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Alla scoperta delle Italian Grape Ale, il primo stile “italiano” previsto dal BJCP

Una delle notizie birrarie più rimarchevoli tra tutte quelle emerse negli ultimi mesi si riferisce alla revisione delle Style Guidelines da parte del BJCP. Tra le tante modifiche proposte dal documento di riferimento per i concorsi birrari – che ho riassunto in un recente articolo – quello per noi più interessante è l’inserimento in un’appendice finale della categoria Italian Grape Ale, codificata dall’organismo internazionale sebbene non considerata alla stregua di uno stile ufficiale. La novità rappresenta un riconoscimento importante per il nostro paese, perché conferma con forza la crescita brassicola degli ultimi anni. Non so se queste birre che strizzano l’occhio al mondo del vino siano effettivamente nate in Italia, ma di certo la nostra nazione è ora un punto di riferimento per tale tipologia.

La legittimazione che abbiamo ottenuto dal BJCP deriva ovviamente dalla storica vocazione vinicola dell’Italia, ma sarebbe fuorviante e riduttivo ricondurre il tutto solo a questa motivazione. La verità è che nel giro di pochi anni i nostri birrai sono riusciti a imporsi a livello internazionale con ottime interpretazioni dello stile, convincendo gli appassionati di tutto il mondo che l’idea di creare un anello di congiunzione tra birra e vino non è poi così peregrina. Poiché non tutti conoscono ancora nel dettaglio produzioni del genere, oggi riassumiamo le principali birre nazionali appartenenti alla categoria delle Italian Grape Ale.

BB10, BB Evò, BB9 e BB Boom (Barley)

Il pioniere delle Italian Grape Ale nel nostro paese è senza dubbio Nicola Perra, birraio del birrificio sardo Barley. La sua BB10 fu anni fa – credo fosse il 2008 o giù di lì – la prima produzione italiana a tentare di realizzare un ponte il tra mondo della birra e quello del vino, impiegando la sapa (cioè il mosto cotto) di Cannonau, una delle uve tipiche della Sardegna. Il successo fu tale che spinse Nicola a sperimentare altre ricette analoghe negli anni successivi: nel 2009 toccò alla BB Evò (sapa di Nasco), nel 2012 alla BB9 (sapa di Malvasia) e all’inizio di quest’anno alla BB Boom (sapa di Vermentino). In tutti i casi il livello qualitativo è eccezionale, confermando l’ottimo risultato raggiungibile da produzioni del genere.

Concludiamo la parentesi Barley con una curiosità. Spesso ci si dimentica che Nicola Perra ha prodotto anche un’altra birra con sapa di Nasco: la Baccusardus Beer, creata per i dieci anni dell’enoteca Baccusardus di Villasimius (CA).

Equilibrista (Birra del Borgo)

Nel 2010 anche Leonardo Di Vincenzo tentò la strada delle Italian Grape Ale con la sua Equilibrista, che probabilmente è la produzione di Birra del Borgo dal nome più bello in assoluto. Realizzata con un 50% di mosto di birra (Duchessa) e un 50% di mosto di vino (in passato Sangiovese, oggi credo una varietà differente), ricorre a tecniche produttive tipiche dello Champagne: la ricetta prevede infatti il remuage e la sboccatura con l’aggiunta di liquer d’expedition. È una delle produzioni più attese ogni anno nella gamma di Birra del Borgo e non a torto!

Limes (Brùton)

Se non sbaglio risale al 2013 l’anno di nascita della Limes, birra al mosto d’uva Vermentino prodotta dal toscano Brùton. È a mio parere una delle migliori interpretazioni dello stile che possiamo vantare in Italia e può essere considerata alla stregua di una birra-spumante, elegante e fruttata, con un’acidità finale di una finezza sconvolgente. Se il livello qualitativo di una birra dipende spesso dalle materie prime impiegate, in creazioni del genere la considerazione va estesa anche a quelle provenienti dal mondo del vino. Ebbene il mosto di Vermentino della Limes arriva dalla Fattoria Magliano, azienda vinicola proprietaria di Brùton. E il cerchio si chiude.

Beerbera (Loverbeer)

La Beerbera è stata la birra con cui Valter Loverier ha fatto conoscere sé stesso e il suo birrificio Loverbeer al mondo degli appassionati. Eravamo a cavallo degli anni 2009 e 2010 e si intuì subito che il piccolo produttore piemontese si sarebbe distinto da tutti gli altri operanti in Italia. Il primo indizio fu proprio la birra d’esordio, non prettamente riconducibile a un prodotto tranquillo con cui cominciare un’avventura imprenditoriale: è una fermentazione “indiretta”, che non prevede inoculo di lieviti ma impiega solo quelli presenti nel mosto d’uva Barbera, aggiunto in fase produttiva. La Beerbera non è l’unica Italian Grape Ale di Loverbeer: la D’uva Beer ricorre a mosto di Freisa.

Ligia (Sorrento)

Rimasto per anni una semplice beer firm, il birrificio Sorrento ha recentemente cambiato status potendo finalmente avvalersi di un impianto di proprietà. La novità gli ha permesso di perfezionare ulteriormente le sue ricette e soprattutto di avventurarsi in nuove produzioni, tra cui la Ligia presentata a febbraio in occasione di Beer Attraction. Realizzata con mosto di uve Furore, rivela un livello qualitativo molto alto ed è sicuramente una delle migliori interpretazioni dello stile tra quelle comparse ultimamente in Italia.

Birrozzo (Stavio)

Nall’ampia gamma della beer firm romana troviamo anche queste creazioni che strizzano l’occhio al mondo del vino. Le varie versioni di Birrozzo impiegano ingredienti della vinificazione in vari modi, con risultati davvero stupefacenti. In alcuni casi viene utilizzata la schiuma di raccolta della fermentazione del vino (senza lieviti aggiunti), in altri le vinacce. Anche le uve cambiano di versione in versione.

Tuscan Pool Party (Olmaia + Harpoon)

La crescente fama delle Italian Grape Ale spingerà probabilmente molti birrifici stranieri a collaborare con i nostri produttori per creare birre di questo genere. Un primo esempio lo abbiamo avuto lo scorso anno, quando l’americana Harpoon ha realizzato insieme a Moreno Ercolani dell’Olmaia la Tuscan Pool Party. La ricetta prevede l’aggiunta a fine bollitura di uve Sangiovese e Merlot provenienti dalla California.

Altre Italian Grape Ales

L’elenco ovviamente è lunghissimo e destinato a crescere negli anni a venire. Meritano segnalazione allora anche la Moscata e la Ruffiana di Birranova (rispettivamente con vinacce di Moscato e Minutolo), la Tibir e la Open Mind di Montegioco (rispettivamente con uva Timorasso e uva Croatina), la Jadis di Toccalmatto (mosto cotto di Fortana), la Confusa di Lariano, la Bliss Riesling di Pavese (mosto di Riesling), la Filare di Pasturana (con mosto di Cortese), la Perbacco di Gedeone (mosto di uve aromatiche, non specificate). Ma ovviamente potremmo andare avanti per ore.

Qual è la vostra preferita?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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18 Commenti

  1. Io adoro l’antesignana BB10 del bravissimo Nicola Perra.

  2. Buonasera Andrea… Sono una ex Beer Firm del 2010 diventato Birrificio dal 2013… Potrei aggiungermi alla lista,con la mia Forestiera Gran Riserva al Vinsanto,nata nel 2011, dopo una lunga sperimentazione di mosto di Malvasia ,Trebbiano,Colombina… Un ottimo mix ,per ottenere sensazioni uniche… Mi piacerebbe molto fartela assaggiare,visto il suo grande abbinamento con il Tartufo Bianco o piatti prettamente della mia terra Toscana…Pasta, ceci e cozze… Ciao

  3. La presenza di qualche Italiano all’interno del BJCP ha contribuito forse ma forse a questa menzione? 😉

    • Eh sì, ne abbiamo parlato in passato nei due articoli incentrati sulle novità delle Style Guidelines.

      • Ovviamente la mia era una domanda retorica. 😉
        Orca….me li son persi sti due articoli…mannaggia.
        E in sto nuovo blog non mi ci racapezzo per nulla! 🙁
        Non riesco a trovarli.
        Limite mio eh….e bello…ma mannaggia se riesco a trovare mai ciò che cerco.
        In che sezione sono?

  4. Come non detto…l’ho trovato.
    Grazie della segnalazione Andrea.

  5. Nooo non hai messo
    le mie Niimbue e Manico Rosso!! entrambe con mosto (e relativi lieviti autoctoni) di uva Moscato e dire chi in etichetta ci scrivo da sempre “stile italiano”.
    saluti

    • Sì giusto Lelio, purtroppo riuscire a inserirle tutte avrebbe richiesto tempo e uno sforzo di memoria non da poco!

      • Ma si! mica è un problema, come dico sempre “se bevi per dimenticare…FUNZIONA! Però,nel lontano 2008 a Pianeta Birra (mi pare che allora si chiamasse ancora così) vi fu un laboratorio UB dedicato proprio alle birre italiane in qualche modo contaminate dal vino.

  6. Per completezza riporto il testo completo dell’appendice tra cui compaiono in ordine la famosa GOLDEN ALE DELLE PAMPAS e l’immancabile IPA ARGENTINA:
    APPENDIX B:
    LOCAL STYLES
    This appendix contains styles submitted by local chapters of the BJCP for styles that are not yet established, but are more important for homebrewers within a single country. They are not included in the main style guidelines, but are available for use by those who wish to use them.
    The guidelines were written by local members, and were not validated by the BJCP.

  7. la prima “contaminazione” con il vino fu una sperimentazione di teo musso con il dolcetto fatto dal padre. era il 2003

  8. Mi piace molto la Space Frontier, collaboration tra Brewfist e To Øl (!!!), che è una Grape IPA con mosto e avena. L’ho trovata veramente. ma veramente, una gran birra. Bilanciata, complessa, allo stesso tempo, e con ogni ingrediente che collabora attivamente al risultato finale.
    MI hai molto incuriosito con quella di Bruton, produttore che ho già apprezzato in passato.

  9. Ciao Andrea, sono un brewpub, e da poco insieme ad un mio amico che lavora la vigna in biodinamico, abbiamo fatto uscire la BEATO ANGELICO 2015, birra iga su base blonde con 20% di UVA Sauvgnon per 7 mesi in barrique. (se vuoi la puoi aggiungere)
    La cosa che mi fa rimanere male di certe iga è il tipo di lavorazione. Mettere del mosto o dell’uva in bollitura, ANNIENTA, tutto quello che l’uva ti può dare di bello.
    La nostra uva ha permesso alla birra di rifermentare una seconda volta con i lieviti indigeni dell’acino, visto che questi sono stati messi nella barrique a settembre e tolti ad Aprile.
    Usando l’uva in bollitura o comunque in ammostamento si perde la freschezza, la mineralità che il frutto può dare.
    Resto della mia idea che le vere IGA sono quelle che utilizzano l’uva in fase di fermentazione o per fermentare. vedi Equilibrista, Beerbera, D’uva beer.
    Vi consiglio di assaggiare la nostra BEATO ANGELICO 2015

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