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La rinascita della decozione: vita, morte e miracoli di un antico modo di fare birra

Tra tutte le tecniche coinvolte nella produzione brassicola, la decozione è probabilmente quella più controversa. Per alcuni birrai è una soluzione irrinunciabile per la qualità del prodotto finale, per altri ha effetti del tutto irrilevanti sulla birra, per altri ancora è addirittura dannosa. Ciò che è certo è che la decozione appartiene ad antiche consuetudini produttive della nostra bevanda, tanto da essere stata abbandonata quasi ovunque in tempi moderni. Eppure di recente sta tornando di moda, riacquistando credito anche tra quei birrifici che non sono necessariamente legati a determinati dettami produttivi. Rappresenta un modo di gestire l’ammostamento tipico delle basse fermentazioni, ciononostante ultimamente è stata adottata anche per birre luppolate da birrifici insospettabili. Una riscoperta che ancora non è diventata un vero e proprio trend e che forse non lo diventerà mai, ma che merita la massima attenzione.

Cos’è la decozione

Come accennato, la decozione è una tecnica che si applica all’ammostamento (o mashing), cioè la fase di produzione in cui i grani macinati di malto vengono messi in ammollo in acqua calda. Generalmente questo passaggio è compiuto tramite infusione, cioè con un innalzamento graduale della temperatura del mosto con alcune pause al raggiungimento di determinate temperature, il tutto in un singolo tino. Con la decozione, invece, l’innalzamento della temperatura del mosto si ottiene prelevandone una parte comprensiva dei grani (decotto) dal tino di ammostamento, portandola a bollitura in un recipiente a parte e poi reimmettendola nel tino precedente. Il prelievo può avvenire diverse volte (fino a tre) e accelera la reazione di Maillard, che provoca la formazione di meladonine, cioè sostanze che conferiscono aromi freschi e maltati.

La decozione era molto diffusa in passato perché permetteva un certo controllo della fase di ammostamento in assenza di attrezzature moderne. Oggi infatti gli impianti produttivi sono in grado di gestire l’infusione del mosto in maniera automatica, regolando gli innalzamenti di temperatura e mantenendo quest’ultima costante per il tempo necessario a ogni step. In passato, quando non esistevano neanche i termometri, il prelievo e la bollitura di una stessa quantità di mosto permetteva di rendere gli innalzamenti di temperatura costanti da cotta a cotta, trasformando quindi l’ammostamento in un procedimento consolidato e replicabile. Inoltre era utile per gestire al meglio malti poco modificati, perché la bollitura del decotto favorisce la solubilizzazione degli amidi presenti nei cereali. Ma anche in questo caso la tecnologia ha reso non indispensabile questo aspetto, avendo oggi i birrai a disposizione malti base ben modificati.

Insomma la decozione è una tecnica desueta, che in passato risolveva diversi problemi del processo produttivo. Tuttavia non è mai scomparsa del tutto e diversi birrifici hanno continuato a utilizzarla senza soluzione di continuità. Per quale motivo? Per i presunti vantaggi che essa apporterebbe al prodotto finito, considerati maggiori rispetto agli svantaggi.

Pro e contro della decozione

In base a quanto abbiamo spiegato prima, i vantaggi della decozione sarebbero tali solo per un modo antico di intendere la produzione brassicola. C’è però un altro beneficio legato a questa tecnica e cioè la formazione di un profilo aromatico più complesso e “profondo” rispetto a quello ottenuto con una normale infusione. In parole povere una birra più buona e rotonda, che giustificherebbe gli svantaggi legati alla decozione. Con la decozione, infatti, i tempi di ammostamento si dilatano sensibilmente (soprattutto quando gli step aumentano) e rendono l’intera fase del mashing piuttosto complicata. Inoltre è una soluzione molto dispendiosa in termini energetici, quindi meno sostenibile sia a livello economico, sia a livello ambientale.

Ciò che bisogna sottolineare, inoltre, è che non esiste alcuna dimostrazione scientifica degli effetti positivi della decozione sul profilo aromatico della birra. Molti birrifici tradizionali tedeschi o mitteleuropei continuano a usarla perché ritengono che sia imprescindibile per la qualità del prodotto finale, ma nessuna ricerca ha mai stabilito la superiorità della decozione sull’infusione. Secondo alcuni l’uso di una tecnica rispetto all’altra sarebbe del tutto irrilevante, mentre per altri la decozione sarebbe addirittura penalizzante per l’apporto aromatico dei malti moderni. Ciononostante produrre una Lager tradizionale con una doppia o tripla decozione è considerato ancora oggi il giusto procedimento per ottenere una birra di qualità con un carattere autentico.

La riscoperta della decozione

Con la riscoperta delle Lager e il crescente interesse per gli elementi distintivi degli antichi stili a bassa fermentazione, anche la decozione sta vivendo una seconda giovinezza. Non è ancora una tendenza diffusa in maniera capillare, eppure negli ultimi tempi anche in Italia sono arrivati segnali inequivocabili. Prima si sono moltiplicate le birre prodotte tradizionalmente con un ammostamento per decozione, poi questa tecnica ha cominciato a diventare l’elemento distintivo di produzioni particolari. Negli ultimi tempi due iniziative di altrettanti birrifici italiani – peraltro molto diversi tra loro – sono state molto esemplificative di ciò che sta succedendo.

Lo scorso febbraio, durante Beer&Food Attraction, il birrificio Birrone (sito web) presentò tre nuove birre caratterizzate in maniera esplicita dalla decozione. Il produttore veneto decise di puntare su questa soluzione in maniera “didattica”, dedicando all’argomento un lungo articolo consultabile tuttora sul suo sito web. Le birre spaziavano tra tipologie mitteleuropee molto diverse tra loro (Bock, Rauch e Světlý Ležák non filtrata), rimanendo però accomunate dalla speciale tecnica di ammostamento, che nel caso della Bock è effettuata addirittura con tre prelievi di mosto.

Ancora più particolare è la scelta del birrificio Alder (sito web), che negli ultimi mesi ha applicato la decozione alla produzione di birre luppolate – un curioso punto d’incontro per il birraio Marco Valeriani, amante tanto delle basse fermentazioni tradizionali quanto delle moderne IPA. Il primo esperimento di questo crossover produttivo è arrivato con la Different Seasons #1, poi replicato per la Different Seasons #2 e #3. In questi ultimi due casi il birrificio ha deciso di definire in etichetta le birre “Decotion IPA”, una denominazione che non lascia dubbi sull’importanza che sta (ri)acquistando questa tecnica anche tra i birrifici moderni e non solo relativamente alle basse fermentazioni.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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