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Il birrificio Kbirr ha la meglio su Peroni: stop alla produzione di Birra Napoli

Se avete una buona memoria, forse ricorderete che nel 2019 Birra Peroni (ri)lanciò il marchio Birra Napoli, creando un polverone non indifferente nel settore brassicolo nazionale. L’operazione infatti fu puramente commerciale: l’azienda controllata dal colosso Asahi presentò in pompa magna un prodotto che celebrava il suo legame con il capoluogo partenopeo, ricevendo persino la benedizione dell’ex sindaco Luigi De Magistris. Peccato però che quella birra non avesse alcun legame con Napoli, a parte un packaging ammiccante e l’impiego di alcune materie prime di provenienza campana. L’unico vero collegamento con la città si era interrotto quindici anni prima, quando Peroni decise di chiudere il suo impianto nel quartiere Miano: a occuparsi della produzione di Birra Napoli fu infatti lo stabilimento di Roma. Qualche mese dopo arrivò una mossa per certi versi inaspettata: sfidando i rischi di un’operazione del genere, il birrificio artigianale Kbirr di Giugliano (NA) portò in tribunale Peroni, chiedendo alla multinazionale di cambiare le etichette della sua creatura.

Di quella vicenda non si seppe più nulla, fino alle rivelazioni delle ultime ore. All’epoca Peroni scrisse a Cronache di Birra chiarendo la sua posizione e spiegando che, a differenza di quanto raccontato, non aveva ricevuto alcun atto di citazione, mettendo quindi in dubbio le intenzioni di Kbirr. Il birrificio artigianale invece andrò dritto per la sua strada e incaricò i suoi legali di intraprendere un’azione civile nei confronti della multinazionale, forte dei precedenti – in particolare quello di Heineken con Birra Messina – e di una vicenda che poteva ragionevolmente ricadere nella fattispecie della pubblicità ingannevole. Alla fine la mossa di Kbirr ha pagato, perché Peroni ha deciso di accettare un accordo che la costringerà a interrompere la produzione di Birra Napoli fino al 2025, oltre a pagare le spese processuali.

Sebbene l’accordo non risolva la questione in maniera definitiva, la vicenda rappresenta un’importante vittoria legale di un birrificio artigianale contro l’industria. Il suo peso simbolico è importante almeno per due motivi. Innanzitutto perché non è usuale imbattersi in contenziosi legali in cui ad avere la meglio è Davide contro Golia: spesso in passato i microbirrifici hanno preferito accettare le condizioni dell’industria (talvolta anche piuttosto assurde), pur di non impelagarsi in processi lunghi e costosi. L’ascesa della birra artigianale nell’opinione pubblica ha forse cambiato un po’ la distribuzione delle forze in situazioni del genere, come dimostrano alcune recenti vicende analoghe. In secondo luogo perché il merito della questione non è banale: parliamo di pubblicità ingannevole, dello sfruttamento inopinato di un senso di appartenenza con la città e dell’uso di escamotage comunicativi tipici delle birre crafty. Il lancio di Birra Napoli da parte di Peroni sembrò da subito una mossa azzardata e sprezzante delle norme che regolano le pratiche commerciali nei confronti dei consumatori.

C’è poi un altro elemento da non sottovalutare. Le vicende legali che abbiamo raccontato in questi anni sono sempre partite da iniziative delle multinazionali, rispetto alla quale i birrifici artigianali sono stati costretti a difendersi (a volte con successo) o a scendere a patti. Quasi mai è accaduto il contrario, cioè che l’azione civile partisse da un microbirrificio nei confronti di un’industria. In questo senso la mossa di Kbirr è stata molto coraggiosa, perché ha deciso di rischiare tantissimo pur di non accettare una situazione ritenuta ingiusta, dimostrando come non bisogna aver paura di far valere i propri diritti (soprattutto quando tutelati da avvocati preparati). Per il fondatore Fabio Ditto non è stata una scelta semplice ed si è esposto a tensioni non irrilevanti, anche a causa di una richiesta di risarcimento per diffamazione da parte di Peroni, poi fortunatamente decaduta.

Accettando l’accordo proposto da Kbirr, Peroni ha quindi ammesso di essere dalla parte del torto. La posizione della multinazionale era sembrata traballante sin dall’inizio, tanto che decise di bloccare la produzione di Birra Napoli subito dopo le prime esternazioni di Fabio Ditto. L’interruzione ora dovrà durare fino a luglio del 2025, dopo di che Peroni potrà tornare a produrre – almeno in teoria – la sua birra dedicata alla città partenopea. Avrà ancora interesse a farlo tra tre anni? Potrà effettivamente riprendere il discorso lasciato in sospeso senza rischiare di imbattersi ancora in accuse di pubblicità ingannevole? Domande lecite, che probabilmente si staranno ponendo anche all’interno di Peroni e che dimostrano come la vittoria di Kbirr vada ben oltre quanto disposto dal Tribunale di Napoli.

Oggi il birrificio Kbirr può giustamente presentarsi come garante dei diritti dei consumatori napoletani e del resto d’Italia, avendo affrontato la sfida con Peroni in solitaria. Congratulazioni allo spirito d’iniziativa e al coraggio che hanno spinto Fabio Ditto a mettersi in gioco pur di tutelare la sua azienda e difendere i principi che rischiavano di essere calpestati dall’operazione Birra Napoli.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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