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Alla scoperta dei nuovi luppoli italiani: intervista a Eugenio Pellicciari

Come forse saprete, qualche giorno fa ho avuto l’onore di moderare il convegno “Luppolo italiano: il futuro è già qui”, tenutosi a Marano sul Panaro (MO) e organizzato nell’ambito dell’edizione 2017 del Wild Hopfest. L’incontro ha avuto come obiettivo la presentazione delle prime tre varietà di luppolo italiano, un traguardo straordinario raggiunto dal progetto promosso dal comune di Marano, l’Università di Parma e l’azienda Italian Hops Company. L’annuncio di cultivar autoctone ha alimentato grandi aspettative nell’ambiente e questo mi ha spinto ad approfondire il discorso intervistando Eugenio Pellicciari di Italian Hops Company, per saperne di più in merito e per capire quali sono le potenzialità di questi tre luppoli. Perché le attese sono giuste, ma devono essere correttamente instradate per non creare confusione tra operatori e consumatori.

Ciao Eugenio, complimenti innanzitutto per il lavoro che state portando avanti. Mi sembra giusto iniziare l’intervista introducendo le tre varietà di luppolo che avete annunciato e che rappresentano un traguardo fino a qualche anno fa semplicemente inimmaginabile.

Le tre cultivar si chiamano Aemilia, Modna e Futura e sono il risultato di una selezione finale compiuta su un totale di 9-10 varietà che abbiamo individuato in questi anni. Non derivano da incroci, ma sono varietà autoctone della zona con un patrimonio genetico unico e decisamente peculiare. A livello di caratteristiche organolettiche, l’Aemilia e il Futura ricordano i luppoli continentali, con note speziate, erbacee e terrose (l’Aemilia ha anche sfumature floreali), mentre il Modna vira più verso i luppoli americani, con toni resinosi, agrumati ed erbacei. Curiosamente la linea genetica dell’Aemilia presenta affinità con quella del Fuggle, aspetto che probabilmente deriva da una conversione “selvatica” delle coltivazioni di luppoli commerciali sviluppate a Marano sul Panaro nel XVII secolo dal nobile Raimondo Montecuccoli.

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L’annuncio delle tre varietà italiane sta alimentando molte aspettative nell’ambiente e tanti appassionati e operatori del settore già immaginano di avere a che fare con una sorta di Amarillo italiano, cioè di varietà super caratterizzanti, capaci di identificare in modo netto e deciso le birre. È una visione corretta? Oppure si sta correndo un po’ troppo?

Nonostante i tre luppoli abbiano peculiarità precise con potenzialità affascinanti, non bisogna fraintendere ciò che abbiamo tra le mani in questo momento. Non siamo ancora al cospetto di luppoli super caratterizzanti, come un Amarillo o un Nelson Sauvin. L’obiettivo è certamente di arrivare a un prodotto del genere, ma per riuscirci bisogna ancora compiere alcuni passaggi. Le tre varietà rappresentano uno step in questo processo, sicuramente importante, ma non l’unico obiettivo per il quale esistono. Di per sé, infatti, mostrano già un risultato eccezionale, pur senza arrivare al concetto di luppolo super caratterizzante. Se è vero che quel tipo di prodotto sarebbe perfetto per delle IPA di concezione moderna, le tre varietà attualmente disponibili si difendono comunque egregiamente su birre di tipo diverso, ma non per questo meno valorizzanti, come delle eleganti basse fermentazioni.

Tuttavia al momento ci sono due aspetti fondamentali sui quali vale la pena soffermarsi. Il primo è che tutte le genetiche italiane presentano un’alta concentrazione di Selinene, un olio essenziale presente in tutte le varietà del mondo, ma non in percentuali così alte. Questo è un particolare interessante, perché delinea una caratteristica assolutamente unica che apre interessanti scenari nell’ottica di future ibridazioni. In particolare il Selinene restituisce un bouquet floreale molto peculiare, riconducibile ai fiori bianchi.

Il secondo aspetto meritevole di attenzione è che le tre varietà finora sono state coltivate solo nel campo sperimentale di Marano e non in quello “ufficiale” da produzione di Modena. Quest’ultimo è situato su un terreno con maggiori nutrienti per la pianta, quindi è possibile che le varietà ottenute – per quanto già di ottimo livello – non abbiano ancora espresso tutto il loro potenziale aromatico. Per una verifica sul campo dovremo quindi aspettare il raccolto del prossimo settembre, che sarà effettuato sul campo di Modena.

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Le tre varietà rimarranno in laboratorio come primo step per un futuro prodotto più identificativo o saranno disponibili commercialmente?

Saranno regolarmente disponibili. Le stiamo portando in produzione proprio adesso per averle disponibili per il resto del 2017. Come prima produzione sarà risicata, però già l’anno prossimo incrementeremo le quantità e puntiamo a raggiungere nei prossimi mesi l’ettaro e mezzo di terreno coltivato con queste tre varietà. Per noi è importante produrle in maniera continuativa così da offrire a birrai e consumatori la possibilità di iniziare a toccare con mano il frutto del nostro lavoro.

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Come procederà il vostro lavoro dopo aver raggiunto questo importante traguardo?

Penso che la svolta si avrà nei prossimi anni, quando avremo il risultato degli incroci tra le caratteristiche delle varietà italiane e le cultivar già diffuse nel mondo. È quanto accade nei paesi produttori di luppolo per la creazione di nuove varietà. Lì secondo me avremo le vere sorprese, perché le peculiarità delle nostre varietà potranno tirar fuori cose davvero interessanti. Il processo per arrivare a nuove varietà è un percorso ancora lungo, ma stiamo mettendo in gioco delle linee genetiche uniche al mondo e quindi con un valore eccezionale.

Però al momento per noi è fondamentale arrivare a fornireun elevato livello qualitativo, inteso come standard di processazione. Mi spiego: il luppolo ottenuto può essere più o meno buono, ma se è stato compiuto un ottimo lavoro a monte difficilmente si avranno sorprese negative. Invece il processo produttivo, se non ottimale, può rovinare tutto il lavoro compiuto sui campi. Quindi il nostro primo obiettivo in questo momento è raggiungere un altro standard produttivo dal quale partire per intavolare ulteriori discorsi. Ci stiamo muovendo con decisione in questo momento e dovremmo chiudere questo step già nel corso dell’anno.

Invece quanti anni prevedete per arrivare a una cultivar super caratterizzante?

Per quel discorso lì è chiaro che occorre fare molte prove e investire tanti soldi, ma è un discorso già ampiamente avviato. Considera che già dal prossimo anno potremo cominciare a ottenere risposte interessanti grazie ad alcuni incroci già in via di sperimentazione. Come sottolineato nel convegno di qualche giorno fa, la zona di Marano è ottima per la coltivazione del luppolo e, come tante altre zone della nostra nazione, può godere di un’elevata biodiversità. Partiamo come paese emergente nel settore, ma abbiamo diverse frecce al nostro arco: un patrimonio genetico unico per le varietà autoctone e una propensione alla sperimentazione che è assente in tutti i paesi grandi produttori di luppolo. Lì il luppolo selvatico viene estirpato immediatamente, qui studiato per trovare caratteristiche uniche.

Dunque non rimane che pazientare e goderci i primi luppoli italiani, ben consci delle loro reali potenzialità. Se siete curiosi, non vi rimane che attendere solo qualche mese.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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