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Coltivazione del luppolo in Italia: i numeri di un trend in forte ascesa

Fino a neppure un decennio fa l’idea di coltivare luppolo in Italia appariva completamente folle. Oggi la situazione è molto diversa e in poco tempo si sono moltiplicate le aziende specializzate nel campo, le coltivazioni sperimentali e i progetti di ricerca. Così come accaduto con l’ascesa della birra artigianale, il settore ha dovuto superare diversi luoghi comuni negativi – “il nostro paese non possiede un clima adatto alla coltivazione del luppolo” è da sempre il più gettonato – fino a raggiungere una dimensione ragguardevole, almeno come prospettive future. Il movimento è ancora piccolo, una nicchia minuscola nel campo agricolo nazionale, eppure mostra numeri in grande ascesa. Un fenomeno che è sì alimentato dagli stessi birrifici, che puntano sempre più a utilizzare materie prime locali o italiane, ma anche dai consumatori, particolarmente sensibili al richiamo dell’ingrediente a chilometro zero o comunque di provenienza italiana. Ma quali sono realmente le cifre della coltivazione del luppolo nel nostro paese?

Per rispondere alla domanda possiamo affidarci a un articolo pubblicato venerdì scorso su Terra e Vita e firmato da Katya Carbone e Francesco Licciardo del CREA, ossia il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Il pezzo presenta alcuni interessanti dati che restituiscono le dimensioni del trend. Sono informazioni preziose, perché confermano con i numeri quelle che altrimenti sarebbero solo sensazioni, prive dunque di autorevolezza statistica. Partendo da quanto messo a disposizione dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea) relativamente al periodo 2015-2022, gli autori hanno rilevato che solo lo scorso anno la superficie dei terreni coltivati a luppolo è aumentata del 23,7% rispetto a dodici mesi prima. Si tratta dell’incremento annuale più evidente di sempre e che potrebbe preannunciare un’impennata della curva nei prossimi anni. Anche perché le aziende coinvolte nel comparto continuano ad aumentare (+8,9% nel 2022), dimostrando quanto il settore attiri interesse e investimenti.

Per chiarire meglio la tendenza generale basta considerare che nel 2015 gli ettari coltivati a luppolo in Italia erano appena 4,1, un’inezia rispetto ai 97,5 del 2022. Nonostante l’incremento sia evidente, occorre anche tener presente che sono numeri praticamente irrilevanti se confrontati con quelli dei maggiori produttori europei: in Germania, ad esempio, alla coltivazione del luppolo sono destinati ben 17.000 ettari. Al momento è dunque più costruttivo limitare l’osservazione ai nostri confini, dove comunque il fenomeno non può passare inosservato. Anche il numero degli operatori ha mostrato una crescita impressionante, con un incremento medio annuo del 55% in quasi un decennio (nel 2015 le aziende erano una ventina scarsa, nel 2022 quasi 200).

Interessanti sono anche i dati relativi alla distribuzione territoriale del settore in Italia. Le aziende agricole si concentrano principalmente nelle regioni settentrionali, con il Veneto (34 aziende) che precede la Lombardia e l’Emilia-Romagna (26 ciascuna) e il Piemonte (21). Per gli autori questo primato è favorito da motivi di natura pedoclimatica e in parte di produttività brassicola, ma evidentemente a influenzare la situazione c’è anche l’immancabile maggiore propensione imprenditoriale di certe zone del paese. Un maggiore equilibrio, almeno rispetto al Centro Italia, si nota analizzando gli ettari di terreno coltivato a luppolo per regione. Se infatti Emilia-Romagna e Veneto risultano nettamente in vantaggio sulle altre (rispettivamente 21,9 e 18,9 ettari), un ruolo non secondario è ricoperto dalla Toscana, terza in graduatoria (10,8 ettari), e dal Lazio, sesto (6,1 ettari) dopo Piemonte e Lombardia.

L’articolo di Terra e Vita si conclude con una valutazione delle prospettive future, che a fronte di dati molto positivi risulta piuttosto tiepida. Nonostante l’ascesa della coltivazione del luppolo in Italia, infatti, esistono diverse criticità, in parte legate allo sviluppo del prodotto in sé, in parte alle tendenze emerse in altri contesti. Negli USA, ad esempio, si stima per il 2023 una contrazione delle superfici coltivate soprattutto a causa di un mercato brassicolo molto diverso rispetto al passato. In Italia però siamo ancora all’inizio e sebbene il mercato della birra artigianale non stia più galoppando come in passato, solo adesso sta mostrando un concreto interesse nei confronti della materia prima prodotta in Italia.

L’andamento del comparto inoltre suggerisce che i numeri attuali potrebbero ulteriormente crescere nei prossimi anni, mostrando ritmi di crescita in costante aumento. Potremmo essere cioè all’inizio di una forte impennata della curva, esattamente come accaduto alla birra artigianale a cavallo con gli anni ’10 del secolo corrente. Occorre però sottolineare che la coltivazione del luppolo è un’attività che richiede tempi molto lunghi perché possa diventare solida, sostenibile e sicura. E ancora più tempo è necessario per sviluppare cultivar nazionali che possano davvero rivoluzionare il mercato. L’andamento però è decisamente confortante e un passaggio chiave sarà l’inserimento di questa tendenza all’interno di una visione globale di sviluppo della filiera brassicola nazionale. Ma anche da quel punto di vista si stanno muovendo diversi progetti.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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