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Altro che collaborazioni: Boston Beer trascina Anchor in tribunale

Quando parliamo del movimento artigianale americano, spesso citiamo il forte legame fraterno che coinvolge i vari birrai. Che sia reale fino in fondo o che si tratti di un aspetto di facciata, è un elemento che solitamente nota chiunque ha la fortuna – anche per poco tempo – di immergersi nella cultura birraria statunitense. Ma per tutte le regole esistono delle eccezioni e la contesa in atto in questi giorni tra i birrifici Boston Beer e Anchor rientra decisamente nelle seconde. Una diatriba che è già arrivata nelle aule di tribunale e per la quale si parla addirittura di spionaggio industriale. Ma andiamo con ordine seguendo l’articolo dell’Huffington Post

Nel 2006 Boston Beer assunse un certo Judd Hausner per ricoprire un ruolo dirigenziale nel reparto distribuzione. Il contratto includeva una clausola di non concorrenza, nel senso che se Hausner avesse lasciato il suo posto in Boston Beer, avrebbe dovuto aspettare un anno prima di trovare impiego presso un’azienda concorrente. A inizio anno Hausner si licenziò da Boston Beer e fu subito assunto con un ruolo analogo da Anchor: la vicenda non piacque all’azienda del Massachusetts, che non perse tempo e intraprese immediatamente un’azione legale contro Anchor e Hausner.

Secondo Boston Beer, prima di lasciare l’azienda Hausner partecipò a riunioni con informazioni riservate sulle future strategie di mercato. Il timore che possa condividere tali strategie con Anchor è il succo della denuncia presentata da Boston Beer, che, inoltre, afferma di aver insegnato a Hausner tutto ciò che conosce relativamente al settore birrario.

Messa in questi termini, la storia pare dare tutte le ragioni di questo mondo a Boston Beer, ma la realtà dei fatti non è così netta. In particolare Anchor ha risposto alle accuse rivoltele facendo leva su due elementi: l’inesistenza di un rapporto di concorrenza tra le due aziende e le normative locali vigenti in termini di non concorrenza.

Il primo argomento è il più curioso, ma presto spiegato. Nella propria denuncia Boston Beer definisce il proprio mercato con l’appellativo di “better beer”, che copre il 20% dei consumi nazionali di birra e si contrappone al restante 80% detenuto dalle grandi multinazionali del settore. La risposta di Anchor è che il loro mercato di riferimento è ancora diverso e può essere definito con l’espressione “craft beer”: è costituito da birrifici più piccoli di Boston Beer, che producono birre realmente artigianali. Poiché i due segmenti sono diversi, non ci sarebbero i presupposti per parlare di concorrenza diretta.

La seconda questione riguarda invece lo Stato che sarà chiamato a pronunciarsi sulla vicenda. Il contratto tra Boston Beer e Hausner indicava infatti la corte del Massachusetts come competente in caso di azioni legali, ma il problema è che sia Anchor che Hausner risiedono in California, dove le leggi vigenti non consentono accordi di non concorrenza. Se dunque Anchor riuscisse a convincere le due corti che occorre tenere il processo in California, sicuramente ne uscirebbe vincitrice.

Le azioni legali in America sono all’ordine del giorno, ma è interessante notare come questa volta sembrano coinvolti modi diversi di intendere la birra di qualità. Da sottolineare dunque le dichiarazioni del CEO di Anchor, Keith Greggor, con le quali addirittura ripercorre la storia della reinessance americana fino ai suoi esordi:

Per oltre quarant’anni Anchor ha stabilito gli standard per una collaborazione aperta e collettiva nel fraterno mondo della birra artigianale americana. Troviamo ironico che in Boston Beer considerino il proprio addestramento così unico e speciale. Forse non ricordano il tempo passato presso Anchor ad apprendere le conoscenze di base su come funziona il mondo della birra artigianale.

Entrambe le parti sono in attesa che venga stabilita la data della prima udienza, per la quale non esistono indicazioni precise sin da adesso. Nel frattempo merita attenzione la risposta data da Anchor circa la presunta non competitività tra le due aziende. Boston Beer e Anchor sono infatti due aziende collegate al concetto di birra di qualità, pur avendo dimensioni ben diverse – e in entrambi i casi ben superiori a qualsiasi microbirrificio artigianale italiano. Boston Beer, famosa per le sue Samuel Adams, è una società davvero grande, capace di produrre più di 2 milioni di barili di birra all’anno. Anchor ha dimensioni più contenute, ma è comunque un’azienda di tutto rispetto, che ha da decenni abbandonato una configurazione puramente artigianale. E’ giusto distinguere i prodotti di un birrificio da quelli dell’altro? Parlare nel primo caso di “better beer” e nel secondo di un più specifico “craft beer”? Per la Brewers Association no: entrambi sono birrifici artigianali, anche se per continuare a includere Boston Beer ha dovuto modificare la sua definizione.

Fatto sta che nei prossimi mesi il movimento americano potrebbe essere influenzato profondamente dalla questione. Non tanto per la vicenda in sé, che in definitiva riguarda un aspetto poco importante; quanto piuttosto per gli attori coinvolti, che rappresentano due tra i più importanti pionieri della riscoperta della birra artigianale in America. Che siano finiti i tempi degli abbracci e delle collaborazioni tra birrai concorrenti?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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