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Poli produttivi esperenziali, o della moderna evoluzione di birrificio

In un articolo pubblicato lo scorso luglio qui su Cronache di Birra raccontai dell’ascesa internazionale delle tap room, velocemente trasformatesi da scarne sale di assaggio a veri e propri locali inglobati all’interno dei siti produttivi. In realtà il fenomeno si inserisce in un discorso di più ampio respiro che implica un’evidente mutazione in atto nel concetto stesso di birrificio. L’idea della semplice “fabbrica” di produzione brassicola è ampiamente superata e ora l’obiettivo è il coinvolgimento attivo da parte dei consumatori, chiamati a vivere in prima persona la vita e i valori del birrificio. Non parliamo semplicemente di “percorsi turistici” all’interno dei capannoni, ma di un’impostazione completamente diversa atta a offrire un’esperienza completa al visitatore. L’aspetto interessante è che alcuni esempi arrivano proprio dal movimento italiano della birra artigianale.

Il primo è l’ambizioso Open Garden di Baladin, di cui sono stati svelati i dettagli la scorsa estate. Negli scorsi giorni Teo Musso ha lanciato una campagna di crowdfunding per completare il suo sogno: creare un vero e proprio parco a tema sulla birra, in cui vivere direttamente il forte legame che lega la nostra bevanda alla terra. Il sito avrà un forno, cantine di affinamento, pub e macelleria, laboratorio del cioccolato, sala incontri, cucine, casa del luppolo e una micro malteria. Insomma un vero e proprio villaggio in cui tutto ruoterà intorno alla birra.

Ecco come viene presentato il progetto su Indiegogo, il sito che ospita la campagna:

Qui, dove da pochi mesi è nato il nuovissimo impianto di produzione, sorgerà il Baladin Open Garden ideato seguendo una precisa visione futura alla quale vogliamo che partecipi una community grandissima, perché è un sogno che vogliamo condividere!

Per realizzare questa visione abbiamo scelto il crowdfunding, per unire il nostro desiderio di restare indipendenti con la volontà di rendere questo parco un luogo non solo aperto a tutti, ma di tutti, in linea con la filosofia Open Baladin di condivisione.

Un luogo VIVO dove incontrarsi, passare del tempo con la famiglia, con amici, immersi nella natura e dove, per chi lo vorrà, scoprire la Birra artigianale e il suo rapporto diretto con la Terra e l’agricoltura. L’idea ispiratrice di Teo Musso è infatti quella di creare una comunità che porti avanti il linguaggio di integrazione fra realtà contadina e artigianalità.

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Per la cronaca l’iniziativa punta a raccogliere 200.000 dollari entro un mese e al momento è arrivata al 17% del suo percorso (poco più di 33.000 dollari). Che si riesca ad arrivare o meno all’obiettivo prefissato, è indubbio che l’Open Garden vedrà la luca presumibilmente entro la data al momento prevista, cioè il 21 giugno 2017.

sala-collesi_ingresso

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Un altro progetto analogo che aprirà nei prossimi mesi è il grandioso spazio emozionale che il birrificio Tenute Collesi ha in programma di aprire tra poco più di un anno alle pendici del Monte Nerone, ad Apecchio. Ecco come viene presentato dall’azienda marchigiana:

Con una superficie di 400 mq, ad oltre 700 metri di altitudine, l’area accoglierà i visitatori con un’esperienza di grande impatto e le suggestioni di un prodotto frutto della sapiente combinazione fra la natura e il lavoro dell’uomo.

Come in un rito d’iniziazione, per accedere allo spazio si attraverserà un corridoio dalle luci soffuse, al di là del quale un video 3D su schermo gigante introdurrà il visitatore nel mondo Collesi.

Da qui, avrà inizio una vera e propria avventura dei sensi. Passo dopo passo, l’ospite vivrà l’emozionante sensazione di poter camminare realmente nell’alveo di un torrente, perché dal pavimento di vetro vedrà scorrere sotto ai suoi piedi, fra ciottoli di montagna, vera acqua di sorgente: la stessa che sgorga purissima dal Monte Nerone e che da sempre rende unica la birra Collesi.

Ovviamente l’acqua non sarà l’unica protagonista, né la vista l’elemento sensoriale dominante: sempre ai lati della cascata un giardino verticale con orzo e luppolo richiamerà altri due componenti essenziali della birra, formando una texture materica dal forte richiamo tattile.

Infine, olfatto e gusto: l’ultimo spazio esalterà infatti gli aromi delle birre Collesi. Avvicinandosi ad alcune nicchie a parete, che vaporizzano fragranze perfettamente riprodotte in laboratorio, il pubblico sarà in grado di studiare i profumi delle diverse tipologie di birra, e infine raggiungere l’ultima sala dedicata alla degustazione e vendita diretta del prodotto.

Si tratta quindi di un discorso abbastanza diverso da quello di Baladin, sebbene il concetto di fondo sia lo stesso: immergere il visitatore nel rapporto tra birra e natura e invitarlo a conoscere tutto il percorso che si nasconde dietro un “semplice” bicchiere di birra.

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villa-zarri

La parola d’ordine è dunque “sperimentare”. Non è un caso che lo stesso termine sia stato usato per il progetto di Villa Zarri, che ha in programma la creazione di uno spazio battezzato Experential Beer Garden. Villa Zarri è uno storico produttore di brandy e altri distillati, che evidentemente ha deciso di lanciarsi anche nel mondo della birra artigianale con investimenti importanti. Lo dimostra il concorso di architettura promosso nell’ambito dell’iniziativa, che è stato pubblicato su Young Architects Competitions e che permetterà ai partecipanti di aggiudicarsi riconoscimenti importanti, compreso un premio di 8.000 € e pubblicazioni varie per il primo classificato.

Entrando nel dettaglio, il brief rivela le caratteristiche dell’Experential Beer Garden:

Immerso nel contesto di una villa di metà ‘500, il centro che Villa Zarri intende realizzare costituirà un santuario per i cultori della birra, dove l’esperienza di degustazione delle più differenti varietà possa completarsi attraverso numerose opportunità gastronomiche, culturali e ricreative, che trovino degna ospitalità in un’architettura d’eccezione.

Experiential Beer Garden realizzerà una birreria unica al mondo, dove produzione, svago, cultura ed intrattenimento si incontreranno, generando il primo epicentro dedicato alla produzione artigianale della birra e alla cultura di questo antico prodotto.

Un osservatorio, collocato nel cuore della campagna emiliana, che permetterà di comprendere e conoscere le numerose e differenti espressioni di un’esperienza che ha unito popoli, culture e tradizioni, gettando ponti fra epoche e contesti sociali fra i più diversi: la birra.

Questi esempi rivelano un fenomeno in forte crescita, chiaramente non limitato solo all’Italia. A ben vedere è una moda che non sta coinvolgendo solo la birra, ma che identifica un nuovo modo di approcciare l’industria alimentare ed enogastronomica – avete presente il progetto Eatalyworld di Farinetti? – nel senso più generale del termine. Ma lanciarsi in certe iniziative è un’attività così fondamentale e remunerativa per un microbirrificio? Il dubbio è lecito e il futuro ci offrirà tutte le risposte.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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5 Commenti

  1. Credo che il termine “moda” sia quello che descriva meglio la maggior parte delle attività e dei progetti che stanno nascendo sempre più spesso attorno al “fenomeno” birra artigianali, lo trovo decisamente appropriato.
    Sempre più spesso vediamo persone fisiche (o giuridiche) che hanno del capitale e decidono di investirlo nel business del momento, spesso lanciandosi fin da principio in sfide così ambiziose che nemmeno i produttori artigianali più affermati possono solo immaginare.

    Questo non è necessariamente un male, anzi. Sicuramente progetti come quelli descritti nell’articolo potranno farci divertire e dissetarci in maniera egregia.

    A mio parere però non è questo il modo migliore per spiegare il concetto di birra e in particolare birra artigianale. Birra artigianale, come qualsiasi prodotto artigianale, significa passione. E la passione la possono trasmettere le persone, non uno schermo 3D o un giardino verticale, per quanto esteticamente bello.
    Per questo continuerò a credere che non ci sia modo migliore di vivere o avvicinarsi al mondo craft, dei pomeriggi o delle serate nelle rustiche e spesso anguste sale di mescita annesse ai cari micro birrifici, scambiando quattro chiacchiere con il mastro birraio in un contesto super informale.

    PS: ovviamente quello di Baladin è un discorso a parte. Open Garden sarà il culmine di un percorso imprenditoriale lungo vent’anni, portato avanti con determinazione, intelligenza e un sacco di passione. Chapeau Teo.

  2. Se prendiamo i numerosi birrifici aperti nel 1800 nel mitteleuropa, complici l’arrivo e la diffusione delle basse fermentazioni e la rivoluzione industriale, vedremo che sorgevano dove c’era una sorgente d’acqua, immersi in un verde parco, con tanto di orti.

    Le strutture solitamente comprendevano l’unità produttiva immersa nel verde, che inglobava le abitazioni dei lavoratori e numerosi animali da cortile e quelli impiegati come forza motrice per la consegna dei prodotti finiti.

    All’interno cera sempre un ristorante/birreria per i visitatori, ovviamente il birrificio comprendeva la malteria propria ed il laboratorio per la costruzioni delle botti in legno impiegate per lo stoccaggio.

    Come mostrano alcuni film d’epoca, all’interno di queste strutture si organizzavano feste, nelle quali erano coinvolti sia i visitatori, sia i lavoratori, durante le quali si preparavano grigliate, complici i sopracitati animali da cortile, e scorrevano fiumi di birra ivi prodotta, con musica ovviamente dal vivo.

    In un film in particolare viene mostrata la vita all’interno di un birrificio e addirittura i lavoratori che impiegavano il tino di cottura, da 50.000 litri, come piscina coperta e riscaldata.

    All’epoca lavorare in queste strutture era molto ambito e chi ci riusciva era considerato un privilegiato.
    Della serie nulla di nuovo sotto il sole, se non per il fatto che allora non si pensava al marketing.

  3. Il nulla!
    Invece di progettare impianti 3D con torrenti virtuali che ti travolgono e spighe virtuali che ti punzecchiano mosse dal vento, mi viene in mente una proposta veramente sconvolgente, iper-tecnologica e ispirata all’industria 4.0: ….ma tipo portare le persone, in piedi sulle loro misere gambe, fisicamente nei luoghi di queste blasonate materie prime?
    Ma il motivo lo immagino…

  4. Son perplesso per un paio di motivi:
    – perché il crowdfunding di Open Baladin deve raccogliere 200mila DOLLARI? A Piozzo hanno già considerata chiusa l’esperienza dell’euro?
    – dando una veloce scorsa al progetto presentato nell’articolo di A.Di Dio mi dico: SOLO 200mila? Basteranno appena appena per sistemare le aree di parcheggio che si vedono in foto. O a Piozzo i restauri su cascina del XIV secolo li fanno gratis, e gli impianti brassicoli li regalano?
    Come dicono qui nella bassa: i torni non contano

    • Il primo punto dipende dal sito di crowdfunding: funziona a dollari e tutti i progetti sono espressi in questa valuta.

      Sul secondo punto direi che i 200.000 non sono esaustivi, tanto che il progetto prevede il pagamento dei fondi raggiunti anche se non si arriva all’obiettivo prefissato. Quindi credo che Teo stia cercando microfinanziatori per coprire solo parte dei costi, non tutti.

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