustibile da usare poi per i loro corrieri.

    Quanto al riciclaggio del vetro, invece, ci sono tutta una serie di contro, tra cui gli spazi di stoccaggio, stabilire una rete di recupero dei vuoti, acquisto di un impiato per la pulizia e la sanitizzazione delle bottiglie, manodopera e manutenzione, ecc.ecc. tutti costi che forse si potrebbero ammortizzare solo con economie di scala.
    Attuare questo tipo di soluzioni, in Italia, non sarebbe tanto conveniente anche considerate le grosse cifre per affrontare l’investimento, insomma forse attualmente non sono cose alla nostra portata; per un micro poi…secondo me è impensabile.
    Invece, visti i volumi di vetro adoperato, il problema del riciclaggio se lo dovrebbero porre le grosse cantine e le grosse multinazionali tipo Heineken.

  9. @Amarillo
    Giusto, il problema infatti è che se vuoi fare anche qualcosa di buono lo devi fare di tua iniziativa e con tuoi capitali (se riesci ad averne). Mai un progetto serio che venga finanziato da chi è preposto a farlo, figurati se i micro potessero accedere ad uno e dico un finanziamento ad hoc per la propria attività specifica. Per dare le trebbie ai maiali ci vuole il certificato! e sei fortunato se trovi un contadino disposto a caricarsi le casse, sennò..ditta di smaltimento e…..io pago!

  10. @gennaro. Quando ci si trova sul confine tra etica ed economia e’ facile poi passare o per avido o per idealista. Ovviamente dovrebbe essere scopo di ogni azienda avere un’etica che preservi il piu’ possibile l’ambiente, in modo particolare una azienda alimentare che utilizza anche materie prime del territorio. Ovviamente quando il resto ti e’ contro e la cosa e’ in modo cosi’ palese antieconomica mica e’ facile abbaiare alla luna, soprattutto in un paese come il nostro dove si va sempre di tattica e non di strategia (rischi che una norma il governo successivo te la cancelli). In scozia danno i rifiuti della lavorazione del whisky alle vacche, e molto prima della moda ambientale. E senza andare lontano, in pianura padana danno lo scarto di lavorazione del parmigiano e del grana ai maiali… Si trattebbe solo di unire tradizione e innovazione, ma e’ tutto maledettamente difficile.

  11. @davide (e anche vito va)

    per la mia visione apocalittica del mondo, non è l’azienda che deve avere un’etica ambientalista, ma il regolatore del mercato (cioè il governo). se il governo ti fa pagare quelle che in economia si chiamano esternalità negative, l’azienda viene incentivata ad assumere un’etica ambientalista. tradotto, ad es: metto 50 cents di tassa su ogni bottiglia di vetro. da domani vedrai che riclicano tutti, nascono due o tre società che se ne occupano e che quindi riescono a sostente i costi date le dimensioni del business. se il tuo regolatore invece (e qui il discorso si fa generale) dopo aver lasciato andare a puttane il tuo sistema industriale per 20 anni grazie a politiche industriali clientelari, inefficienza della macchina statale e nessun investimento in ricerca, a un certo punto si accorge che tutto il sistema non sarebbe a questo punto in grado di assorbire e sopportare i maggiori costi derivanti da una scelta etica di valutare nel costo del prodotto le esternalità negative, allora bellamente se ne fotte tirando a campare. chi ha presente la figura da peones che abbiamo fatto in sede europea sui tetti di emissione sa di cosa parlo

    tutto questo ovviamente in un sistema capitalistico keynesiano

  12. Io sono molto piu’ cinico anche sullo stato.
    Lo stato inizia a pensare a mettere delle regole quando gli conviene, non vedo lo stato come figura etica. Es: la lotta alle sigarette si e’ fatta seriamente quando i compensi da tasse diventano inferiori alla spesa del SSN; stessa cosa per gli incidenti stradali, alcool (sulle escort magari abbassano i prezzi).
    Preservare l’ambiente dove vengono prodotti alimenti dovrebbe convienire se uno vede le cose in modo strategico. Se invece pensa che e’ meglio tirare a campare e massimizzare i profitti in 3-5 anni allora puo’ anche interrare i fusti radioattivi sulla falda acquifera e produrre la cesio 137 imperial stout.

  13. no, la birra radioattiva è una violazione della legge. ed il capitalismo ha un insieme di regole ben precise condivise (più o meno) da chi lo attua per essere tale, checché ne dicano un sacco di fresconi senza sapere di cosa parlano. altrimenti, seguendo il tuo ragionamento, ci sarebbe da liberalizzare l’omicidio perché il sistema giudiziario ha dei costi troppo elevati e non è economico perseguirli. l’assenza di regole non è capitalismo, è anarchia. il tuo esempio sulle sigarette è calzante. è comune accettare che la gente fumi, si è provveduto solo a far pagare i costi fino in fondo, non solo quelli del tabacco. preservare l’ambiente è un discorso più spinoso, perché l’orizzonte temporale è molto lungo, gli effetti non prevedibili con precisione e ci sono problemi di opportunismo fra gli agenti chiamati in causa (vedi Cina o USA di Bush). e poi sono anche difficilmente quantificabili: quanto vale l’inquinamento della pianura padana? più o meno del tenore di vita che permette? e come fai a quantificare l’aumento dei disturbi respiratori non gravi determinati da ciò? per te vale di più un bel SUV 5000 benzina o qualche zona verde in più e avere il naso un po’ meno intasato? e per gli altri?

    io spesso penso che il problema più che il capitalismo sia la democrazia…

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