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Le birre ritrovate nei fondali della Scozia e il mistero del Saccharomyces scomparso

Negli scorsi giorni avrete sicuramente letto la notizia del ritrovamento di centinaia di birre nei mari della Scozia, eredità del naufragio del mercantile Wallachia avvenuto nel 1895. A compiere la scoperta è stata la squadra di sub capitana da Steve Hickman, un appassionato di immersioni che non è nuovo a imprese del genere: a partire dagli anni ’80 ha recuperato decine di bottiglie contenenti birra, whisky e gin, ma il suo ultimo bottino è davvero senza precedenti. Come accaduto in passato per avvenimenti simili, la narrazione si è subito concentrata sulle eventuali evoluzioni commerciali della scoperta, in particolare sulla possibilità di recuperare cellule di lievito vivo per riproporre le ricette di quelle antiche birre. In realtà la vicenda merita di essere analizzata in maniera più approfondita, perché nasconde uno studio molto interessante eseguito in laboratorio, grazie al quale è stato possibile risalire alle caratteristiche microbiologiche di quelle birre. Non senza sorprese, tra cui la quasi totale assenza di Saccharomyces cerevisiae, il ceppo di lievito con quale oggi identifichiamo tutte le birre ad alta fermentazione.

La ricerca è consultabile online e riporta i risultati dell’analisi microbiologica su alcuni reperti brassicoli provenienti da due fonti differenti. Il primo gruppo, per l’appunto, è costituito da alcuni campioni recuperati dal naufragio del Wallachia; il secondo invece è identificato da alcune bottiglie risalenti ai primi anni del ‘900 di King’s Ale, un Barley Wine realizzato dal celebre birrificio Bass per celebrare la visita di re Edoardo VII. Il reperto più interessante è sicuramente quello proveniente dai fondali marini: lo studio ha analizzato la presenza di lieviti e batteri in bottiglie contenenti una Stout da 7,5% alc. prodotta dal birrificio McEwan’s di Edimburgo. Gli autori hanno passato al microscopio tre campioni della Wallachia, uno solo dei quali ha manifestato un certo grado di diluzione della birra a causa dell’ingresso di acqua marina.

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Le rilevazioni hanno mostrato dati molto interessanti e a tratti sorprendenti, tanto che probabilmente occorre ridefinire l’idea di birra diffusa tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Sebbene la Stout del Wallachia risulti assolutamente in linea con le Stout dell’epoca per gradazione alcolica e altri parametri, c’è una distribuzione di microrganismi che lascia alquanto interdetti. Innanzitutto la profilazione metagenomica ha rilevato una popolazione molto variegata di funghi e batteri, che spesso ritroviamo nelle birre wild o sour: Brettanomyces, Lattobacilli, Pediococchi, Acetobacter e tanti altri piccoli esserini. In realtà questo aspetto non deve sorprendere, perché sappiamo che in passato la fermentazione era molto meno “pulita” di oggi e non è escluso che la Stout di McEwan’s avesse maturato in botte per alcuni mesi.

Ciò che colpisce allora è la “quantità” di questi microrganismi. In uno dei campioni, ad esempio, la percentuale dei Brettanomyces (specie bruxellensis) raggiunge il 78,67% della popolazione complessiva dei lieviti: una misura elevatissima e di certo inaspettata. Ancora più sorprendente è la pressoché totale assenza di Saccharomyces cerevisiae, che oggi consideriamo imprescindibile per le alte fermentazioni. In quel campione la frazione restante di lieviti è infatti rappresentata esclusivamente da Debaryomyces (specie coudertii e hansenii), un fungo che storicamente non è associato alla produzione brassicola e che oggi si ritrova solamente nelle birre a fermentazione spontanea come il Lambic. La situazione non cambia molto negli altri due campioni del Wallachia, dove la popolazione di lieviti è sicuramente molto più variegata, ma restituisce le stesse indicazioni: assenza del Saccharomyces cerevisiae (in un campione c’è però un 20% di Saccharomyces bayanus), ampia presenza di Brettanomyces bruxellensis (tra il 20% e il 30%) e peso non indifferente del Debaryomyces.

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Clamorosamente le Stout del Wallachia sembrerebbero quindi birre fermentate quasi in assenza di Saccharomyces: una particolarità che oggi è relegata solo a esperimenti da homebrewer o poco più. Lo studio dunque ci invita a ripensare alla composizione microbiologica delle birre del passato, al tipo di fermentazione che subivano (con ripercussioni a livello organolettico) e alla necessità di analizzare il modo in cui il Debaryomyces potrebbe oggi essere usato dall’industria brassicola. L’aspetto interessante non è tanto la varietà di microrganismi presenti nei reperti del Wallachia – che, ripetiamo, poteva essere facilmente presunta – quanto l’assenza del Saccharomyces e il ruolo primario del Debaryomyces. Si potrebbe obiettare che quelle appena descritte non sono peculiarità di tutte le birre dell’epoca, ma solo di quelle del Wallachia. La ricerca però sottolinea che gli stessi elementi sono presenti nelle King’s Ale di Bass, appartenenti al secondo gruppo di studio.

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Le conclusioni degli autori sono sicuramente affascinanti:

Una domanda molto interessante è perché i Saccharomyces erano presenti solo in una proporzione molto piccola in alcuni campioni di birra. I Saccharomyces sono i principali colonizzatori delle fermentazioni naturali e ci saremmo aspettati di identificarli nei reperti. La predominanza di Brettanomyces nelle birre del Wallachia confermano che questi lieviti rappresentavano una componente cruciale per le Stock Ale britanniche. Un’analoga predominanza di Debaryomyces nelle birre del Wallachia è altrettanto interessante e la loro presenza in una bottiglia di King’s Ale suggerisce che fosse un elemento più comune rispetto a quanto ritenuto fino a oggi. In tal senso, occorre notare che, secondo altri studi, all’interno di brocche per la birra scoperte in Palestina e risalenti all’Età del ferro erano presenti ceppi di Debaryomyces. Allo stesso modo, la specie Debaryomyces fu ritrovata in un campione di Porter del 1825 rivenuto nel relitto di un naufragio. È dunque possibile che la presenza di Debaryomyces sia nelle bottiglie del Wallachia che nei campio di King’s Ale suggerisca che questo lievito fosse una delle specie prevalenti nella storia della birrificazione e meritevole di ulteriori apprfondimenti in futuro.

La storia della birra continua quindi a rivelarci continue sorprese. La fermentazione rimane un processo complesso e affascinante, di cui molte caratteristiche del passato sono ancora avvolte nel mistero. Il lievito si conferma l’ingrediente più intrigante in tal senso e probabilmente lo conosciamo ancora in piccolissima parte.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Come è possibile che queste informazioni non siano mai state scritte da nessuna parte, e non siano giunte quindi a noi? Parliamo di birre di poco più di 100 anni fa, non di 1000 anni fa.

    • Se pensi che la fermentazione è stata spiegata nel 1876 e che il primo lievito è stato isolato nel 1888, non sorprende che queste informazioni semplicemente non esistessero. Non c’erano le tecnologie e neanche le conoscenze di base della fermentazione. Sembra assurdo che fosse poco più di un secolo fa, ma è così.

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