Nell’estate del 2018 vi raccontammo una storia piuttosto particolare, riguardante i brevetti delle multinazionali della birra su alcune varietà di orzo. La vicenda era cominciata circa due anni prima, quando l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) aveva riconosciuto a Carlsberg e Heineken la proprietà intellettuale su alcune tipologie del cereale, suscitando la decisa reazione di associazioni e agricoltori. Si era formato un fronte compatto di opposizione riunito sotto la sigla No Patents on Seeds (“No ai brevetti sulle sementi”) che, oltre a lanciare una petizione online capace di raccogliere quasi 200.000 firme, presentò una denuncia formale a seguito della quale l’EPO si dimostrò disponibile a riconsiderare la questione. È notizia di pochi giorni fa che le due multinazionali hanno deciso, in maniera spontanea, di ritirare i due brevetti. Una vittoria, dunque? Solo apparentemente, perché la situazione è molto più complessa di come potrebbe sembrare.
La feroce protesta di No Patents on Seeds ha base molto solide, perché fa riferimento a una direttiva europea risalente al 1998. Secondo tale norma il rilascio dei brevetti su prodotti alimentari è consentito solo per operazioni di ingegneria genetica, dove esiste cioè una reale innovazione. Le due varietà di Carlsberg e Heineken sono state ottenute invece incrociando semplicemente orzi già esistenti in natura e sono dunque il frutto di una modifica genetica casuale. In aggiunta le multinazionali avevano richiesto il brevetto non solo per le due varietà di cereali, ma anche per tutti i prodotti ricavati dalla loro trasformazione, compresa la birra. La registrazione avrebbe garantito loro un totale monopolio nell’uso di quelle particolari sementi, anche nel processo brassicolo.
Nonostante la violazione della direttiva europea, l’EPO aveva acconsentito alla registrazione sollevando diverse critiche sul suo operato. In molti sottolinearono la propensione dell’Ufficio europeo dei brevetti di perseguire esclusivamente obiettivi finanziari, grazie al ritorno economico diretto ottenuto da ogni brevetto concesso. Non deve dunque meravigliare se nel 2018, dopo essersi dimostrato disponibile a riconsiderare la questione, l’EPO respinse le proteste esprimendosi a favore di Carlsberg e Heineken. La sfida legale non si era fermata lì, perché No Patents on Seeds aveva allora presentato ricorso. La sentenza sarebbe dovuta arrivare nella primavera del 2022, ma come spiegato non sarà necessario attendere così a lungo: nel frattempo le due multinazionali hanno fatto un passo indietro, ritirando la loro richiesta.
L’esito della vicenda però non rende tranquilli gli oppositori sul futuro dei brevetti sui prodotti alimentari. Come riporta Altreconomia, le dichiarazioni di Erling Frederiksen, uno degli esponenti di No Patents on Seeds, sono tutt’altro che trionfali:
Quanto accaduto rappresenta un importante successo per la nostra campagna. Aspettavamo da tempo un risultato simile, ma questa conquista non è abbastanza. Carlsberg in particolare ha presentato numerose altre istanze di brevetto su orzo e birra, molte delle quali sono già state accettate.
I due brevetti in questione sono infatti solo una parte delle tante richieste avanzate all’EPO affinché sia riconosciuta la proprietà intellettuale su altre varietà di cereali. La posizione dell’Ufficio europeo dei brevetti infatti non sembra essere stata scalfita, tanto che lo scorso giugno l’organizzazione ha approvato un brevetto su una nuova tipologia di orzo che, grazie alla ridotta presenza di acido linoleico, permette di effettuare ammostamenti efficaci a temperature più basse, riducendo quindi l’impatto energetico dell’intero processo.
Il comportamento dell’EPO è inoltre favorito dall’ambiguità delle richieste da parte delle multinazionali, che tendono a far passare per opere di ingegneria genetica conquiste ottenute naturalmente. No Patents on Seeds denuncia questa pratica:
Le aziende stanno rendendo intenzionalmente ambigua la differenza tra ingegneria genetica e tecniche tradizionali in modo tale che, se questi brevetti vengono approvati, possono coprire anche piante (o animali) con le stesse caratteristiche, anche se derivanti da una mutazione casuale e non dal risultato di una innovazione tecnica. Come risultato le grandi aziende di alimenti e bevande guadagnano un ulteriore controllo sulle produzioni agroalimentari. L’Europa dovrebbe basare la propria politica in termini di brevetti alla luce di reali innovazioni da parte delle aziende e non sul risultato di tecniche tradizionali.
Nonostante la vittoria degli scorsi giorni, la situazione è molto più complessa di come potrebbe apparire a prima vista. E non è escluso che la scelta di Carlsberg e Heineken serva per tranquillizzare l’opinione pubblica e distogliere l’attenzione dalle altre richieste di registrazione, altrettanto dannose (e lucrative per le multinazionali). Al di là della vicenda in sé, la questione dei brevetti sui prodotti alimentari rimane una questione spinosa e piuttosto delicata per il futuro, con ripercussioni non solo a livello economico ma anche sociale e, naturalmente, alimentare.