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Accordi e acquisizioni: Fuller’s vende ad Asahi, Heineken torna a Messina

A quanto pare anche questo 2019 sarà all’insegna delle acquisizioni da parte delle multinazionali del settore. In particolare negli scorsi giorni abbiamo registrato due importanti notizie sull’argomento, diverse tra loro anche in termini di risonanza mediatica, ma entrambe decisamente interessanti. La prima riguarda l’acquisizione del birrificio inglese Fuller’s a opera del colosso giapponese Asahi: un annuncio che ha sconvolto i bevitori del Regno Unito (e non solo) e che segna una nuova fase (speriamo senza troppe discontinuità) dello storico marchio britannico. La seconda invece è tutta italiana e merita un approfondimento, anche perché rischia di passare un po’ sotto silenzio. Mi riferisco all’accordo tra Heineken e Birra dello Stretto, con la multinazionale olandese che tornerà a investire a Messina dopo le controverse vicende relative al marchio Birra Messina. Ad accomunare le due vicende l’interesse dell’industria nell’ottenere il controllo di marchi legati alla tradizione.

L’acquisizione di Fuller’s da parte di Asahi

L’operazione che ha portato lo storico birrificio londinese sotto il controllo di Asahi è una di quelle che ricorderemo per molti anni. Come abbiamo raccontato negli scorsi giorni, la compagna giapponese ha perfezionato l’acquisizione degli assets e delle attività relative alla produzione e alla distribuzione per una cifra intorno ai 327 milioni di dollari. Come sottolineato da Martyn Cornell su suo Zythophile, la somma corrisponde alla proiezione dei ricavi di Fuller’s per i prossimi 19 anni, presupponendo che possano restare stabili rispetto agli ultimi 12 mesi. Questo restituisce la dimensione dell’operazione – chiaramente molto appetibile per il CdA inglese – e le prospettive che coltiva Asahi per il futuro del marchio. A Fuller’s inoltre rimarrà il controllo del business “recettivo” (pub e hotel), che non è certamente secondario.

Al di là delle considerazioni economiche, la notizia ha chiaramente destato molto scalpore tra gli appassionati e i bevitori del Regno Unito. Oltre a essere l’emanazione di un marchio storico, le birre di Fuller’s – parliamo di leggende come London Pride e ESB – sono ampiamente diffuse in molti pub di Londra e delle altre città inglesi. Per un consumatore alla ricerca della qualità, hanno sempre rappresentato un’ancora di salvezza anche in locali non propriamente “illuminati”. Insomma, Fuller’s era sempre stato un birrificio a conduzione familiare, decisamente grande ma anche affidabile. Per questa ragione la vicenda ha traumatizzato gli appassionati di tutto il mondo, o almeno quelli non così ottusamente nerd da pensare che la scena della birra londinese si svolga solo entro i confini della Beer Mile.

Ora chiaramente gli occhi degli analisti saranno tutti puntati su Fuller’s, per verificare come evolverà il futuro del birrificio sotto il controllo di Asahi. La quale, da parte sua, sta mettendo in atto una strategia di acquisizioni decisamente interessante: sta infatti invadendo pesantemente l’Europa, inglobando marchi anche molto grandi ma che possiedono uno spiccato legame con la tradizione. Pensiamo a Pilsner Urquell, acquistata dopo la fusione tra AB-Inbev e Sab Miller, e in parte anche a Peroni, la cui Nastro Azzurro è – ahimè – considerata nel Regno Unito l’espressione primaria dell’industria birraria italiana. Se ora aggiungiamo Fuller’s possiamo notare come il portfolio di Asahi si stia riempiendo di brand con molti punti in comune. Una scelta ben diversa da quelle di altre multinazionali, che quasi sempre in questi anni hanno preferito investire in medio-piccoli birrifici artigianali.

L’accordo tra Heineken e Birra dello Stretto

Archiviata la vicenda anglo-giapponese spostiamoci in Italia, dove, come accennato, è fresca la notizia dell’accordo tra Heineken e Birra dello Stretto. Un accordo per certi versi clamoroso, perché nel 2015 la nascita del marchio messinese fu salutata come una rivalsa proprio nei confronti dell’azienda olandese. Per capirne il motivo dobbiamo ricostruire il rapporto tra Heineken e la città siciliana, che cominciò nel 1988: fu allora che la multinazionale acquistò la storica Birra Messina, subentrando alla famiglia Faranda che l’aveva fondata nel 1923. Sotto la proprietà olandese i destini della fabbrica messinese si fecero sempre più foschi, a causa della scelta di Heineken di spostare gradualmente la produzione altrove. Nel 2007 l’impianto siciliano fu chiuso – Birra Messina era ormai prodotta quasi esclusivamente in Puglia – gettando ombre inquietanti sul futuro dei suoi lavoratori. A complicare le cose ci fu la scelta di Heineken di continuare a vendere la sua Birra Messina, sebbene ormai completamente slegata dalla città di cui portava il nome. Questo aspetto suggerì un esposto di Confconsumatori nei confronti dell’Antitrust, che lo accolse e condannò Heineken per pubblicità ingannevole.

Intanto una piccola speranza per i lavoratori messinesi arrivò proprio dalla famiglia Faranda, che nel 2008 acquistò nuovamente la fabbrica e tornò a produrre col nome di Birra Triscele. L’avventura però si concluse solo quattro anni dopo, gettando nuovamente nello sconforto i dipendenti. Alcuni di loro però impegnarono i propri risparmi per creare una cooperativa e rilanciare l’impianto, che fu spostato in altra sede. Fu così che nel 2015 aprì Birra dello Stretto, un birrificio che poté avvalersi delle competenze acquisite dai lavoratori nei tanti anni passati alle dipendenze di Heineken.

La storia potrebbe concludersi qui con il classico lieto fine, se non fosse che negli scorsi giorni il “nemico” è tornato a bussare alla porta del birrificio, stringendo un accordo con la cooperativa. La partnership prevede che presso l’impianto di Birra dello Stretto sarà prodotta una versione speciale di Birra Messina, chiamata Cristalli di Sale, per un totale di 25.000 hl. Sarà il modo con cui la multinazionale olandese punterà a rilanciare il marchio messinese, che ancora gode di grande fascino: il nemico insomma tornerà a essere un alleato. La scelta di Heineken è sicuramente curiosa per come si inserisce nell’intera vicenda, ma rappresenta anche un clamoroso dietro front rispetto alle recenti strategie della multinazionale. È però una mossa astuta, perché le permetterà di essere riaccreditata presso i messinesi, di limitare i problemi con l’Antitrust e di sfruttare le competenze di lavoratori già formati dalla stessa azienda.

E nonostante il tutto si muova nei confini della birra industriale – Birra dello Stretto ricorre alla pastorizzazione – le dichiarazioni di Mimmo Sorrenti, portavoce della cooperativa, suonano simili a quelle già sentite decine di volte in situazioni analoghe. Ecco le sue parole, riportate da Repubblica:

Non ci stanno comprando, resteremo indipendenti, si tratta di un semplice accordo commerciale che dimostra che investire sul territorio si può, che con un po’ di coraggio e lungimiranza si scuote il mercato e si portano soldi a casa: a Messina

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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