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Locali fatali anche per l’industria: Heineken pronta a licenziare 8.000 lavoratori

Da quando è iniziata la pandemia le differenze tra birra artigianale e industriale si sono accentuate. L’emergenza sanitaria ha apparentemente avuto effetti diversi sui due mondi brassicoli: da una parte i microbirrifici italiani hanno accusato pesantemente la chiusura dei locali, principale (se non esclusivo) canale di vendita per i loro prodotti; dall’altra le multinazionali hanno potuto continuare a lavorare in maniera costante, forti della presenza massiccia delle loro birre nella grande distribuzione. Come sempre, tuttavia, le situazioni non evolvono a compartimenti stagni e in maniera uniforme nel tempo. Così è di oggi la notizia che Heineken sarebbe pronta a licenziare 8.000 lavoratori a causa del grave calo dei profitti dovuto alla chiusura di bar e pub in tutto il mondo. Improvvisamente il canale horeca si riscopre determinante anche per i destini dell’industria, che evidentemente non può affidarsi soltanto ai numeri garantiti dagli scaffali dei supermercati.

Come spiegato da QuiFinanza, la decisione di Heineken rientra tra le operazioni previste dal piano Evergreen, una serie di tagli e rimodulazioni interne atte a consentire al gruppo olandese di risparmiare due miliardi di euro nei prossimi tre anni. L’obiettivo è di tornare ai margini operativi del periodo pre-Covid, affidandosi però anche a licenziamenti di massa. Come accennato, Heineken punta a dare il benservito a 8.000 dipendenti, 2.000 dei quali impiegati negli uffici e negli stabilimenti italiani. Nel complesso l’intervento dovrebbe permettere alla multinazionale di risparmiare 420 milioni di euro in stipendi e 350 milioni di euro in spese accessorie per il personale. Attualmente però è tutto fermo e non è chiaro quando saranno effettuati gli esoneri: in molte nazioni, compresa l’Italia, è impedito alle aziende di licenziare i propri dipendenti a causa del coronavirus.

La notizia sta ottenendo una certa eco sui mezzi di informazione finanziaria e generalista e rappresenta la prima pesante ripercussione della pandemia nel settore della birra industriale, almeno con riferimento anche al mercato italiano. Il panorama che ne deriva è preoccupante e nebuloso, con toni ben lontani da quelli con cui, a metà novembre, Assobirra rivelò i risultati dell’indagine BVA Doxa per la seconda edizione del Centro Informazione Birra. In quell’occasione l’associazione lanciò un comunicato dal tenore quasi trionfalistico (qui in pdf), rivelando che nel mese precedente 9 italiani su 10 avevano acquistato birra. Quel dato, numericamente importante ma di per sé poco indicativo, fu interpretato come il segno di un legame “indissolubile” tra la birra e gli italiani, capace persino di rafforzarsi “in epoca Covid-19”. Merito della GDO – continuava Assobirra – che si confermava “canale elettivo per gli italiani” in termini di acquisto. Sebbene la seconda parte del comunicato si soffermasse sulle difficoltà del canale horeca e sugli interventi necessari per supportare il settore, il titolo e i numeri sciorinati in precedenza sembravano dipingere una situazione positiva e lontana dalla realtà del momento.

Non fu un caso che al tempo il comunicato di Assobirra infastidì non poco Unionbirrai. L’associazione dei birrifici artigianali sostenne che quella lettura era assolutamente di parte e indifferente alle condizioni dei microbirrifici, costretti a fare i conti, nei migliori dei casi, con fatturati più che dimezzati. Oggi appare chiaro che quell’interpretazione fu anche molto parziale per le stesse multinazionali, poiché pose enfasi su un aspetto che, per quanto positivo, non avrebbe potuto sostenere da solo le perdite provenienti dal canale horeca. Alla lunga i nodi vengono al pettine, come dimostra il caso Heineken: pub, bar e ristoranti sono imprescindibili non solo per la birra artigianale, ma anche per quella industriale. Basti pensare che nonostante gli ottimi riscontri della GDO e la crescita dell’ecommerce, la serrata del canale horeca ha provocato per Heineken un calo di profitti del 17% rispetto all’anno precedente.

La notizia potrebbe improvvisamente cambiare le priorità dell’industria nell’elenco di interventi da chiedere alle istituzioni. Fino a oggi Assobirra si è fatta sentire soprattutto per proporre una riduzione delle accise e una dilazione dei pagamenti per i locali, ora potrebbe unirsi alla recente richiesta di Unionbirrai per un’apertura in sicurezza di pub e bar anche in orari serali. Una strada che comunque appare difficile da percorrere, considerando che in tutta Europa il canale horeca si trova nelle medesime condizioni (se non peggio) ed è il primo a essere colpito dalle restrizioni per limitare la diffusione dei contagi.

Ciò che può consolarci è che i birrifici artigianali italiani – anche i più grandi – godono di una struttura relativamente elastica, capace di adattarsi alle difficoltà del momento riconfigurandosi secondo le necessità. Pregio che ovviamente non è una soluzione al problema (al più un paracadute temporaneo), ma che dimostra i vantaggi rispetto alla stazza pachidermica delle multinazionali del settore, che chiaramente si muovono secondo dinamiche completamente diverse. Purtroppo la vicenda è molto preoccupante e ci fa capire che la ripartenza sarà difficile per tutti. La speranza è che la suddetta elasticità permetta al comparto artigianale di avere una spinta in più quando le cose cominceranno a tornare alla normalità.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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