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Wild Beer sull’orlo del fallimento e altri due birrifici chiusi: la crisi nera della birra in UK

Foto di Towfiqu barbhuiya su Unsplash

La parte finale del 2022 sembra davvero difficile per il settore brassicolo del Regno Unito. Nel corso dell’anno hanno chiuso diversi pub, tra cui alcuni nomi eccellenti, mentre nel frattempo il prezzo della pinta è aumentato considerevolmente. Questa sinistra tendenza si è amplificata negli scorsi giorni, quando nel giro di poche ore sono arrivati i messaggi funerei di tre diversi birrifici artigianali, tra cui il celebre Wild Beer Co. di Westcombe, nel Somerset. Ovviamente i tre annunci hanno sollevato parecchi dubbi sulle capacità di tenuta del mercato della birra artigianale, falcidiato recentemente dalle piaghe che conosciamo bene: prima la pandemia di Covid-19, poi l’aumento dei prezzi a causa delle vicende internazionali. Paradossalmente quindi è proprio una delle culture birrarie più importanti del mondo che sembra subire maggiormente le difficoltà emerse negli ultimi mesi, incapace di invertire una rotta che era già in atto da tempo – la moria dei pub , ad esempio, è un fenomeno ben conosciuto da anni – ma che di recente ha raggiunto livelli preoccupanti.

Dicevamo di Wild Beer. Con un messaggio pubblicato sui suoi canali social lunedì 5 dicembre, il birrificio ha comunicato di essere entrato in regime di amministrazione controllata. Questi i passaggi chiave:

Cari clienti, sostenitori e amici fedeli,
è con il cuore pesante che ci dispiace informarvi che da oggi siamo entrati in un periodo di amministrazione controllata. Gli amministratori stanno cercando potenziali acquirenti per rilevare l’attività, tuttavia al momento abbiamo deciso di interrompere qualsiasi negoziazione. Continueremo a fornire aggiornamenti come e quando sarà necessario. […] Abbiamo visto il potenziale di Wild Beer e avevamo l’ambizione di aumentare le vendite e la visibilità del marchio. Dobbiamo purtroppo segnalare che la società ha dovuto affrontare una serie di condizioni commerciali avverse tra cui la pandemia, il drastico calo dell’export, l’aumento vertiginoso dei costi di produzione, l’inflazione e un aumento dei tassi di interesse che hanno influito sulle vendite. Questi fattori, insieme alla recente crisi del costo della vita, hanno minato le capacità di successo dell’azienda. […] Ci auguriamo di risolvere a breve la situazione attuale e vi aggiorneremo non appena saremo in grado di farlo.

Fondato nel 2012, Wild Beer Co. era stato uno dei primi birrifici a cavalcare in maniera quasi esclusiva l’emergente moda delle birre selvagge e affinate in legno. Un’idea che piuttosto pioneristica per l’epoca, che gli aveva permesso di accreditarsi velocemente nella rete degli appassionati, attirando anche l’interesse dei mercati stranieri. Per diverso tempo le sue creazioni sono state  disponibili con una certa regolarità nei pub indipendenti italiani, prima che le preferenze si rivolgessero verso altri marchi operanti nella stessa nicchia produttiva. Personalmente non conosco benissimo la storia di Wild Beer e alla lettura della recente notizia ho immaginato che fosse il classico esempio di birrificio che, sostenuto da un successo repentino, abbia compiuto il passo più lungo della gamba. In realtà non ho trovato cenni a investimenti particolarmente ingenti effettuati negli anni e l’unico progetto di espansione, risalente al 2017, fu sostenuto attraverso una campagna di crowdfunding capace di racimolare 1,76 milioni di sterline da 1.900 investitori. Investitori che, come riporta il Sunday Times, ora si chiedono che fine faranno i loro soldi.

Ammesso che sia corretta, questa rapida ricostruzione della storia di Wild Beer dimostra come alla base del suo fallimento non ci siano scelte strategiche sbagliate, quantomeno non così evidenti. La difficoltà a mantenere un ruolo preminente nel panorama birrario internazionale sicuramente dimostra qualche criticità emersa negli anni, ma nulla da giustificare questa evoluzione dei fatti. Il dettaglio non è irrilevante, perché evidentemente la crisi che sta colpendo il settore brassicolo del Regno Unito è ben più grave del previsto.

A conferma di questa triste valutazione sono arrivate notizie analoghe da altri due birrifici artigianali, che come Wild Beer hanno comunicato la loro situazione attraverso i rispettivi canali social. Curiosamente lo hanno fatto lo stesso giorno, venerdì 9 dicembre, ad appena cinque minuti di distanza l’uno dall’altro. Il primo è stato Solvay Society (sito web), birrificio di Londra fondato nel 2014 da Roman Hochuli, un appassionato belga che decise di aprire la sua impresa dopo dieci anni di permanenza nella capitale inglese. Anche in questo caso riportiamo le parti sostanziali del messaggio:

Cari appassionati di Solvay Society
Come accaduto per molti birrifici a causa della pandemia e dell’aumento dei prezzi, vi dobbiamo annunciare che sfortunatamente la storia di Solvay non continuerà nel 2023. […] Speriamo di aver rappresentato per molti una porta verso gli stili birrari del Belgio (Solvay Society è focalizzato su tipologie belghe rivisitate in chiave moderna ndR) e che abbiate apprezzato il tocco unico che abbiamo messo nelle nostre birre, augurandoci che vi sia piaciuto berle quanto a noi produrle (e berle).

Neanche il tempo di finire di leggere il post, che sui canali social del birrificio Slater’s di Stafford è apparso un messaggio molto simile:

Dopo 27 anni di attività nell’industria brassicola, ci dispiace annunciare che a breve chiuderemo il nostro birrificio. È stata una delle decisioni più difficili che abbiamo preso come famiglia, ma alla fine è stata la conclusione giusta al momento giusto. […] In questi 27 anni siamo stati orgogliosi di aver prodotto alcune fantastiche birre premiate nei concorsi di settore e di aver conosciuto tante persone meravigliose nei tour al birrificio, nei festival gastronomici e durante le degustazioni. Sfortunatamente gli effetti della pandemia e l’attuale crisi del costo della vita ci hanno costretto a chiudere l’attività.

Il messaggio di Slater’s si conclude con un passaggio che restituisce in parte il cambiamento che sta avvenendo nei gusti dei consumatori del Regno Unito (e non solo):

Abbiamo avuto l’opportunità di vendere il nostro impianto a un produttore di Kombucha in espansione, con sede a Manchester, che da una parte ci ha permesso di aiutare e sostenere un nuovo eccitante progetto, dall’altra di rientrare parzialmente del costo delle nostre attrezzature, consentendoci di prendere più facilmente la nostra decisione.

Quella passata è stata dunque una settimana horribilis per la birra artigianale britannica, non solo per le notizie arrivate in così breve tempo, ma soprattutto per il timore di ciò che potrebbe attenderci nei prossimi mesi. La situazione è complicata non solo per il Regno Unito e non resta che auspicarci una veloce inversione di tendenza dei tanti fattori che stanno rendendo sempre più difficile sopportare la crisi di questo infausto periodo.

Aggiornamento del 14 dicembre

Qualche ora dopo la pubblicazione di questo articolo, il birrificio Newtown Park di Bristol ha annunciato l’interruzione della produzione nel tentativo di mantenere in vita l’azienda. Si tratta di un altro nome di una certa importanza nel panorama brassicolo britannico, presente all’ultima edizione di Eurhop e tra i protagonisti dell’ultima birra collaborativa di Qubeer. Sulla pagina Facebook di Newtown Park si può leggere che:

Come molti altri birrifici, stiamo affrontando delle condizioni di mercato estremamente difficili e mentre l’intera industria è falcidiata dall’imponente aumento dei prezzi, di fronte a noi si palesano significative sfide per il futuro. Ci stiamo impegnando per garantire un futuro a Newtown Park, ma per fare questo abbiamo dovuto prendere alcune pesanti decisioni, perciò annunciamo con tristezza che oggi sarà l’ultimo giorno di produzione in birrificio. Siamo orgogliosi del brand che abbiamo costruito negli ultimi due anni e speriamo di poter sfruttare future partnership per continuare a rilasciare le birre che avete amato così tanto.

Intanto Matt Dean, landlord del pub The Angel di Westbury, ha stilato un elenco di tutti i birrifici chiusi, venduti o finiti in amministrazione controllata nel Regno Unito nel corso del 2022. La lista, che conta 63 aziende, è la perfetta fotografia delle enormi difficoltà che sta affrontando il settore della birra artigianale in Gran Bretagna.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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