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Birra e formaggi: gli abbinamenti con i Presidi Slow Food a latte di vacca

Formaggi e birre, un matrimonio indissolubile, un argomento familiare, ma del quale mai riusciamo a essere davvero stanchi, poiché sempre foriero di sorprese e piaceri. Abbiamo deciso di prenderlo da un verso “particolare”, cioè iniziando un breve percorso dedicato ai formaggi dei Presidi Slow Food italiani (se non sapete cosa sono i Presidi, date un’occhiata al sito di Slow Food), tra i prodotti più gustosi, attraenti e ricchi di spunti culturali di tutto il panorama enogastronomico. Li tratteremo per tipologia di latte (vaccino, ovino, caprino) e gli abbineremo birre della regione di provenienza.

I formaggi Presidio, a meno di casi assolutamente eccezionali, sono a latte crudo, cioè non pastorizzato (qui il manifesto di Slow Food in pdf). Dunque un latte che restituisce tutte le sostanze nutritive e aromatiche contenute nelle essenze foraggere di cui l’animale s’è nutrito, un latte vivo, da caseificare con bravura e pazienza. Ciò vale ancora di più quando i formaggi provengono da pascoli condotti in alpeggio (tra 1.000 e 2.500 mslm), con operazioni eseguite direttamente in malga. Un lavoro tenace, fatto di fatica e disagi, che consente di tenere vive le montagne e la loro millenaria cultura; un lavoro che andrebbe maggiormente considerato e rispettato, che rende i paesaggi più belli, curati e in grado di offrirci formaggi straordinari. Questa prima puntata riguarda i formaggi di vacca (non è volgare, è il termine corretto: mucca è trasmutato dal dialetto toscano, dove indica solo la vacca da latte).

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Monte Veronese d’allevo

Monte Veronese, forme tra i 6 e i 9 kg

I monti Lessini, a nord di Verona, vengono utilizzati da secoli per l’alpeggio poiché vantano un’ottima esposizione a mezzogiorno, ampi altipiani e lauti manti erbosi. Come da tradizione, per fare questo formaggio direttamente in malga si uniscono più mungiture (dette monte, appunto) di latte parzialmente scremato, si fa maturare almeno 90 giorni e si marchia con una M. Data la grande attitudine alla stagionatura prolungata, le versioni da fine pasto, dotate di maggiore complessità gustativa, invecchiano sei mesi (lo Stravecchio due anni).

Al naso l’odore esorta al burro cotto, nocciole, fieno, erbe aromatiche. Il sapore è deciso, con la sapidità tipica dei caci stagionati, e diventa progressivamente più piccante con il protrarsi della maturazione. In caso di stagionature brevi, un incontro felice è con la Nebra di 32 Via dei Birrai, Belgian Strong Ale ambrata che saprà armonizzarsi con le morbidezze, sgrassando e aggiungendo la parte fruttata. Per quelle più prolungate, la San Zen, deliziosa Doppelbock di Mastino, che ha maltosità, corpo e personalità opportune: bisogna solo fare attenzione all’ansito finale di leggero amaro.

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Parmigiano Reggiano, da latte di vacca bianca modenese Presidio Slow Food

Parmigiano Reggiano, forme da 30 kg

Un formaggio caratterizzato da grandi forme e stagionature lunghe. Optando per esemplari di 24-26 mesi emergono delicate note lattiche e burrose e sapidità elegante, da mangiata compulsiva.

Da abbinare con la Sabine di Biren, Strong Ale da 9.8% prodotta con sapa, che si offre generosamente con note di biscotto, prugne, frutta appassita, miele di castagno. Polposa, rotonda, potente, ma con una grande capacità di chiudere il sorso con un lieve amaro da frutta secca. In caso di forme più stagionate, la Marcellus W. di Retorto, Tripel da 9.3% messa per 6 mesi in botti di rum, sarà capace, con le sue sensazioni dolci, di smorzare la sapidità e abbracciare benevolmente le note fungine e di frutta secca che emergono col trascorrere dei mesi.

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Storico ribelle

Storico ribelle, forme dai 9 ai 20 kg

Una storia davvero particolare. Formaggio antico, regolamentato da una DOP, quella del Bitto, oggetto nel 2016 di un ferrigno scontro tra i produttori: da una parte chi voleva allargare le maglie del disciplinare, dall’altra gli allevatori fedeli alla tradizione, che alla fine sono usciti dalla denominazione e confluiti nel Presidio. Il quale può essere prodotto solo nelle Valli del Bitto, con latte di vacche da razza Bruna alpina e piccole aggiunte da capra Orobica, ottenuti esclusivamente in alpeggio; il latte deve essere trattato in malga, subito dopo le due mungiture giornaliere, ancora tiepido, all’interno dei cosiddetti calècc. La stagionatura minima è di 70 giorni, ma ci sono esemplari che possono invecchiare splendidamente 10 anni.

La pasta è dura, paglierina, con occhiatura finissima. L’aroma è intenso, ricco, asciutto, con lievi note animali, di erba e armonici sentori di latte caprino, in grado di conquistare chiunque. La Minou, Tripel di Hopskin, bene accorderà le sue note aromatiche con quelle del “ribelle” (con stagionature massime di un paio d’anni), rilasciando sensazioni floreali e ammandorlate a fine corsa e preparando la bocca per l’assaggio successivo.

Castelmagno

Castelmagno, forme dai 5 ai 7 kg

Dal nome del comune in provincia di Cuneo dove si produce storicamente, il Castelmanh, in dialetto occitano, è un tipico, antico e fondamentale prodotto delle comunità agricole della Val Grana, che nel XIX secolo giunse addirittura sulle tavole dei più prestigiosi ristoranti europei, ma dagli anni 1950, con il progressivo spopolamento delle aree di montagna, ha rischiato seriamente di scomparire.

Può prevedere aggiunte di latte ovino o caprino (5-20%) e la stagionatura avviene in grotta per almeno 120 giorni. La crosta del formaggio giovane è liscia e chiara, col passare delle settimane diventa sempre più scura, spessa e rugosa. La pasta è di colore avorio e morbida: friabile, dagli aromi fini e delicati, poco sapido; dopo la maturazione acquista più compattezza, piccantezza e, a volte, sfumature blu-verdastre dovute all’eventuale erborinatura.

Nel caso di forme giovani abbiniamo la Dama Brun-a di Loverbeer, Oud Bruin d’ispirazione e fortemente caratterizzata dai tini di rovere nei quali matura e dove viene addizionata di zucchero caramellato e Lactobacillus. Sarete appagati dall’incontro tra le sensazioni gessose e lattiche del cacio con i sapori vinosi, di ciliegia e uva passa, ad anticipare una detergente acidità. Nel caso di esemplari erborinati, le dolcezze, le sensazioni aromatiche e le capacità di accoglienza di una Xyauyù o di una Terre di Baladin sapranno semplicemente esaltare.

Provolone del Monaco

Provolone del Monaco, forme dai 2,5 agli 8 kg

Formaggio a pasta filata, dalla tipica forma a melone leggermente allungato, è praticamente un caciocavallo senza testina. Si produce nel territorio dei Monti Lattari (NA) da vacche di razza agerolese al pascolo libero. Alcuni fanno risalire l’origine del nome a una primigenia produzione in convento, altri lo collegano al mantello marrone – simile a quello dei frati – che indossavano i casari quando lo portavano alla Marina di Sorrento per imbarcarlo sui velieri.

Ha crosta sottile quasi liscia, pasta semidura, compatta ma morbida e con tipiche occhiature. Sapore dolce e butirroso, con un leggero, piacevole gusto piccante, derivante dalla peculiare stagionatura in grotta, che aumenta con il trascorrere delle settimane. Per l’abbinamento, la Nirvana di Birrificio dell’Aspide, splendida Belgian Strong Golden Ale che, nell’incontro aggiungerà note di fiori bianchi, caramello, frutta matura a polpa bianca, spezie dolci, mentre in bocca avvolgerà, spegnendo la nota piccante senza indulgere in eccessi zuccherini. Nel caso di stagionature prolungate optate con soddisfazione per la Simum, Belgian Strong Dark Ale di Bella ‘Mbriana, che offre riconoscimenti fruttati, caramello e nocciola, corpo rotondo e un tocco di zucchero candito, maggiormente in grado di fronteggiare la tipica pungenza.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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