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Quando la birra incontra il vino: i caratteri distintivi delle Italian Grape Ale

Nel fine settimana appena concluso sono stato a Bologna per partecipare alla seconda edizione del MicroBo Beer Festival. Nel pomeriggio di sabato ho avuto l’onere e l’onore di moderare una degustazione davvero appassionante, incentrata sulle birre che rappresentano lo “stile” del momento (almeno da noi): le Italian Grape Ale. Le produzioni in assaggio sono state tre, ma la particolarità è che sono state accompagnate da vini realizzati con identico vitigno, permettendo così una valutazione in parallelo – birra – vino, birra – vino, birra – vino – che si è rivelata essere un’aggiunta di inestimabile valore per la comprensione di questa giovane tipologia brassicola. E che inoltre ha stuzzicato alcune riflessioni particolarmente importanti in un momento in cui molti, nel bene o nel male, si stanno interessando a questo anello di congiunzione tra il mondo birrario e quello vinicolo.

Le birre assaggiate sono state nell’ordine la Marzarimen del Birrificio Italiano, l’Open Mind di Montegioco e la Moscata di Birranova. Tra una birra e l’altra abbiamo sorseggiato anche tre vini “correlati”: Marzemino Superiore di Isera 2012 selezione HUSAR dell’Azienda Agricola De Tarczal, Croatina Pertichetta dei Vigneti Massa e Kaloro Moscato di Trani DOC delle Cantine Tormaresca. Ovviamente erano presenti i birrai e i rappresentati delle varie cantine (a parte per l’ultimo vino).

Le Italian Grape Ale esistono da anni

Le Italian Grape Ale sono state codificate lo scorso anno, quando il BJCP le ha inserite come candidate a stile ufficiale nell’ultima revisione delle sue Style Guidelines. Da quel momento in poi in Italia si sono moltiplicate le produzioni di questo genere, ma è indubbio che i primi esperimenti e le prime incarnazioni sono partite molto prima. Il 2008 può essere considerato l’anno zero delle Italian Grape Ale, quando Nicola Perra del birrificio Barley lanciò la sua BB10. Ma non fu un caso isolato poiché altri colleghi seguirono la stessa strada, tanto che delle tre birre assaggiate ben due sono nate prima di quel fatidico 2015: l’Open Mind fu creata circa 6 anni fa, mentre la prima versione di Moscata risale al 2013. Ciò che stiamo vivendo adesso è dunque l’effetto di qualcosa iniziato diverso tempo fa, di cui ora stiamo raccogliendo i frutti.

La mancanza di linee guida rigide

Secondo il BJCP i criteri che definiscono le Italian Grape Ale sono molto ampi e pongono pochissimi vincoli: ovviamente l’impiego dell’ingrediente identificativo – ma che può essere aggiunto sia sotto forma di frutta che di mosto – e il mantenimento di un’anima essenzialmente birraria – cioè la caratterizzazione del vino non deve prevaricare quello della birra. Linee guida così labili servono chiaramente per assecondare produzioni molto diverse tra loro, le cui differenze spesso travalicano le semplici soluzioni tecniche per sfociare nell’ambito della filosofia produttiva.

Un esempio pratico è arrivato con le prime due birre. La Marzarimen del Birrificio Italiano è prodotta partendo da un blend dei mosti di due birre della casa (Tipopils e Vudù), in cui il birraio ancora non ha inoculato lievito. La “fecondazione” del mosto avviene esclusivamente con i microrganismi presenti sulle bucce di uve Marzemino, che vengono aggiunte successivamente. Completamente diversa è invece l’idea alla base dell’Open Mind, che al contrario parte da una birra normalmente fermentata: qui le uve sono invece sottoposte a un blando trattamento termico per renderle quasi totalmente “sterili”, così da non coinvolgere microrganismi diversi dal classico Saccharomyces Cerevisiae. Queste due impostazioni sono solo alcune delle tante adottate dai birrifici italiani per le loro IGA: basti pensare a chi ad esempio ricorre al metodo champenoise. Ma le alternative ovviamente sono innumerevoli.

Un buono spaccato dei caratteri della birra italiana

In una recente e assai polemica intervista, Teo Musso di Baladin ha dichiarato che considerare le Italian Grape Ale identificative del nostro movimento brassicolo è una stupidaggine – ho usato un eufemismo 🙂 . Chiaramente non si può pensare che un singolo stile sia in grado di rappresentare una scena birraria nella sua interezza, eppure secondo me questa tipologia di prodotti incarna diversi elementi caratteristici dei nostri birrai:

  • Ingredienti inusuali – La presenza di uva o di mosto di vino rende le Italian Grape Ale un esempio di quelle produzioni che cercano suggestioni uniche attraverso l’aggiunta di ingredienti speciali, non rientranti nei classici quattro. Da quando esiste il movimento italiano della birra artigianale, questo aspetto è stato una peculiarità piuttosto evidente.
  • Legame col territorio – Un dettaglio da non sottovalutare nelle Italian Grape Ale è il ricorso, da parte dei birrifici, a vitigni strettamente legati alla propria zona o alla propria regione. È una caratteristica importante, che possono sfruttare solo pochissime nazioni al mondo, e che ha l’effetto collaterale non secondario di valorizzare vitigni poco conosciuti. Le tre birre assaggiare sabato si sono distinte proprio per questo, utilizzando nell’ordine Marzemino, Croatina e Moscato di Trani.
  • Creatività – La conseguenza di ciò che abbiamo analizzato finora è che le Italian Grape Ale mostrano un livello di creatività non indifferente, che è ben riassunto dalle tante diverse soluzioni produttive alle quali abbiamo accennato precedentemente.

In definitiva questi sono solo alcuni degli aspetti che a mio parere rendono le Italian Grape Ale uno (pseudo) stile davvero interessante. Purtroppo come tutti i fenomeni di successo mostrano delle evoluzioni che sollevano alcune perplessità, ma quando vengono interpretate dai birrifici con studio e talento, allora si rivelano produzioni di altissimo spessore.

Chiudo con due considerazioni a margine. La prima è che per mia esperienza una grande Italian Grape Ale nasce quando esiste un forte affiatamento tra il birrificio e la cantina fornitrice delle uve o del mosto. Creare una birra del genere richiede una progettualità condivisa e non basta acquistare un’ottima materia prima, ma occorre conoscerla in ogni sua sfaccettatura. La seconda considerazione, più ludica se vogliamo, è che queste birre permettono di apprendere qualche nozione di vino anche a chi ne è totalmente privo, come il sottoscritto 🙂 . Un motivo in più per approfondire il grande lavoro che spesso si nasconde dietro ogni Italian Grape Ale.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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